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Quali sono i frutti tropicali da conoscere: una carica di energia e vitalità dal gusto esotico

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I frutti tropicali rappresentano l’esotico che arriva in tavola con i suoi colori sgargianti, i profumi e il potere di seduzione tipico dei paesi da cui provengono.

Succosi, aromatici e decisamente stuzzicanti, sia per gli occhi che per il palato, questi frutti hanno anche diverse proprietà benefiche e un notevole valore nutrizionale che li rende ancora più appetibili.

Introdurre il consumo abituale di frutti tropicali nella dieta quotidiana è sicuramente un ottimo modo per tenersi in forma. Meglio ancora, se si sceglie frutta esotica coltivabile anche in Italia che non deve essere necessariamente importata dagli angoli più remoti del Pianeta.

E quale migliore occasione dell’estate per fare un bel carico di vitamine e benessere? Ecco una guida pratica dedicata all’esplorazione del variopinto mondo della frutta esotica.

frutti tropicali

Coloratissimi e curiosi: i frutti esotici hanno un fascino davvero unico!

Frutti tropicali: cosa sono e da dove vengono

Mango, papaya, cocco, frutto della passione, ananas, litchi e tanti altri ancora. L’elenco della frutta tropicale facilmente reperibile anche dalle nostre parti è davvero infinito. Si tratta di alimenti salutari e benefici per l’organismo, oltre che estremamente versatili in cucina. Si possono utilizzare per arricchire, macedonie, preparare frullati, primi piatti esotici e dolci originali.

In generale, si tratta di alimenti ricchissimi di nutrienti essenziali, come sali minerali e vitamine. Perfetti per fare il pieno di benessere sopratutto quando il caldo torrido o i malanni stagionali mettono a dura prova le difese immunitarie dell’organismo.

Per conoscere l’universo che compone la grande varietà dei frutti esotici e delle piante tropicali da cui essi derivano, è opportuno tracciare una prima distinzione in base al sapore della frutta. In linea di massima, la frutta esotica dolce o acidula ha proprietà e caratteristiche organolettiche simili alla frutta nostrana, mentre quella “grassa” è più assimilabile alla frutta secca o ai semi oleosi.

In quest’ultimo caso, infatti, l’apporto calorico è notevole e la presenza di grassi di tipo insaturo in grandi concentrazioni li rende difficilmente assimilabili alla frutta genericamente intesa. Pensiamo all’avocado, ad esempio, così ricco di acidi grassi buoni, vitamine e beta-carotene: 100 grammi di questo alimento apportano ben 160 calorie!

I principali paesi produttori dove questa frutta è considerata “autoctona” sono concentrati nel Tropico del cancro (da cui il nome “tropicale”). I maggiori produttori sono Stati del Continente Africano e in America Latina, ma anche India, Indonesia e nei Paesi in Via di Sviluppo. Vista la grande richiesta di frutta esotica sul mercato occidentale, di recente l‘Onu ha messo in atto una serie di iniziative volte ad incentivare l’adozione di tecniche di agricoltura biologica della frutta esotica nel Sud del Mondo per incrementare la qualità dei cibi e tutelare la sicurezza alimentare.

Proprietà dei frutti tropicali

A seconda del frutto e delle caratteristiche organolettiche che lo distinguono, il consumo di frutta esotica promuove importanti azioni benefiche nell’organismo. Si tratta di alimenti generalmente ricchi di fibre, sali minerali, vitamine e acidi grassi, concentrati in quantità significative.

Tutti sappiamo, ad esempio, che le banane sono una preziosa fonte di potassio, mentre l’ananas è un concentrato naturale di vitamina C ed A dalle innumerevoli proprietà benefiche. I frutti tropicali aciduli o dolci presentano notevoli quantità di:

  • Acqua
  • Carboidrati solubili
  • Fibre
  • Vitamine idrosolubili e liposolubili (in particolare la vitamina C o acido ascorbico C, Vitamina A e carotenoidi;
  • Sali Minerali, in particolare potassio e magnesio
  • Fenoli e tannini
  • Fitosteroli

Quelli grassi, invece, aggiungono un alto contenuto lipidico e proteico, da cui deriva il maggior apporto calorico a parità di porzione consumata. Al loro interno, inoltre, sono presenti nutrienti generalmente poco presenti nella frutta “tradizionale”, come calcio, selenio, tocoferolo Vitamina E.

Frutti tropicali: elenco e nomi

Tra i frutti tropicali più consumati nel nostro Paese e nell’emisfero occidentale del Mondo, ce ne sono alcuni che occupano da tempo un posto d’onore nella nostra cultura alimentare. Altri invece sono più costosi e particolari, considerati”di nicchia,  e altri ancora poco conosciuti e a dir poco curiosi. Ecco una carrellata coloratissima di questi frutti.

Frutti tropicali di largo consumo

frutti tropicali

Tante proprietà e benefici suggeriscono un consumo regolare di questi frutti

Frutti tropicali “di nicchia”

Frutti tropicali “ricercati”

Frutti tropicali coltivabili in Italia

L’Italia ha aperto ormai le porte non solo all’importazione della frutta esotica, ma anche alla coltivazione di molte varietà che possono adattarsi e prosperate in tante regioni della Penisola. La Sicilia, in particolare, ma anche diverse aree del Sud Italia, è la regione che sta sperimentando con sempre maggiore convinzione la coltivazione di piante ed alberi tropicali fruttiferi.

Il mercato è florido e i prezzi decisamente più competitivi rispetto ai prodotti analoghi di importazione, con tagli sul prezzo finale che sfiorano il 50%. La frutta tropicale coltivata con più successo in lungo e in largo dello Stivale include diverse varietà di:

Frutti tropicali rossi

Il rappresentante forse più bizzarro della frutta esotica rossa è senza dubbio il Litchi, detto anche “ciliegia della Cina” per via del suo aspetto che ricorda vagamente quello delle comuni ciliegie nostrane.

I frutti delle varietà più comuni hanno una buccia ruvida di colore rosa-rosso e una polpa bianca. La polpa è anche è l’unica parte commestibile del frutto ed è caratterizzata da un sapore delicato e naturalmente dolce.

Il litchi contiene sali minerali, proteine, vitamine del gruppo B e C, acido nicotico, fibre, carboidrati, zuccheri e acqua. Il suo apporto calorico è tutto sommato modesto: 66 calorie ogni 100 grammi.

Frutti tropicali arancioni

Sempre molto vasta, la schiera dei frutti tropicali arancioni. Uno su tutti è l’alchechengi, protagonista dell’autunno e di molte scenografiche composizioni rese speciali dalle sue bacche particolari. I suoi frutti autunnali dal colore arancio vivo che maturano sulla pianta protetti da un involucro di consistenza cartacea al tatto la cui forma ricorda una piccola lanterna.

Per via delle spiccate proprietà e benefici, è una pianta officinale molto usata in erboristeria. Esercita infatti un’azione diuretica, depurativa, lassativa, antireumatica e tonificante.

Frutti tropicali gialli

Oltre la banana, tra la frutta esotica di colore giallo c’è anche la Papayaricchissima di enzimi proteolitici, tra cui spicca la papaina, che favorisce oi processi digestivi. La papaya ha anche elevate quantità di vitamina C, caroteni e provitamina A, nutrienti indispensabili per mantenere in salute il tratto urinario, i polmoni, l’apparato digerente e il derma.

La pianta è originaria delle zone tropicali americane, ed è caratterizzata dalle foglie grandi e dai frutti a forma di bacca oblunga. Il colore della buccia può essere  verde – giallastro, mentre la polpa è di colore giallo-arancione, dolce e succosa.

Frutti tropicali rosa

Rosa e particolarissimo come la pitayadetta anche dragon fruit Questo frutto è prodotto da una varietà di cactus (Hilocereus) coltivata soprattutto in Sud America e Vietnam. Si caratterizza per i grandi fiori bianchi che si aprono di notte e durano solo un giorno.

Esistono alcune varianti di colore rosso o giallo, ma la varietà più diffusa è quella rosa a polpa bianca di origine vietnamita. La polpa contiene minuscoli semi neri commestibili e ha un gusto dolce, delicato e rinfrescante. Tra i frutti tropicali, il dragon fruit è sicuramente uno di quelli che si fa più notare…

E voi, che ne dite? Scriveteci nei commenti le vostre osservazioni (e i vostri frutti tropicali preferiti!)

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Piccolo elenco delle piante erbacee e loro classificazione

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Per piante erbacee si intendono genericamente le specie vegetali dalla consistenza per lo più erbacea, prive cioè di parti lignee.

Nei giardini, negli orti, ma anche ai margini delle strade e nei campi: la varietà di piante erbacee esistenti in natura è davvero infinita, tanto che è molto difficile racchiuderle in un elenco. Tra le tante, se ne distinguono molte annuali, perenni, ma anche piante biennalicon o senza infiorescenze.

Alcune sono apprezzate in cucina (erbe aromatiche), altre hanno incredibili virtù preziose per la salute (erbe medicinali o officinali), altre ancora sono sfruttate per le loro scenografiche fioriture (erbe e piante ornamentali).

Ma entriamo nel regno incantato delle piante erbacee e impariamo a conoscerle (e riconoscerle) meglio.

piante erbacee

Perenni, selvatiche, boschive, aromatiche: l’elenco delle piante erbacee è davvero infinito.

Piante erbacee: definizione

Le piante erbacee si definiscono tali poiché hanno in comune l’appellativo generico “erba“, nome volgare che le identifica accompagnato quasi sempre da un altro termine che meglio specifica le caratteristiche. Sono piante generalmente basse, con fusto ed estremità verdi e non legnose.

Elenco e nomi

Come detto, l’elenco delle piante erbacee è davvero infinito. Le categorie tassonomiche entro cui si suddividono queste piante, rendono il compito meno gravoso e forniscono un primo indizio sulle loro caratteristiche principali. Le più importanti sono: cereali, leguminose, industriali, foraggere, orticole, officinali o da fiore.

Piante erbacee industriali

Molte delle specie di piante erbacee più conosciute sono anche dette “industriali” in quanto la loro coltivazione (intensiva o estensiva) serve e a produrre materie prime destinate alla trasformazione industriale. Alcune delle colture industriali di piante erbacee più note e importanti, includono:

Piante erbacee officinali

Ralph Waldo Emerson, filosofo e scrittore statunitense, amava dire: “Un’erbaccia è soltanto una pianta di cui non sono state ancora scoperte le virtù”.

Menzione speciale, quindi, per le cosiddette piante medicinali, definibili anche come erbe officinali. Sono erbe caratterizzate da fitocomplessi preziosi, in alcuni casi veri “elisir” di benessere.

In virtù dei principi attivi in esse contenuti, sono sfruttate utilizzate come rimedi naturali per la cura di affezioni di varia origine ed entità e per la prevenzione dell’invecchiamento cellulare causato dai radicali liberi. Le sostanze che rendono queste erbacee davvero uniche e speciali per la nostra salute sono:

L’arte erboristica, infine, ha identificato, selezionato e classificato le varie tipologie di piante distinguendo le semplici erbe dalle piante officinali, le spezie e le piante aromatiche e orientando la loro coltivazione e il loro utilizzo a fini prettamente terapeutici, cosmetici e nutritivi.

Ecco un piccolo elenco delle piante officiali più importanti con il rimando alle nostre guide di dettaglio:

Piante erbacee commestibili

Con le dovute precauzioni e attenzioni del caso, molte delle piante erbacee che vi capiterà di incrociare durante le vostre passeggiate sono commestibili e possono, perciò, diventare un ingrediente succulento delle vostre pietanze.

Alcune le conoscerete senz’altro, altre un po’ meno, ma in questa carrellata vi proponiamo 3 varietà selvatiche facilmente riconoscibili ed edibili. Per una carrellata completa, date un’occhiata alla nostra guida dedicata alle erbe selvatiche commestibili.

Attenzione però a raccogliere ciò che non conoscete perchè in natura esistono molti equivalenti velenosi e tossici che somigliano alle varietà buone ma non lo sono per niente. Nel dubbio, quindi, meglio non rischiare.

piante erbacee

Tarassaco (o Dente di leone)

Le foglie giovani di questo ingrediente della cucina naturale possono essere consumate in insalata. Quelle più vicine alla base della pianta si possono usare cotte per minestre, minestroni e zuppe. In alcune regioni italiane, i fiori di tarassaco vengono messi sottaceto e consumati come i capperi.

Acetosa

Oltre al consumo a crudo, è ottima saltata in padella insieme a verdure verdi come spinaci o erbette. Le foglie di acetosa sono un buon complemento per i minestroni di verdura, frittate oppure come contorno per carni e pesce. Si possono cucinare anche i giovani steli, oppure possono essere mangiati crudi nelle misticanze dove aggiungono quel tocco agrumato al posto dell’aceto o del limone.

Malva

Di questa pianta si possono utilizzare i fiori freschi e i germogli per arricchire le insalate primaverili. I fiorellini sono molto ornamentali, quindi potete utilizzarli anche per decorare risotti e primi piatti.

Rovistando sempre tra le ricette con i fiori, scopriamo che quelli della Malva che possono essere messi sotto sale o sottaceto, mentre alcuni amano mangiare le foglie come se fossero una comune verdura. Potete utilizzarli come ingredienti di zuppe, risotti e minestre

Piante erbacee perenni

Le piante perenni sono dette anche poliennali. Grazie alle gemme basali, sono in grado di vivere per diversi anni nello stesso terreno.

La maggior parte delle erbacee sono perenni, ma ci sono ci anche varietà annuali e biennali che vivono rispettivamente uno e due anni solari. Esistono anche decine e decine di verdure perenni annoverate come erbe che possono essere facilmente coltivate nell’orto e in balcone.

Eccone alcune:

Piante erbacee spontanee

Molte piante erbacee spontanee appartengono all’ordine delle Composite e sono conosciute anche come Asteracee. Le rappresentanti più conosciute di questa famiglia sono l’Achillea, l’Arnica, l’Assenzio, ma anche la Borragine, la Piantaggine e la Bardana.

Si tratta di specie endemiche, cioè che crescono crescono spontaneamente da nord a sud della nostra penisola.

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I regolamenti relativi ad animali e condominio: tutto quello che c’è da sapere

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Animali e condominio rappresentano un binomio non sempre facile da gestire. Chiunque abbia un animale in appartamento sa che la coesistenza con vicini e condomini poco tolleranti può dar vita ad attriti e dissapori. Vediamo cosa dicono le nuove regole e i regolamenti condominiali in proposito.

Forse non tutti lo sanno, ma nel 2013 la legge che riguarda animali e condominio è stata aggiornata con importanti novità che disciplinano quella che spesso rappresenta una ‘spinosa’ questione. Il principio ispiratore della nuova normativa si può riassumere così: vietato vietare. La legge di riferimento è la 220/2012 del Codice Civile che il 18 giugno 2013 è stata integrata con l’articolo 16 che che disciplina proprio la permanenza degli animali in appartamento.

La disposizione della legge parla chiaro: Le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali da compagnia”.

Il motivo per il quale si è dovuto ricorrere ad un aggiornamento della legge è molto semplice. Secondo le ultime stime, il numero di animali da compagnia detenuti in appartamento nel nostro Paese è in continuo aumento.

Ad oggi, infatti, gli animali domestici presenti in condominio sarebbero 60,5 milioni (fonte Assalco-Zoomark). I cani rappresentano il 55,6% di questo dato, seguiti dai gatti (49,7%), pesci, roditori, uccelli e rettili. Con l’aumento del numero di animali nei condomini sono aumentate anche le controversie e sempre più spesso le dispute tra condomini insofferenti arrivano davanti al Giudice di Pace.

SCOPRI: Come si elimina il cattivo odore del cane in modo naturale?

Animali e condominio: le regole

La nuova Legge sulla permanenza di cani, gatti e altri animali da compagnia all’interno dei condomini sancisce definitivamente il diritto a possederne ma fissa anche alcune regole. Diritti e doveri di chi decide di convivere con un animale sono ben definiti e di fatto lasciano cadere tutte le limitazioni finora vigenti. Ma entriamo nel dettaglio e vediamo cosa dice esattamente la legge.

Innanzitutto vengono esplicitate le tipologie di animali che è possibile portare in appartamento, allargando la definizione di ‘animale domestico’ a conigli e galline.

Al contrario di quanto si pensa, la nuova legge autorizza di fatto l’utilizzo delle parti condominiali comuni, pur prevedendo alcune limitazioni. In via generale, chi col comportamento del proprio animale danneggi o distrugga beni altrui può essere costretto all’allontanamento. E’ quindi fondamentale educare l’animale ad una condotta rispettosa degli spazi comuni e osservare le regole di civile e rispettosa convivenza nei confronti degli altri condomini.

Tuttavia, anche coloro che non gradiscono la presenza di animali in condominio dovranno attenersi ad alcune regole comportamentali. Non solo non si potrà vietare al vicino di possedere un animale, ma non si potranno neanche attuare iniziative repressive nei confronti delle colonie feline. La legge del 1991 prevede, infatti, che le colonie feline hanno diritto alla territorialità e qualsiasi forma di allontanamento attuata nei loro confronti è considerare maltrattamento. Tale principio decade, ovviamente, nel caso in cui si debba intervenire per comprovate motivazioni di carattere igienico-sanitario.

FOCUS: Cani in spiaggia, diritti e doveri

Animali e condominio: le limitazioni

Il dibattito sulla possibilità di vietare l’ingresso di animali da compagnia nei condomini attraverso appositi regolamenti condominiali è molto antico. La legge, da una parte, è intervenuta con il chiaro intento di regolamentare questo diritto e porre fine alle controversie. Dall’altra, però non può cancellare gli accordi già presi.

In buona sostanza, è importante sapere è che la legge ha efficacia a partire dalla sua entrata in vigore e non può essere in alcun modo applicata ai regolamenti condominiali approvati in precedenza. Ecco perché se il regolamento condominiale vietava la permanenza di animali da compagnia già prima del 18/06/2013, tale divieto non potrà essere annullato in nessun caso.

maialino nano animali e condominio

IGià, ma quali sono gli animali da compagnia?

C’è poi da sottolineare che il diritto di tenere un animale nella propria abitazione non deve considerarsi illimitato. E’ necessario, infatti, esercitarlo nel rispetto di alcune regole di convivenza condominiale fondamentali.

SCOPRI: Come traslocare con gli animali domestici

Le regole di convivenza fondamentali

Com’è facile immaginare, le limitazioni riguardano sopratutto l’uso delle parti comuni. In particolare:

  • L’animale non può essere lasciato libero nelle parti comuni del condominio, emanare cattivi odori o emettere in continuazione rumori molesti.
  • Il regolamento condominiale può limitare il diritto a detenere animali in casa per ragioni igienico-sanitarie. A esempio, può limitare il numero di animali che possono avere accesso ad ogni abitazione.
  •  Gli accordi condominiali possono limitare l’accesso degli animali in zone comuni ben definite, purché ciò non violi, di fatto, il diritto sancito dalla legge.
  • Ovunque l’animale, in particolare i cani, possono incontrare altre persone, è necessario l’uso del guinzaglio e, all’occorrenza, della museruola.
  • Può essere fatto divieto di detenere un animale da compagnia in appartamento qualora l’animale questione produca rumori molesti di notte e di giorno. In questi casi, si tiene conto del principio di ‘normale tollerabilità’ richiesto dalla pacifica convivenza condominiale.
  • Nel contratto d’affitto (natura privata), il locatario può inserire una clausola di divieto alla detenzione di animale da compagnia nel proprio appartamento, che una volta sottoscritto il contratto diventa vincolante.
animali e condominio

Quali sono le regole di condominio per il nostro amico a quattro zampe?

Animali e condominio: come difendere il diritto

Come sempre, però, attenzione agli abusi e ai condomini prepotenti. Se da una parte l’uso delle parti comuni può essere limitato dal regolamento condominiale, dall’altra l’utilizzo di alcune aeree non può essere vietato. L’esempio classico è l’utilizzo dell’ascensore. A condizione che l’animale non sporchi o emetta odori particolari, l’ascensore è e rimane proprietà di tutti i condomini.

Se un regolamento condominiale tenta di vietare la detenzione di animali adducendo come motivazione la tutela della quiete collettiva è necessario che se ne accerti effettivamente la fondatezza. In altre parole, i condomini che si oppongono alla presenza di un animale dovranno documentare – tramite ASL o periti privati – la gravità del problema e dimostrare il pregiudizio.

Sul tema animali e condominio, quindi, sappiate che non possono essere deliberate disposizione tali da limitare o annullare tale diritto. Se necessario, si può fare ricorso al Giudice di Pace entro 30 giorni dall’approvazione delle delibera condominiale. Se non eravate presenti durante l’assemblea, i 30 giorni decorrono dal giorno in cui viene recapitata la copia del verbale.

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Tassonomia: l’ABC delle scienze naturali di linneana memoria…

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La tassonomia, nelle scienze naturali, è una classificazione universalmente e scientificamente accettata per distinguere tutto ciò che vive e prospera in natura.

Chiunque abbia la passione per il collezionismo sa quanto sia importante l’utilizzo di un metodo per catalogare i vari pezzi o esemplari in suo possesso. Ci vogliono regole univoche per dare ad ogni cosa un nome, un posto e un ordine preciso in modo da sapere sempre distinguere ogni cosa nell’insieme.

La tassonomia fa proprio questo: definisce, ordina e classifica secondo una precisa gerarchia tutti gli esseri viventi, compresi quelli estinti e i fossili. Si tratta, di fatto, di una branca della biologia che attribuisce un “nome e cognome” scientifico agli organismi, un po’ come fa l’ufficio anagrafe per le persone.

Tassonomia: significato, gerarchie e definizioni

La classificazione degli essere viventi, come detto, segue dei precisi livelli gerarchici che partono sempre dalla definizione di “regno“.

Il regno, dunque, è il raggruppamento più vasto che comprende phyla molto diversi tra loro. Già, perché sempre secondo Linneo, ogni regno, a sua volta, si divide in phylum per gli animali e in divisioni per piante e altri organismi. I livelli gerarchici comprendono:

  • Classe: include tanti ordini, con caratteristiche comuni (es. mammiferi).
  • Ordine: comprende più famiglie con caratteristiche fisiche comuni.
  • Famiglia: comprende diversi generi con caratteristiche comuni (es. gatto, lince e leone)
  • Genere: comprende specie molto simili che possono accoppiarsi ma non produrre nuovi organismi fecondi.
  • Specie: è la categoria più piccola e comprende organismi che hanno in comune tanti caratteri. Solo gli organismi appartenenti alla stessa specie possono accoppiarsi e a generare prole in grado a sua volta di riprodursi.

Oggi è stata introdotta la definizione di “Dominio” come livello sopra-regnale per includere anche batteri e archaea. Tra le suddivisioni posteriori sorte per classificare nuove specie in discipline più settoriali, compaiono termini come:

  • superclasse
  • super
  • sotto
  • infraordini
  • super e sottofamiglie
  • tribù e sottotribù.

Oltre al rango di specie, la tassonomia moderna include anche sotto-ranghi (ad esempio le sottospecie e le razze di animali) e varietà e forme per la botanica.

Tassonomia: etimologia del termine

Il termine “tassonomia” si riferisce alla disciplina che studia, ordina e classifica gli elementi all’interno di un sistema (biologico e non). Esso deriva dalle parole greche “taxis“, che significa “ordine” e “nomos“che vuol dire “regola“.

Per questo motivo, la tassonomia si occupa di conferire un ordine agli esseri viventi che compongono la biosfera secondo precise regole. Un esempio concreto di classificazione tassonomica linneana è quella relativa all’essere umano:

  • Regno: Animalia
  • Phylum: Chordata
  • Classe: Mammalia
  • Ordine: Primati
  • Famiglia: Hominidae
  • Genere: Homo
  • Specie: Homo sapiens

Più avanti vederemo anche il significato di questi termini per meglio comprenderne l’utilizzo tassonomico.

tassonomia

Carl Nilsson Linnaeus, il padre-fondatore della moderna tassonomia

Tassonomia di Linneo

Il sistema utilizzato da Carlo Linneo nel 1700 per classificare gli essere viventi e disporli secondo una gerarchia precisa, rappresenta ancora oggi l’opera di nomenclatura biologica di riferimento più importante.

Sebbene il numero dei livelli gerarchici contemplati dalle moderne scienze naturali sia stata allargato nel corso del tempo, il lavoro del naturalista svedese continua ad essere l’unico riconosciuto dalla comunità scientifica. Ciò vuol dire che a  distanza di secoli dalla sua prima pubblicazione, ogni campo biologico continua ad essere ordinato e classificato in base al metodo tassonomico linneano.

L’opera di Carlo Linneo che è anche il manuale di riferimento della tassonomia moderna è l'”Imperium Naturae” . In questa prima pubblicazione, Linneo identifica per la prima volta i 3 Regni a cui appartengono gli organismi viventi:

  • Animale (Regnum Animale)
  • Vegetale (Regnum Vegetabile)
  • Minerale (Regnum Lapideum)

L’estrema attualità di questo sistema ci fa capire la forza e l’impatto dirompente che l’opera di Linneo ebbe sulle scienze naturali. Essa è il fondamento dell’attuale nomenclatura biologica ed è stata perfezionata dalle opere successive dello stesso naturalista, in particolare “Species Plantarum” (1753, per le piante) e la decima edizione del “Systema Naturae” (pubblicata nel 1758).

Nomenclatura binomiale

Il merito più grande di Linneo fu quello di aver introdotto nel 1735 la nomenclatura binomiale, basata sul modello aristotelico e relativa alla classificazione tassonomica di piante, animali e minerali.

Grazie a questo metodo ogni organismo è collegato a due nomi che sono il Genere di appartenenza (nomen genericum) e la Specie (nome triviale o nome specifico).

Ancora oggi, il nome scientifico di un essere vivente o estinto ha una derivazione latina o greca, ed è sempre composto da due termini scritti in corsivo. Il primo termine rappresenta il Genere, il secondo identifica la specie (es. Panthera leo è il leone e  Panthera tigris è la pantera).

Il precedente metodo consisteva in una semplice descrizione del tutto arbitraria e priva di qualsiasi requisito di sistematicità e accuratezza scientifica.

Tassonomia moderna

Il metodo di Linneo è stato in parte superato o rivisitato nel corso dei secoli. Ai tempi di Linneo, infatti, molti organismi non erano neanche conosciuti (ad esempio quelli unicellulari) ed era quasi assente un principio di classificazione che tenesse conto delle analogie genetiche tra le diverse specie.

Per questo motivo, la tassonomia moderna contempla 6 regni:

  • eubatteri (Eubacteria)
  • archeobatteri (Archaeobacteria)
  • protisti (Protista)
  • funghi (Fungi)
  • piante (Plantae)
  • animali (Animalia)

Raggruppati in 3 domini:

  • Bacteria
  • Archea
  • Eukarya

Tassonomia animale

Il regno animale è quello in cui ancora oggi si nota in maniera evidente il metodo tassonomico di Linneo. Alcuni dei nomi attribuiti dallo studioso svedese agli animali sono tutt’ora in uso, anche se afferiscono a gruppi diversi. Nel 1758 Linneo divise il regno animale in 6 classi:

  • Mammalia
  • Aves
  • Amphibia
  • Pisces
  • Insecta
  • Vermes

Oggi, il regno animale così come lo conosciamo è formato da una grandissima quantità di organismi, tutti diversi fra loro. Gli animali viventi sono classificati in circa 30 phyla secondo alcuni criteri di classificazione:

  • Numero degli strati di tessuto embrionale;
  • Organizzazione;
  • Disposizione delle diverse parti del corpo;
  • Cavità corporee presenti o assenti;
  • Sviluppo dall’uovo fecondato dall’adulto.

La tassonomia moderna annovera circa 1.800.000 specie di organismi, accomunati da caratteristiche che rendono possibile una suddivisione fondamentale in:

  • Eterotrofi (onnivori, erbivori, carnivori);
  • Pluricellulari;
  • Eucarioti.
tassonomia

Alcuni tra i rappresentanti più illustri del regno animale

Classi

  • Poriferi o spugne: sono gli animali più antichi e semplici esistenti in natura. Si riproducono sia per via asessuata e sessuata per fecondazione interna.
  • Celenterati: dispongono di due tessuti (epidermide e gastroderma separati da uno strato gelatinoso (es.meduse);
  • Vermi o platelmidi;
  • Molluschi;
  • Anellidi: (es. lombrichi e sanguisughe);
  • Artropodi: si riproducono per partenogenesi;
  • Echinodermi (ricci di mare, cetrioli di mare, ecc…);
  • Cordati (presenza di coda);
  • Vertebrati: caratterizzati da una colonna vertebrale, cordone nervoso e cranio contenente il cervello. Comprendono pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi.

Tassonomia piante

Il Regno delle Piante comprende circa 350.000 specie che solitamente vengono distinte con termini generici come alberi, erbe, felci, cespugli, ornamentali, rampicanti, muschi ecc.

La tassonomia moderna attribuisce al regno delle plantae le seguenti Divisioni:

  • Charophyta
  • Rhodophyta
  • Chlorophyta
  • Anthocerotophyta
  • Bryophyta
  • Marchantiophyta
  • Pteridophyta
  • Psilophyta
  • Lycopodiophyta
  • Ginkgophyta
  • Pinophyta
  • Cycadophyta
  • Gnetophyta
  • Magnoliophyta

La maggior parte delle piante esistenti sono classificate nel Gruppo delle Angiosperme (Magnoliophyta) che annovera circa 250.000 specie di piante. Esse si caratterizzano per la produzione di fiori e la capacità di produrre frutti e semi dopo l’impollinazione.

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Sai come riutilizzare il burro scaduto? La guida facile per riusarlo in ambito domestico

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Scopriamo i migliori modi per riutilizzare il burro scaduto: perché anche questa può essere una risorsa nella vita di tutti i giorni.

A chi non è mai capitato di ritrovarsi un panetto di burro scaduto in frigo? Se finora pensavate di buttarlo con questa mini-guida scoprirete che il burro può essere riciclato in modo creativo in tanti modi alternativi, sia per la cura del corpo che della casa.

Ecco qualche suggerimento utile che vi aiuterà a risolvere i piccoli ‘inconvenienti’ della vita quotidiana in maniera sostenibile ed economica.

SPECIALE: Data scadenza alimenti, ecco quello che bisogna sapere

Burro scaduto: come riutilizzarlo?

Ecco alcuni modi creativi per non sprecare questa risorsa:

Come smacchiatore

Il burro scaduto è un valido aiuto per eliminare tracce di inchiostro, di bevande e perfino di catrame dai vostri capi e oggetti in plastica. Basta strofinarlo sulla macchia e, nel caso di sporco ostinato, utilizzarlo come pretrattante prima del lavaggio.

Per togliere i cattivi odori dalle mani e ammorbidire la pelle

E’ un rimedio tutto naturale dalla straordinaria efficacia. Provate a spalmarne una piccola quantità sulle mani e procedete al lavaggio normale con acqua tiepida e sapone. Il risultato sarà una pelle perfettamente detersa, priva di odori sgradevoli e morbidissima;

Per eliminare i residui di colla

Dopo un’intensa ‘sessione’ di bricolage le vostre mani sono appiccicaticce e sporche. Potete eliminare i residui di colla strofinando il burro per alcuni minuti sulla pelle e risciacquando sotto l’acqua tiepida con un po’ di sapone.

FOCUS: Come togliere le macchie di colla dai vestiti, la guida facile

Per esfoliare e idratare il viso

Il burro scaduto può trasformarsi in un ottimo esfoliante e idratante per il viso. Preparate una lozione facendo sciogliere un pezzetto a bagnomaria con un po’ d’acqua calda e passatelo delicatamente sul visto aiutandovi con dei dischetti di cotone.

Eliminerete così le cellule morte, i residui di trucco e idraterete in  profondità la pelle senza utilizzare prodotti chimici. Aggiungendo un po’ di succo di limone, inoltre, otterrete una crema per le mani perfetta per combattere la secchezza della cute soprattutto in inverno e allevierete piccoli tagli o arrossamenti.

Per alleviare il dolore

Questo è forse l’utilizzo più sorprendente. Massaggiate una noce di burro su ematomi e contusioni: potrete trovare un po’ di sollievo e prevenire la formazione del livido dopo una caduta.

burro scaduto

Non possiamo più servire in tavola il burro scaduto… ma possiamo riciclarlo in molti modi

Come smacchiatore per le superfici in legno

A quanto pare, il burro scaduto è efficace per togliere le macchie sulle superfici in legno. Provate a strofinarne una piccola quantità sui vostri mobili e lasciate agire per un paio di ore. Procedete poi alla pulizia con un panno morbido leggermente umido. Eventuali macchie spariranno e il vostro legno risplenderà come fosse nuovo.

Per lubrificare

Essendo un ottimo grasso, il vostro burro scaduto può essere utilizzato anche per prevenire il cigolio dei cardini delle porte.

E voi? Conoscete altri modi per riutilizzare in maniera ingegnosa il burro scaduto? Tuttogreen è sempre aperto ad ascoltare le vostre idee…

Qualche altro suggerimento

Ecco anche altri alimenti che possiamo riutilizzare creativamente dopo la data di scadenza:

Infine, se ti è piaciuta questa guida su come riutilizzare il burro scaduto, ti piaceranno anche queste ricette anti-spreco del nostro ricettario:

Guida all’acero rosso, una delle piante più coreografiche e fotografate

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Non tutti sanno che l’acero rosso è uno dei primi alberi a fiorire in primavera dopo il lungo letargo invernale. Ma è in autunno che questa pianta dà il meglio di sé, quando il fogliame si accende nelle tonalità calde e intense del rosso, giallo e arancio. Ecco come coltivarlo in giardino e anche in vaso.

Molto diffuso nei parchi e nei giardini di ogni angolo del Globo, l’acero rosso è un elegante e aggraziato albero a foglia caduca appartenente alla famiglia delle Aceraceae. Le piante del genere Acer si distinguono per l’aspetto elegante e il ricco fogliame decorativo di colore rosso intenso o vinaccia.

Comprendendo circa 200 specie diverse, gli aceri rossi possono presentarsi come piccoli arbusti di circa un metro di altezza o come alberi ad alto fusto decisamente imponenti. Alcuni esemplari, infatti, possono superare in 40 metri.

Di contro, esistono alcune varietà di acero rosso giapponese dalle dimensioni estremamente ridotte, coltivabili come bonsai e di grande impatto ornamentale.

Le principali caratteristiche di questa pianta, originaria delle zone settentrionali di Europa e America e dell’Asia orientale, sono il fogliame palmato semplice o composto, di forma lanceolata oppure oblunga, a seconda della specie. I fiori, invece, sono riuniti in grappoli di colore giallo o verde e a differenza delle foglie non sono particolarmente vistosi.

Come la stragrande maggioranza delle latifoglie, anche l’acero rosso predilige i climi temperati e i terreni ben drenati.

Le varietà orientali necessitano di terreni più umidi ed esposizioni in mezz’ombra, mentre le altre possono vivere benissimo anche in pieno sole e in suoli più asciutti.

Scopriamo ora tutto quel che c’è da sapere sull’acero rosso e le tecniche di giardinaggio più indicate per coltivarlo.

Acero rosso

Varietà e tipologie dell’acero rosso

La famiglia delle Aceraceae comprende più di 200 specie del genere Acer, difficilmente elencabili. In generale, però, quelle di dimensioni più grandi sono le specie nord-americane e canadesi che raggiungono (e a volte superano) i 30-40 metri di altezza.

Le varietà di dimensioni più modeste, invece, sono quelle asiatiche che non superano, in genere, i 3-5 metri. Sempre in linea generale, possiamo dire che le specie più diffuse di acero rosso nel Mondo sono le seguenti:

  • Acer Negundo
  • Acer Palmatum
  • Acer Japonicum
  • Acer Platanoides
  • Acer Pseudoplatanus (o Acero Maggiore, la più maestosa)
  • Acer Saccharinum

Quella più diffusa e coltivata in Italia è l’acero palmato, ma sono altresì apprezzate anche le varietà nane, dal fogliame compatto nei toni porpora-violacei o marroni. Alcune varietà non cambiano colore e rimangono rosse per tutto l’anno. Altre, invece mutano in autunno creando effetti cromatici davvero scenografici.

L’acero rosso da cui si ricava il famoso sciroppo d’acero, invece, è l’Acer Saccharinum la cui corteccia, opportunamente incisa, rilascia una linfa dolciastra con cui si produce la melassa tanto cara agli americani.

acero rosso

Acero rosso bonsai

Coltivazione

Tra tutti gli aceri rossi, quello palmato è forse il più adatto alle nostre zone climatiche e anche quello meno esigente. Si può coltivare facilmente in giardino ed è molto diffuso nei parchi e nelle zone boschive pre-appenniniche o collinari.

acero rosso

SPECIALE: Coltivare con la luna, come le fasi lunari influenzano l’agricoltura

Viste le dimensioni, può essere coltivato con successo anche in vaso e in generali in spazi ristretti. L’altezza che questa varietà può raggiungere, infatti, non supera mai i 150 cm.

L’acero rosso palmato, dunque, è una pianta dalla grande adattabilità. Piantumato in giardino assieme ad altri alberi, anche molto vicini e più grandi, non soffre lo spazio angusto e riesce a svilupparsi con grande caparbietà e autonomia.

Tecniche, attrezzi e il tipo di terreno da usare per coltivare le piante:

Il momento migliore per procedere alla piantumazione va da ottobre a marzo, sia in piena terra che in vaso. In quest’ultimo caso occorre utilizzare un contenitore di 60-70 cm di diametro e sufficientemente profondo. Questo consentirà alla pianta di crescere liberamente evitando problematici rinvasi.

Il terreno deve essere umido, ricco, leggermente acidi e soffici. E’ consigliabile aggiungere una buona dose di torba o sabbia di fiume per facilitare il drenaggio. Questa pianta, infatti, non tollera ristagni ed è spesso attaccata da muffe e malattie fungine.

L’esposizione migliore è a mezzombra, in un luogo riparato e non esposto ai fenomeni atmosferici. Si tratta di un albero che non teme il freddo anche pungente, ma soffre molto se esposto per molte ore alla luce diretta del sole.

Le irrigazioni devono essere frequenti e generose, ma mai troppo abbondanti. Tra un’innaffiatura e l’altra occorre aspettare che il terreno sia completamente asciutto.

Per la potatura, l’inverno è il periodo ideale, ma si può procedere anche a marzo. L’importante è non procedere quando l’attività vegetativa della pianta è già iniziata.

acero rosso

Storia e significato

Esistono molte leggende e tradizioni popolari legate a questa pianta, alcune decisamente antiche. In Europa, alcuni alberi di acero vengono chiamati anche ‘alberi celtici‘ poiché i celti consideravano queste piante ‘magiche’.

I latini, invece, attribuiscono all’acero rosso un significato inquietante. Secondo la tradizione, infatti, l’acero rappresenterebbe la paura essendo legato al dio Fobos.

Il motivo è che durante l’autunno le sue foglie si colorano di rosso, il colore del sangue e delle ferite inferte durante le battaglie. Questo ha fatto sì che  gli aceri rossi non si diffondessero così facilmente in Europa Centrale.

acero rosso

L’acero rosso è il simbolo del Canada raffigurato anche sulla bandiera nazionale

In alcune regioni della Francia, invece, si pensava che fosse capace di allontanare i pipistrelli, tant’è che alcuni ramoscelli venivano appesi alle finestre delle case per tenere lontani i pericoli e i cattivi presagi.

I canadesi, infine, hanno rielaborato la tradizione latina facendo dell’acero rosso il simbolo nazionale riportato anche sulla bandiera e sulle divise militari. In questo senso, infatti, il colore rosso del sangue è segno di coraggio e sacrificio per amor della Patria.

Altre informazioni utili

Scoprite dove comprare l’acero rosso:

Ecco infine le nostre guide per i vari tipi di piante:

Alcune ricette di merendine per bambini semplici e sane: quando mangiare bene diventa un gioco

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Ecco qualche idea semplice ed ecologica per merendine per bambini da fare in casa senza troppo sforzo, soluzioni veloci e salutari, adatte per l’età della crescita quando si ha bisogno di mangiare alimenti energetici ed equilibrati.

La merendine per bambini più genuine, complete e salutari, si sa, sono quelle preparate in casa: dalla scelta degli ingredienti migliori e naturali, fino alla preparazione e alla conservazione, la merenda fatta in casa rappresenta un pasto sicuro, dalla qualità garantita, senza l’olio di palma.

E farla in compagnia dei bambini può diventare un’occasione di gioco e divertimento.

La cosa più difficile, a volte, è rendere appetitosi anche gli alimenti meno ‘graditi’ ai più piccoli, magari con un pizzico di creatività e, perché no, con un occhio al salvadanaio, cercando di ricreare con le nostre mani snack e merendine di cui i bambini sono generalmente ghiotti ma che di solito acquistiamo sui banchi del supermercato.

Ricette di merendine per bambini: la nostra selezione

In questa piccola guida sulla preparazione di buone merendine per bambini, vogliamo darvi alcune ricettine sfiziose e suggerimenti utili per riuscire nell’ardua impresa e rendere felici i vostri bimbi in pochi e semplici mosse.

Frullato di banana al cacao

Una merenda deliziosa da gustare in tutte le stagioni, a temperatura ambiente o fredda, e dal gusto più che collaudato.

Questo frullato di banane e latte è reso ancora più goloso dall’aggiunta del cacao, e si prepara davvero velocemente.

Gli ingredienti che occorrono sono:

  • banana matura
  • 1 cucchiaio di cacao amaro
  • 2 bicchieri di latte
  • 1 cucchiaio di miele o di zucchero (se la banana è molto matura potete anche ometterlo)
Merendine per bambini

Un bel frullato, ottime come merendine per bambini

Preparazione:

  • Frullate il tutto per qualche minuto, versate in un bicchiere munito di cannuccia e il gioco è fatto: ecco una merenda sana, completa e buonissima!
  • Un vero concentrato di vitamine, proteine e calcio, fondamentali per lo sviluppo e il benessere.

Buonissimo anche usando il latte vegetale, di riso o di soia, arricchito con calcio derivato da alghe. Per dare ancora più gusto ed energia si possono aggiungere frutta secca, yogurt o cereali. E per i bambini super-golosi una cucchiaiata di gelato alla vaniglia!

La fetta al latte

Pensate sia così difficile realizzare in casa alcune delle merendine più ‘popolari’ dei supermercati? La risposta è no! Basta un po’ di impegno per avere la certezza di far mangiare ai vostri bimbi una merendina sicura e senza conservanti o additivi.

La fetta al latte, per esempio, si prepara con:

  • 2 albumi
  • 60 gr di zucchero semolato
  • 50 gr di burro
  • 60 gr di farina 00
  • 4 cucchiaini di cacao amaro
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci
  • 250 ml di panna fresca
  • 3 cucchiaini di miele

merendine

Preparazione:

  • Montate lo zucchero con il burro fuso fino ad ottenere un composto biancastro e cremoso.
  • Aggiungete uno alla volta gli albumi, gradualmente anche la farina, il lievito, il cacao, e mescolate fino a che il tutto non acquisisca una consistenza liscia e omogenea.
  • Trasferite il composto in due teglie da forno appiattendo la superficie con un cucchiaio.
  • Infornate a 200° per 4 minuti e lasciate raffreddare. Montate la panna addolcita con il miele e spalmatene un bello strato su entrambi i rettangoli che andrete a unire (uno sopra l’altro) delicatamente e avendo cura che combacino bene.
  • Fate raffreddare in frigorifero per almeno un’ora e tagliate in rettangoli più piccoli per servire le vostre fette al latte.

Semplice, divertente e utile per coinvolgere i più piccoli in un’attività … a prova di cuochi!

Merendine per bambini centrifugato

Merendine per bambini: Cosa c’è di più sano di un centrifugato di frutta?

Un centrifugato alla frutta

Estiva, golosa e soprattutto sana, ecco un centrifugato a base di frutta e ortaggi ideale per tutti in bambini, anche quelli intolleranti al latte, alle uova o al glutine. Come se non bastasse, è un escamotage perfetto per far mangiare un po’ di verdura a chi di solito, davanti ai cavoli, storce il naso. Gli ingredienti, infatti, sono:

Preparazione:

  • Mettete nel mixer già lavati, pelati e tagliati a tocchetti oppure interi e non pelati nella centrifuga, tutti gli ingredienti.
  • Il risultato è un succo di frutta e verdura molto dissetante, ricco di fibre e vitamine. Un vero concentrato di benessere che farà felici anche i più piccoli!

Il budino di semolino

Tra le merendine per bambini da fare in casa, non può mancare questa: un dolce semplice, povero di grassi, ottimo come dessert o merenda.

Per prepararlo occorrono:

  • 70 gr di semolino di grano
  • 3dl di latte
  • 20 gr di burro
  • 50 gr di zucchero
  • 2 uova
  • la scorza grattugiata di 1 limone

Merendine per bambini

Preparazione:

  • Fate bollire il latte in un pentolino antiaderente e unite il burro e la scorza di limone. Una volta giunto ad ebollizione unite il semolino e mescolate rapidamente con l’aiuto di una frusta.
  • Lasciate cuocere a fuoco dolce per circa un quarto d’ora.
  • Togliete dal fuoco e aggiungete lo zucchero e i tuorli continuando a mescolare.
  • Montate a neve gli albumi e unite anche quelli alla miscela. Una volta pronto, il composto può essere trasferito in uno stampo e cotto in forno a bagnomaria per 40 minuti a 180°.

Plumcake alla banana

Un’altra idea semplice da realizzare per una merenda sana ed equilibrata, utile anche per consumare la frutta troppo matura che rischia di finire nella pattumiera.

Se avete in casa 3 banane molto mature (talmente mature da essere già nere per intenderci) prima che marciscano potreste provare a preparare un ottimo dolce. Ecco gli ingredienti del plumcake alla banana:

Preparazione:

  • Amalgamate bene tutti gli ingredienti cominciando dal burro fuso e dallo zucchero e procedendo con le uova, le banane schiacciate, la farina setacciata, il lievito e le gocce di cioccolato alla fine.
  • Trasferite il composto in uno stampo da plumcake e cuocete in forno a 180° per 45 minuti. Facile, buona e perfetta a merenda o colazione, magari accompagnata da un bel bicchiere di latte.
merendine per bambini

merendine per bambini, il classicissimo pane e marmellata

Pane e marmellata

Ed ora l’intramontabile pane, burro e marmellata bio (o miele da produzione biologica)  che rimane una delle migliori soluzioni di sempre.

  • Combina la giusta quantità di carboidrati, grassi, zuccheri (e nel caso del miele anche proteine e preziosi sali minerali) per dare ai bimbi energia senza appesantirli.
  • Da provare col pane integrale, ancora più gustoso su cui spalmare nutella fatta in casa.

Merendine a base di semi di chia

I semi di chia vengono dal Centro America, sono poco noti in Europa, ma sono formidabili dal punto di vista nutrizionale.

  • Acquistabili nei negozi bio, sono ricchissimi di vitamine, proteine vegetali, fibre e acidi grassi essenziali.
  • Diventano una merenda ricca e gustosa messi in ammollo nel latte o nel succo di frutta: i semi infatti rilasciano una sorta di gel che trasforma il liquido in un morbida crema. Una merenda insolita ma da provare!

Un ghiacciolo alla frutta

Per le torride giornate d’estate cosa c’è di meglio di un fresco ghiacciolo ?

Per evitare coloranti e additivi sospetti, fateli in casa frullando della frutta fresca biologica con acqua e zucchero di canna. E poi dritti nel freezer, utilizzando i comodi stampini con bastoncino in vendita in molti ipermercati e negozi di casalinghi!

Le gallette di riso

Se si preferisce una merenda salata perché non optare per delle gallette di riso o mais, farcite con dell’affettato magro o, se si preferisce la versione vegetariana, con formaggio spalmabile, pomodorini e olive?

  • La galletta di riso, da sola un po’ insipida, nella versione integrale è più sfiziosa e saporita, così come quella di mais.
  • Piacerà anche ai bimbi dai gusti più difficili anche perché fa crack trai denti!

Merendine per bambini: il panino pizza

Un’ultima idea, per andare a colpo sicuro! Uno snack salato che i bambini adoreranno. La richiesta è sempre la stessa: pizza, pizza, pizza! Accontentateli.

Basta prendere una fetta di pane rustico, cospargerlo di passata di pomodoro, qualche fettina di mozzarella, una spruzzata di origano, qualche minuto in forno sotto il grill…et voila.

Un gustoso panino-pizza che ne imita consistenza e sapore ma con costi e tempi decisamente ridotti.

Altri snack facili da fare

L’educazione alimentare dovrebbe iniziare fin dalla tenera età, per crescere bambini sani e senza scompensi nutritivi. Le merende e gli spuntini sono il tallone d’Achille di ogni mamma perché devono rispondere a determinati requisiti: calmare il senso di fame senza esaurirlo, soddisfare la voglia di qualcosa di sfizioso e, possibilmente, essere il più salutari possibile.

Vi sono alcuni snack ideali per questo scopo perché sono sani, freschi, saziano l’appetito del momento e non contengono sostanze elaborate o raffinate industrialmente.

Frutta

La merenda perfetta sarebbe un frutto di stagione, una mela o una banana per esempio

Questo è purtroppo poco ‘attraente’ agli occhi dei bambini, per cui bisogna ingegnarsi a trovare anche merende più gustose e interessanti per il gusto dei piccoli da alternare alla frutta, così da rendere per loro più piacevole la pausa di metà mattina o della merenda pomeridiana. Meglio da sola o tuffata nello yogurt o nel miele!

Pop corn

Un altro snack “furbo” e sicuramente molto attraente per i vostri pargoli è rappresentato dal pop corn ma attenzione, per essere sano dovrebbe essere fatto scoppiare grazie all’aria calda o, eventualmente, con poco di olio o burro vegetale direttamente in pentola. Ovviamente, poco o zero sale.

Frutta secca

Un’alternativa valida come mele, ananas, banane e qualsiasi frutto vi venga l’idea di affettare e provare ad essiccare in forno così preparato sarà dolce e croccante.

A questa categoria possiamo aggiungere anche noci, nocciole, mandorle, arachidi, anacardi, pinoli e pistacchi: tantissime varianti fantasiose da riporre in un sacchettino e spedire a scuola con il vostro bambino.

Muesli

Un’altra soluzione è quella che negli USA chiamano “granola”, magari muesli fatto in casa nelle più svariate versioni.

E’ possibile fare da sé unendo fiocchi di avena, semi di sesamo o di lino o di zucca prima tostati in padella, addolciti grazie a miele, yogurt o zucchero di canna, arricchiti con frutti rossi essiccati, gocce di cioccolato, frutta secca o nocciole.

Ognuno può creare e mettere alla prova la fantasia creando piccole palline sfiziose o pratiche barrette. Insomma, perché comprare quelle in commercio se possiamo farci un prodotto sano home made con le delizie che più ci piacciono?

Yogurt

Anche lo yogurt è nella classifica delle merendine salutari ma per renderlo più attraente agli occhi dei bambini lo si può congelare. Si possono creare piccoli stecchi di yogurt, al gusto che preferiamo, da congelare e dare come premio al rientro da scuola.

In alternativa, si possono fare anche tanti “bocconcini” semplicemente riempendo la vaschetta del ghiaccio con yogurt, anziché acqua.

Verdure crude

Se siete poi così fortunati da avere a che fare con bambini che amano le verdure, beh, allora il gioco è fatto.

Sfiziosi bastoncini di carota o sedano, figure divertenti e fantasiose realizzate con un mix di forme e sapori diversi. Tutto sta nell’apparenza: ad un buffo pulcino fatto di patata con i pisellini al posto degli occhi, nessuno può resistere!

Insomma, di “trucchi” per rendere uno spuntino sano e, allo stesso tempo, invitante ne ce sono tanti. Il segreto è avere tempo e fantasia.

E voi? Da quale ricetta o snack iniziate per rendere ‘speciale’ la merenda dei vostri bambini?

Approfondimenti a tema

Le nostre proposte di merendine per bambini fatte in casa vi sono piaciute?

Allora eccovi anche altre proposte e consigli utili per le pause ed i pasti dei vostri piccoli:

Farina di banana, una farina senza glutine considerata il nuovo superfood

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La farina di banana è considerata a giusta causa uno dei nuovi superfood che fa tendenza sia sui banchi dei negozi bio che, gradualmente, su quelli della grande distribuzione.

Si tratta un ingrediente della cucina naturale sano, digeribile, versatile in cucina e ricco di proprietà e valori nutrizionali importanti. Si ricava dalle banane verdi, poco dolci e a dispetto di quel che si potrebbe pensare. Nel suo sapore e nell’odore il sentore tipico della banana è quasi impercettibile.

Per questa ragione, la farina di banana non copre gli altri sapori ed è utilizzabile perfino per preparare panepasta e pizza (anche se pare dia il meglio di sé nei pancake senza uova) ed è un validissimo addensante naturale, al pari dell’amido di mais

Scopriamo tutto quello che c’è da sapere su una delle più curiose alternative alla farine bianca senza glutine e impariamo a introdurla nella nostra dieta con ricette semplici e gustose.

farina di banana

La farina di banana è molto simile alla farina di grano tenero anche nell’aspetto, ma molto più sana.

Farina di banana: cos’è

La farina di banana è il prodotto dell’essiccazione e della lavorazione dei frutti più verdi e poveri di zucchero. Le banane vengono pelate, tritate, essiccate e poi macinate  metodo completamente tradizionale, naturale e praticato a mano.

Ciò preserva intatte le proprietà nutritive dell’alimento e conferisce alla farina un sapore molto delicato e una consistenza che ricorda quella delle farine di grano tenero. Per produrre 1 kg di farina di banana occorrono circa 8-10 kg di frutti.

Anche se le popolazioni africane e giamaicane la utilizzano da secoli come alternativa low-cost alla farina di frumento integrale, nei paesi occidentali ha conosciuto una certa popolarità in tempi più recenti.

In cucina, si dimostra molto utile come addensante naturale perché è una fonte molto resistente di amido e in cottura non sprigiona profumi o sapori particolari come la banana. In realtà, il suo è un retrogusto piuttosto terroso e molto vicino a quello della normalissima farina bianca.

Recentemente, inoltre, un team di ricercatori cileni ha messo a punto un metodo produttivo che consente di ottenere la polvere dagli scarti delle banane più mature. Pur non conservando le stesse proprietà dell’amido resistente delle banane verdi e le fibre, la farina così ottenuta rappresenta una soluzione perfetta per contrastare lo spreco alimentare e ridurre i costi finali del prodotto sul mercato.

Valori nutrizionali

Come anticipato, la farina di banana è un’alternativa senza glutine alla farina bianca, quindi adatta anche a chi soffre di celiachia. I sui valori nutrizionale presentano peculiarità molto interessanti, sopratutto per esperti e ricercatori.

In particolare, si è notato che questa farina è un’eccellente fonte di amido resistente, ovvero l’amido che resiste al processo digestivo senza essere scomposto dai succhi gastrici o dagli enzimi presenti nell‘intestino.

La conseguenza, è che una volta ingerita si comporta come una fibra alimentare fermentabile e raggiunge intatta l’intestino crasso dove favorisce la motilità e la regolarità funzionale. Il suo apporto calorico, inoltre, è inferiore a quello della farina di grano tenero anche se gli zuccheri sono presenti in quantità significative.

Tuttavia, l’elevato apporto di fibre e di amido resistente ne rallentano notevolmente l’assimilazione favorendo un persistente senso di sazietà. Inoltre, ha un bassissimo contenuto di grassi ed è una fonte inesauribile di antiossidanti naturali e potassio.

Proprietà e benefici della farina di banana

Dati i suoi valori nutrizionali, scopriamo che la farina di banana è utile per migliorare il benessere e la naturale regolarità dell’organismo, oltre che per prevenire l’insorgenza di molte malattie del metabolismo.

Aiuta a mantenere sotto controllo i livelli glicemici, il colesterolo e previene molti tipi di diabete. Ma vediamo nel dettaglio tutte le sue proprietà e i benefici:

  • Previene la Sindrome del Colon irritabile e i tumori a carico di questo organo;
  • riduce la sensibilità all’insulina a livello intestinale;
  • è indicata per soggetti diabetici o affetti da iperglicemia poiché ha un indice glicemico basso;
  • coadiuva le diete ipocaloriche aumentando il senso di sazietà aiutando la perdite di peso corporeo;
  • riduce il colesterolo cattivo grazie agli amidi resistenti;

Inoltre, è un’eccellente fonte di vitamina E, vitamina K, acido folico, calcio e zinco.

farina di banane verdi

Pane morbido a base di farina di banana

Farina di banana: usi e ricette

Anche se il sapore non ricorda quasi per niente quello della banana, questa farina ha una caratteristica molto importante che bisogna tenere presente prima di utilizzarla in cucina.

L’amido che contiene è termosensibile e una volta sottoposto a fonte di calore si rompe. Per questo motivo si presta perfettamente alla preparazione di ricette crude, come centrifugati, frappèporridge e bevande fredde che saranno energetiche e gustose.

Allo stato grezzo, però, quello stesso amido si rivela un ottimo addensante naturale ed è quindi un ingrediente molto utile se inserito in dolci, dessertsalse, zuppesmoothie e frullati che necessitano di un “aiutino” per guadagnare un po’ di consistenza vellutata.

Un po’ più difficile potrebbe essere il suo utilizzo per la panificazione perché reagisce in maniera diversa alle farine bianche tradizionali in presenza del lievito. Benché si presti alla preparazione di pane e pizza è necessario qualche tentativo prima di azzeccare tempi e dosi perfette. Dove, invece, non è richiesta la lievitazioni, come biscotti e pancake, è veramente insostituibile.

Dove si trova la farina di banane

La farina di banane si trova abbastanza facilmente nei negozi di alimenti biologici e naturali, ma anche in molte catene di supermercati tradizionali. Meglio optare per i prodotti muniti di certificazione biologica che assicurano la salubrità della farina e garantiscono il metodo di lavorazione tradizionale. Ovviamente, si può comprare anche online.

Ricette con la farina di banana

Come detto, la farina di banane dà il meglio di sé nei pancake, ottimi per iniziare al meglio la giornata con una colazione proteica. Ecco la ricetta e il procedimento per prepararli.

Ingredienti

  • 1 tazza di farina di banana
  • 3 cucchiai di miele
  • 3 uova
  • 1 cucchiaino di essenza di vaniglia
  • 1 cucchiaino di bicarbonato
  • mezza tazza di latte di soia o parzialmente scremato

farina di banana

Preparazione

In una ciotola capiente unite e amalgamate la farina di banana all’estratto di vaniglia, latte, bicarbonato e un po’ di succo di limone. A parte, rompete le uova e unitele al miele. Unite tutti gli ingredienti poco per volta e mescolate fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo.

Successivamente, mettete a scaldare sul fuoco una padella antiaderente di piccole dimensioni con un goccio d’olio evo e cuocete uno o due mestoli di impasto formando dei dischi morbidi e dorati. Servite i pancake di farina di banana ancora caldi e con la farcitura preferita.

Altre farine alternative

Ecco infine le nostre guide alle diverse alternative alla farina tradizionale.


Terre de Femmes 2019: Yves Rocher premia le guardiane dell’ambiente

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Impegnarsi davvero per cambiare il Mondo e proteggere la biodiversità dagli effetti dei cambiamenti climatici. È questo lo spirito che anima da sempre le iniziative di Yves Rocher, lo storico marchio francese leader nel campo della cosmesi vegetale e della bellezza naturale.

Forse non tutti sanno che Yves Rocher non è solo un’azienda di cosmetici naturali, ma è il primo e più convinto sostenitore della fondazione Yves Rocher, che promuove da più di vent’anni la salvaguardia della biodiversità attraverso diversi progetti in cui è coinvolta direttamente e attraverso un concorso internazionale che premia le donne più attive nell’ambito del no profit ambientale: il premio Terre de Femmes.

Scopriamo insieme l’aspetto meno conosciuto del noto marchio di bio-cosmesi francese.

Fondazione Yves Rocher

Dal 1991 la Fondazione Yves Rocher sviluppa, promuove e finanzia diversi progetti virtuosi in favore dell’ambiente e premia anche le donne che si sono distinte per il loro impegno nella salvaguardia della biodiversità vegetale.

La Fondazione ha infatti a cuore molte iniziative in favore della Natura e della biodiversità, a cominciare dal progetto di riforestazione “Piantiamo per il Pianeta” attivo da 2007 in diverse zone del Mondo.

L’obiettivo è ambizioso: piantare 100 milioni di alberi entro il 2020 in tutto il Globo. L’iniziativa ha già consentito la piantumazione di più di 88 milioni di esemplari (1 ogni 3 secondi), forte della collaborazione di una rete di piantatori sparsi in 35 Paesi e al sostegno delle 42 ONG che si adoperano per sostenere le economie e le comunità locali nei territori. E non è tutto.

Yves Rocher

Inoltre, organizza il Festival delle Fotografia a La Gacilly, che denuncia il rapporto tra esseri umani e ambiente e sostiene la salvaguardia della biodiversità tramite il contributo finanziario e scientifico di ricercatori e botanici esperti.

Ha anche partecipato al summit ambientale di Rio de Janeiro nel 1992 e nel 2012 e ha reso possibile la conservazione di molti giardini storici in Francia attraverso interventi di riqualificazione mirati.

L’impegno della Fondazione si rinnova ogni anno anche attraverso il concorso Terre de Femmes, lo strumento perfetto per mettere in atto la tutela della diversità biologica.

Con Terre de Femmes la Natura è donna

Anche quest’anno, infatti, Yves Rocher ha avviato il premio Terre de Femmes, un concorso internazionale lanciato nel 2001 e dedicato alle donne che si adoperano ogni giorno per proteggere il Pianeta e le comunità dal deterioramento ambientale.

Questo concorso premia infatti ogni anno le (eco)donne che hanno fatto propri i valori dell’ecologia, dell’eco-sostenibilità e della solidarietà sociale e che cercano di applicarli quotidianamente, esattamente come Yves Rocher fa da 60 anni con la ricerca nel campo della bio-cosmesi.

Donne sempre in prima linea, che con il loro contributo confermano la centralità del ruolo femminile nella costruzione di un futuro più sostenibile per l’ambiente e per le persone.

Per il 2019-2020, le iscrizioni sono aperte dal 6 giugno e termineranno il 12 settembre 2019 (scopri come candidarti: www.yves-rocher.it/it/landing-pages/terre-de-femmes)

Una giuria nazionale selezionerà i progetti che più si sono distinti nell’impegno verso l’ambiente e dalla rosa dei finalisti saranno pescate le tre vincitrici italiane premiate a Milano, mentre la cerimonia internazionale avrà luogo a Parigi in primavera.

Il premio Terre de Femmes: come funziona

Dopo l’esordio del 2016, la Fondazione Yves Rocher celebra in Italia la 4a edizione del premio, che per il secondo anno consecutivo si svolgerà con il patrocinio dell’Ambasciata Francese.

Candidarsi è facilissimo, basta:

  • collegarsi alla pagina dedicata al concorso Terre de Femmes
  • scaricare il regolamento per verificare se si possiedono i requisiti
  • compilare l’apposito dossier
  • inviarlo alla mail terredefemmes.italia@yrnet.com

Dopo la valutazione di tutti i dossier in concorso, una giuria qualificata di esperti selezionerà i 3 progetti vincitori che verranno premiati a dicembre 2019 nel corso della Cerimonia Nazionale in programma a Milano.

Le vincitrici di uno dei tre premi istituiti dalla Fondazione Yves Rocher beneficeranno di un contributo economico per migliorare il loro progetto, di 10 mila euro per la prima classificata, 5 mila euro per la seconda e 3 mila euro per terza premiata.

L’ideatrice del progetto che si aggiudicherà la posizione più alta del podio volerà a Parigi nella primavera del 2020 per partecipare alla cerimonia internazionale del Gran Premio Terre de Femmes, insieme a tutte le vincitrici delle altre nazioni coinvolte.

Dall’anno scorso è stato creato anche un contest internazionale che assegnerà un’ulteriore sovvenzione di 10 mila euro all’idea più meritevole che avrà come tema ‘Piante medicinali: tra modernità e tradizione‘.

Al Premio Terre de Femmes internazionale potranno partecipare sia le vincitrici delle 11 edizioni nazionali che tutte le candidature spontanee di donne impegnate in progetti che abbiano a che fare con il tema prescelto. Avranno tempo dal 15 settembre al 15 novembre 2019.

L’edizione 2018 del Grand Prix ha incoronato la tedesca Stella Deetjen che dal 2009 è impegnata in un programma per la protezione ambientale in Nepal. Stella lotta in prima linea contro la deforestazione e la povertà in una delle regioni più disastrate del Paese, reduce dal tremendo terremoto del 2015. Ciò per cui lavora duramente è un modello di gestione forestale sostenibile mirato all’utilizzo di energie rinnovabili e alla protezione degli habitat dall’inquinamento e dai rifiuti di plastica.

Le vincitrici delle edizioni italiane

Per quanto riguarda l’Italia, la vincitrice della scorsa edizione nazionale del concorso ‘Terre de Femmes’ è stata Debora Rizzetto con il progetto L’ape: sentinella e termometro dell’ambiente.

Grazie al finanziamento ottenuto, Debora ha potuto realizzare l’idea di posizionare degli alveari urbani a Tortona per il bio-monitoraggio della salute pubblica e promuove incontri nelle città e nelle scuole italiane per sensibilizzare la comunità sul problema dell’inquinamento ambientale.

Yves Rocher Terre de femmes

Secondo premio per Giulia Detomati con B Corp Schools, il progetto volto ad introdurre tecnologie di formazione dei changemaker nelle scuole superiori del Paese.

Alla terza posizione è salita Chiara Delle Donne con l’idea Orto2 – OrtoQuadrato, un modello di agricoltura sociale destinato ad aree urbane ad alto rischio di degrado.

Donne speciali, capaci di proporre eco-idee rivoluzionarie che meritano di essere incoraggiate. Donne che sono anche guardiane dell’ambiente e promotrici di nuovi modelli di solidarietà e sviluppo.

Come lo è l’impegno della Fondazione Yves Rocher.

Terre de Femmes: una vocazione ‘naturale’

Esattamente come un’ape, la donna è per Yves Rocher la risorsa più preziosa nella lotta per l’ambiente, l’alleata d’elezione su cui contare per affrontare le sfide che ci attendono.

Ed è proprio questa una delle missioni più importanti della Fondazione, sotto l’egida dell’Institute de France e la spinta di Jacques Rocher: sostenere donne impegnate per l’ambiente che creano comunità attive.

Yves Rocher

In 18 anni di attività,  il concorso Terre de Femmes ha premiato più di 430 donne di 11 Paesi del Mondo e ha consentito di realizzare innumerevoli progetti in 50 Paesi differenti, con investimenti totali per più di 2 milioni di euro.

Con il premio Terre de Femmes e l’attività della Fondazione, Yves Rocher ribadisce la sua vocazione naturale alla sostenibilità e alla lotta contro la corruzione degli ecosistemi, e condivide l’amore e l’impegno per la Natura con chi cerca di disegnare per il Pianeta un orizzonte migliore.

La ciclovia Vento è la strada che unisce Torino a Venezia, a piedi o in bicicletta

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Procedono i lavori a completamento della ciclovia Vento da Torino a Venezia, il più grande progetto di mobilità dolce del Nord Italia. Si tratta di ben 679 km di strada ciclopedonale lungo l’asse del Po. Andiamo a scoprirlo!

La ciclabile Vento 

Chiamata comunemente Vento, che sta per Ven(ezia)-To(rino) è una pista ciclabile di 679 km che unisce le due città. Si tratta del più grande progetto di ciclovia italiana che porta da Venezia a Torino, passando da Milano, per poi proseguire oltralpe, costeggia il fiume Po e attraversa tutta la Pianura Padana.

Non è tra le più lunghe in Europa, ma per l’Italia è il primo esempio di investimento in mobilità dolce e avvicina finalmente l’Italia alle piste europee più conosciute. 

Il progetto 

La ciclovia Vento è stata progettata da un team di architetti, pianificatori ed esperti di urbanistica del Politecnico di Milano.

Concept di progetto 

L’idea dei progettisti era di realizzare non una semplice ciclabile, ma un bene al servizio di tutti i Comuni che vengono attraversati.

Vento è un opera che può portare grandi vantaggi economici, facendo rifiorire l’economia di tutti i territori, anche i piccoli paesi, che si trovano sulle rive del Po. Oltre ad essere un progetto in linea con le nuove richieste di mobilità sostenibile e turismo ecocompatibile. Molte aree europee sono infatti  già provviste di lunghe ciclovie trans-nazionali molto amate e utilizzate dai cicloturisti.

Tra gli obiettivi del progetto c’è anche quello di incrementare il turismo in Italia: la ciclovia attraversa città d’arte e piccoli villaggi, aree protette e territori di grande valore storico.

Da qui l’opportunità di sfruttare l’immenso patrimonio rurale e artistico per aprire allo sviluppo di un interessante nicchia di mercato turistico.

Non è stato facile, ammettono i ricercatori del Polimi, incontrare il consenso delle istituzioni, che tuttavia stanno aderendo sempre più. A dover cambiare è stata la concezione del trasporto su due ruote, per passare da quella della viabilità urbana a quella del lavoro sinergico per una ciclovia che possa essere gestita in cooperazione e che possa portare, allo stesso modo, benefici a tutto il territorio incluso nel tracciato, grazie allo sviluppo delle strutture ricettive per i turisti.

Obiettivi della ciclovia Vento

Il progetto non si esaurisce nella realizzazione di una pista ciclabile, ma intende favorire anche la nascita del turismo su due ruote, praticamente assente in Italia, e che invece in molti Paesi più a Nord costituisce una importante voce nel bilancio turistico.

Un’idea di mobilità sostenibile, quindi, che è anche una proposta per superare la crisi economica attraverso la valorizzazione delle risorse già presenti.

Costo del progetto 

Il progetto della ciclovia Vento è ambizioso. Proprio in quest’ottica l’équipe di ricercatori ha percorso, in sella alle bici, i 679 km di territorio interessato, valutando caso per caso tutti gli ostacoli presenti e le più efficaci soluzioni per garantire il passaggio ed elaborare un tracciato che tenga conto di tutte le piste già presenti ed utilizzabili. In questo modo è stato possibile contenere i costi del progetto.

Si stima dunque un costo complessivo per la realizzazione della pista ciclopedonale di oltre 80 milioni di euro proprio perché  si parte da una rete di ciclabili già esistenti, che al momento costituiscono il 15% dell’intera opera.

ciclovia vento

Per superare il problema degli sbarramenti e recinzioni che al momento non permettono di chiudere alcuni anelli ciclabili basterebbe un impegno della politica nella semplificazione dei regolamenti d’uso sugli argini o sulle strade vicinali.

La spesa è da suddividere tra tutti gli enti pubblici che ne usufruiranno: Stato, Regioni (sono 4), Province (12) e molti comuni coinvolti nel tracciato.

Dove passa la ciclovia Vento? 

La Vento vuole portare il ciclista in giro per le bellezze dell’Italia ed il Belpaese, si sa, di bellezze ne offre moltissime! Il turista potrà godere delle bellezze storiche nella grandi città d’arte, dell’offerta enogastronomica che offre la pianura Padana e delle bellezze della natura tra parchi e aree protette che si snodano lungo il suo percorso.

Il patrimonio artistico e culturale italiano è un vero e proprio lasciapassare che ci rende famosi in tutto il mondo, e si trova dislocato in una miridade di piccoli centri urbani e non solo nelle grandi città. La ciclovia permetterà ai turisti di gustare in modo lento, assaporandolo meglio, il nostro bene più prezioso.

Ma vediamo nel dettaglio il mirabolante percorso che dovrebbe compiere la pista.

Le città

Le città toccate da Vento sono Venezia, Ferrara, Mantova, Parma, Milano, Alessandria e Torino, che si raggiunge attraverso il Naviglio Pavese.

Se si parte dal Lido di Venezia, dopo due tratte in traghetto, si arriva a Chioggia, per poi raggiungere il Polesine attraverso il canale di Burana. Da lì si prosegue sul Po fino a Pavia, dove attraverso la ciclabile del Naviglio Pavese si arriva a Milano.

Dal capoluogo lombardo, si può raggiungere il Piemonte attraverso il Monferrato, fino a Torino, passando per una miriade di cittadine e centri abitati minori.

Borghi

Sono molti i borghi che la ciclopedonale Vento darà modo di visitare: l’Italia offre luoghi piacevoli, ricchi dit radizione, dal Monferrato, con la sua vasta offerta enogastronomica, ai parchi naturali del delta del Po, alle cittadine medievali della Emilia Romagna, fino ad arrivare in Lombardia, e in Piemonte, dove si trovano piccoli comuni ricchi di storia e architettura famosi per prodotti di eccellenza, per le coltivazioni specifiche e tradizioni enologiche.

Aree protette

Sul totale del tracciato, 264 km di ciclovia attraversano delle aree protette. Si tratta di

  • Lido di Venezia e Chioggia
  • Il Polesine e il canale di Burana
  • La foce del Po
  • Pavia e il Naviglio

Vento e infrastrutture collegate 

Per inserire la ciclabile in un contesto di mobilità europea, il progetto è stato pensato per essere collegato al centro di una capillare rete di trasporto pubblico.

Affinché possa essere attraversata da tutti e senza alcun rischio, si è pensato infatti di posizionare un raccordo verso una stazione ferroviaria ogni 6 chilometri: saranno quindi collegate alla ciclovia ben 115 stazioni così da poter terminare la tappa e raggiungere comodamente le principali città.

Anche le imbarcazioni sul Po saranno pensate per accogliere eventuali turisti con bicicletta a seguito.

Collegamento con l’Europa 

La pista Vento è pensata come parte di una ben più lunga ciclabile che da Torino arriva a Nizza, che unisce Verona e il Brennero e che si collega anche alle tante piste che costeggiano i grandi fiumi Ticino, Adda, Mincio, Secchia.

Vento sarà inclusa nella cosiddetta strada del Mediterraneo, la EuroVelo 8 (EV 8), il percorso ciclopedonabile che unirà Cadice, in Spagna, con Limassol a Cipro.

Esistono ulteriori collegamenti con la superpista europea per fare Parigi-Londra in bici.

Vento: cicloturismo 

Il rientro economico per tutti i paesi percorsi dal Vento sarà dovuto al cicloturismo, una forma di ecoturismo un turismo virtuoso che nei paesi europei è molto apprezzato da tempo e qui in Italia si sta affacciando lentamente.

Il turismo porterà nuovi posti di lavoro, se ne stimano 2mila nuovi,e alimenterà le economie locali con nuove attività ricettive, nuove strutture per la ristorazione.

Bici Tour 2019

Per dimostrare che la realizzazione di un unico tratto ciclabile che colleghi le città lungo il Po è possibile, non c’è che da percorrerlo: l’équipe di ricercatori del dipartimento di infrastrutture e progettazione del Politecnico di Milano, coordinati dal direttore scientifico Paolo Pileri, torna ogni anno in sella per compiere un tourin quindici tappe da Torino fino a Venezia.

Si  è da poco concluso il Vento Bici Tour 2019 partito da Chivasso (Torino) e arrivato al Lido di Venezia. È stata la settima edizione.

Due week end di eventi e tour in bicicletta:

  • il primo per la tratta Chiavasso- Piacenza,
  • il secondo per la tratta Reggio Emilia-Venezia.

Anche nel 2019 è stata l’occasione per organizzare eventi, corsi formativi e incontri. In particolare:

  • Learning by bike: lezioni in bicicletta di paesaggio, ambiente e infrastrutture leggere, un corso di formazione dedicato agli studenti del Politecnico di Milano
  • Ciclabili e cammini per riscattare il Paese il convegno dedicato a turismo lento e mobilità dolce organizzato dal Politecnico di Milano in collaborazione con CAI e Sentiero Italia CAI
  • Cingomma: raccolta di copertoni e camere d’aria usati che grazie all’economia circolare diventeranno cinture e portafogli made in Italy acquistabili al Politecnico di Milano

Vento: iter di un progetto italiano 

Quello per la fattibilità della ciclovia Vento è il primo bando italiano per un’opera pubblica che attraversa 4 regioni, 13 province e oltre 120 comuni. Un bando voluto da Stato, Regioni ed enti locali (Provincie e Comuni). Il progetto voluto da Mibact (Ministero dei Beni e Attività culturali) e dal Mit (Ministero delle Infrastrutture e Trasporti) ha come partner tecnico il Politecnico di Milano.

2015, Legge di Stabilità 

La legge di Stabilità ha stanziato 94 milioni di euro nel 2015 finalizzati alla costruzione di quattro grandi ciclabili in Italia. Sono:

  • Ciclovia del Sole
  • Ciclovia dell’acquedotto pugliese
  • Grande raccordo anulare delle biciclette di Roma
  • Ciclovia Vento

2016: protocollo d’intesa

Viene firmato nel luglio del 2016 un Protocollo d’Intesa tra Mit e Mibact con le Regioni interessate dal progetto Vento (Piemonte, Lombardia , Emilia Romagna e Veneto) che ha segnato l’inizio del Sistema Nazionale delle Ciclovie Turistiche e ha dato avvio alla progettazione e realizzazione della Ciclovia Vento.

L’ente capofila è la Regione Lombardia, il supporter tecnico è il Politecnico di Milano.

2017: bando di gara per  progettazione di fattibilità tecnica ed economica

Il bando per l’assegnazione del progetto viene pubblicato nel settembre 2017: si tratta del primo bando di gara in Italia per la progettazione di un’infrastruttura cicloturistica di lunga distanza. Il termine per la partecipazione al bando è il 3/11/2017: è un bando unico, del valore di 1.793.093,14 euro per un’opera pubblica che attraversa il territorio di 4 regioni, 13 province e oltre 120 comuni.

 2018: affidamento della progettazione

La progettazione del primo lotto viene affidata ad un raggruppamento temporaneo di progettisti (Rtp) coordinato da Cooprogetti Società Cooperativa.

2019: pedonabilità in sicurezza

Vento è oggi pedalabile e in sicurezza per una lunghezza totale di oltre 100 chilometri sparsi tu tutto il suo percorso.

Vento: stato attuale 

Allo stato attuale la ciclovia Vento è ancora un progetto a metà. Non può ritenersi conclusa l’opera pur essendo oggi già attraversabile a piedi in piena sicurezza.

Il 25% dell’intero tracciato esiste già e presenta tutti gli standard di sicurezza necessari.  Oggi il tracciato si presenta come segue:

  • 102 km (il 15% del percorso totale) è esistente, percorribile a piedi e in bicicletta e messo in sicurezza.
  • 284 km (il 42% del tracciato totale) è pedalabile ma non è messo in sicurezza e necessita di interventi.
  • 293 km (il 43% del percorso totale) necessita di interventi di adeguamento.

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Le varietà più spettacolari di cactus, piante grasse dal potenziale ornamentale non sempre conosciuto

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Il cactus è una delle piante ornamentali dall’aspetto più curioso e singolare. Spinosissimo, a volte ricurvo, bitorzoluto o eretto, trattasi di una pianta succulenta originaria della Patagonia e di alcune regioni dell’Africa che a dispetto delle sembianze non proprio “convenzionali” è capace di produrre pochi, ma straordinari fiori coloratissimi e scenografici.

Dietro la bellezza dei fiori di cactus si nasconde, in realtà, un particolare piuttosto macabro: alcune varietà, infatti, producono fiori dall’odore di carne avariata. Questo sentore è molto gradito agli insetti necrofili che hanno il compito di fecondare la pianta.

Già in tempi lontani del cactus erano note anche le proprietà curative e gli effetti allucinogeni di alcuni estratti. Dai semi del frutto del Fico d’India, ad esempio, si estrae il prezioso olio di cactus che ha proprietà rigeneranti, ristrutturanti, rassodanti e aiuta a rallentare il processo di invecchiamento della pelle.

Nell’antichità, i cactus venivano utilizzati per erigere muri divisori e recinzioni naturali impenetrabili. In altri casi, come legna da ardere.

Curiosi di scoprire tutto su queste piante così bizzarre e affascinanti? Ecco tutto quello che c’è da sapere sui cactus, sulle sue caratteristiche e sulle tecniche di coltivazione in vaso.

cactus

Spettacolare fioritura rosa di un cactus

La pianta del Cactus

Con il termine “cactus” si definiscono genericamente  tutte quelle piante afferenti alla grande famiglia botanica delle Cactaceae che include circa 3.000 specie.

La cosa che non tutti sanno è che il cactus appartiene allo stesso ordine di spinaci, barbabietola, amaranto, grano saraceno, garofano e altre piante molto comuni. I cactus, infatti, rappresentano una sterminata famiglia di piante succulente appartenenti all’ordine delle “Caryophyllales“. Dalle nostre parti, molte varietà crescono spontanee in Basilicata, Calabria, Sicilia, Puglia e Sardegna. 

Un po’ come le piante grasse, queste piante sono dette “succulente” perché hanno la capacità di trattenere l’acqua necessaria alla loro sopravvivenza, sopportando così lunghi periodi di siccità. Questa caratteristica li rende adatti alla vita in zone desertiche o molto aride e conferisce loro l’aspetto carnoso che noi tutti conosciamo.

Nei cactus le foglie sono sostituite da spine, a volte uncinate e grosse, altre piccolissime e quasi impercettibili ma davvero molto fastidiose anche al minimo tocco. Come è intuibile, i cactus vivono bene in zone a clima caldo e secco e in posizioni esposte alla luce diretta del sole. Ma scopriamo come coltivarli anche in vaso.

Cactus: coltivazione in vaso

Nei vivai e nei negozi di giardinaggio specializzati è possibile acquistare praticamente ogni tipo di cactus. Se ne trovano di svariate dimensione e forme, da quelli più piccoli di appena pochi centimetri ad alti decisamente più sviluppati.

Il consiglio è di acquistare un cactus giovane per godere delle incredibili mutazioni che subirà durante la crescita. Verificate bene con il vivaista che la vostra pianta sia adatta all’ambiente in cui verrà inserita, perché alcune varietà crescono per svariati metri in altezza.

Esposizione

In vaso il cactus ha bisogno di ben poche accortezze, per quanto fondamentali ai fini della sua sopravvivenza. La prima accortezza dovrà essere quella di posizionare il vaso in un punto ben assolato per buona parte della giornata. L’ideale, sarebbe un luogo dove la luce del sole colpisca la pianta su ogni lato. In alternativa potete ruotare di tanto in tanto il contenitore in modo da far crescere uniformemente il vostro cactus.

Se notate che la colorazione tende a virare verso il rosso spostate immediatamente la pianta in un posto meno caldo. Ricordate che il cactus tollera bene anche il freddo, ma a patto che la temperatura esterna non scenda sotto i 10 gradi. In quel caso, spostatela in casa o in un luogo riparato.

Terreno

Il terreno ideale è leggero e drenante, un mix di terra e sabbia, addizionato con parti di pomice ed argilla espansa. Il terreno non dovrà mai essere pressato o troppo compatto, pena la morte della pianta.

Irrigazione

Come è facile intuire, queste piante hanno bisogno di innaffiature al quanto scarse e sporadiche. In estate, specie nei periodi di caldo intenso, assicuratevi che il terreno in superficie sia sempre leggermente umido, ma non eccessivamente bagnato. In tutti gli altri casi, procedete con un’innaffiatura una volta a settimana.

D’inverno, invece, non devono essere innaffiati quasi mai. Assolutamente da evitare i ristagni nel sottovaso che potrebbero cause pericolosi marciumi. E infine un consiglio: innaffiate il vostro cactus a sera con acqua a temperatura ambiente.

Come coltivare il cactus in casa

Il consiglio numero 1 per coltivare con successo queste piante in casa è assicurargli una posizione quanto più possibile vicino ad una fonte di luce naturale. In inverno, tenete le piante riparate dal caldo dei radiatori e non esponete i vasi ad escursioni termiche o improvvise folate di aria fredda.

Anche in questo caso, ricordate di girare di tanto in tanto il vaso per assicurargli tutta la luce di cui ha bisogno su ogni lato. Di anno in anno sarà necessario provvedere al rinvaso spostando la pianta in un contenitore adatto alle sue esigenze e all’apparato radicolare più esteso.

cactus

Perfetta come pianta ornamentale anche da interno, il cactus ha bisogno di ben poche attenzioni…

Cactus: i tipi e le varietà più belle

Come detto, la grande famiglia dei cactus include più di 3.000 varietà, tutte simili e al tempo stesso diverse per forma, dimensioni, caratteristiche estetiche e fioritura.

Alcune sono irregolari, provviste di spuntoni e moltissime spine appuntite. Altre hanno un aspetto decisamente meno temibile e si adattano bene sia ai nostro climi che alla coltivazione in vaso.

Vediamo 3 varietà molto apprezzate come piante ornamentali.

Echinopsis chamaecereus

Si tratta di uno dei cactus più amati e coltivati, in quanto regala splendide fioriture di colore arancione e rosso. I fiori sono di grandi dimensioni, tra i più belli che si possono ammirare tra le piante grasse fiorite. Come tutti i cactus, anche questa varietà ha bisogno di molta luce e poca acqua. Assicuratele una posizione accanto ad una finestra assolata e vi stupirà con le sue meravigliose infiorescenze.

Cactus Zebra

La sua caratteristica inconfondibile consiste nelle foglie striate che ricordano molto le striature bianche della zebra. Noto anche con il nome di Haworthia, è tra i più semplici da coltivare in casa anche perché non ha bisogno di tantissima luce come gli altri cactus. Durante lo sviluppo, infine, le dimensioni di questa varietà tendono a rimanere piuttosto ridotte.

Opuntia

Si tratta del tipo di cactus più diffuso nel nostro Paese e in Europa Meridionale. Facilissima da coltivare,  dà il suo meglio in campo aperto, dove raggiunge dimensioni davvero notevoli. Si rivela rigogliosa e opulenta anche nella coltivazione in vaso.

Se piantato in giardino, è capace di vivere senza alcuna cura o irrigazione, accontentandosi dell’acqua piovana. sopravvive tranquillamente con la sola acqua piovana. La sua particolare forma “a orecchio” la rende davvero molto decorativa e singolare.

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Affumicatura o affumicamento, un’antica tecnica di conservazione dei cibi da conoscere

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L’affumicatura è una tecnica di conservazione degli alimenti che viene praticata da secoli anche per insaporire alcuni cibi con l’inconfondibile sentore del legno bruciato lentamente sulla fiamma spenta.

L’affumicatura può essere realizzata in vari modi e secondo varie tecniche. Quelle tradizionali, sono l’affumicatura a freddo e a caldo che possono essere praticate per la conservazione e il trattamento di alimenti come carne, pesce, verdure, formaggi e anche di alcune bevande, quali birra, whisky, tè. 

C’è anche il meno noto sale affumicato le cui origini risalgono alle più antiche tradizioni scandinave.

Rispetto al metodo di conservazione sotto sale, l’affumicatura altera decisamente il sapore del cibo e ne modifica, in parte, le qualità organolettiche. Ma vediamo quali sono i segreti di questa antichissima tradizione, come realizzarla in casa e su quali alimenti.

Affumicatura: cos’è e a cosa serve

Sin dai tempi più remoti, l’affumicatura è un metodo utilizzato per prolungare la conservazione degli alimenti e per modificarne alcune caratteristiche, come colore, sapore e aroma. I cibi che tradizionalmente vengono sottoposti all’affumicatura sono:

  • speck
  • salsiccia
  • pancetta
  • Prosciutto di Praga
  • wurstel
  • salmone
  • aringa
  • provola
  • scamorza.

Più che per conservare gli alimenti, oggi l’affumicatura viene eseguita per aromatizzare alcune preparazioni dato che non considerata sicura dal punto di vista microbiologico.

affumicatura

Tecniche ed esecuzione

La tecnica tradizionale si esegue a partire dalla combustione lenta, incompleta e senza fiamma di vari tipi di legna a basso contenuto di resina. Le sostanze liberate durante questo trattamento intaccano e alterano gli strati più superficiali dell’alimento, alterandone in parte le caratteristiche organolettiche e allungandone la conservazione.

Il processo di affumicatura è accompagnato o preceduto spesso da altre tecniche conservative, come l’essiccamento, l’insacco o la salagione che favoriscono la penetrazione del fumo nell’alimento.

Il processo industriale di affumicatura avviene in locali e affumicatoi appositi entro i quali il fumo viene prodotto per combustione incompleta e convogliato all’interno della camera in cui è alloggiato il prodotto da affumicare. In ambito domestico, come vedremo più avanti l’affumicatura può essere eseguita sul barbecue, sulla brace, in forno o in pentola.

Affumicatura a caldo e a freddo

A seconda della temperatura raggiunta, gli alimenti possono essere affumicati a:

  • caldo (50-85°C per 2-4 ore)
  • semifreddo (25-40°C diverse ore)
  • freddo (20-25°C per qualche giorno)

Una tecnica più moderna è l’affumicatura a  liquido, praticata cioè tramite condensazione e purificazione del fumo. Si tratta di una sorta di distillazione della condensa prodotta dalla combustione della legna che consente di abbattere la maggior parte delle sostanze potenzialmente nocive (formaldeide, idrocarburi policiclici aromatici, benzopirene ecc) che possono avere effetti cancerogeni sull’organismo.

Legno per affumicatura

Generalmente si utilizzano i trucioli delle qualità di legname più duro e meno resinoso. Quercia, castagno, noce, pioppo, acacia, betulla, faggio, oppure di piante aromatiche come timo, alloro, maggiorana e rosmarino.

La legge vieta l’utilizzo di legnami e vegetali legnosi impregnati, colorati, incollati, dipinti o chimicamente trattati. Sconsigliato è anche l’uso di legna umida o ammuffita.

Breve storia dell’affumicatura

Prima dell’avvento della refrigerazione e dei più moderni metodi di conservazione degli alimenti, l’affumicatura fu per molti secoli fondamentale per il sostentamento di intere popolazioni. Si tratta, dunque, di un metodo molto antico che si presume risalga addirittura a 90 mila anni fa.

La scoperta sarebbe del tutto casuale poiché i nostri antenati l’avrebbero appresa affumicando involontariamente i cibi appesi alle pareti delle caverne con il fuoco utilizzato per scaldarsi e cuocere la cacciagione.

I cavalieri templari utilizzavano questa tecnica per conservare al meglio il pesce e la carne durante le loro interminabili spedizioni, tra cui le crociate. I cibi così trattati, venivano poi insaporiti con spezie e altri aromi per migliorarne il sapore al palato.

Affumicatura dei formaggi

I formaggi che si prestano maggiormente ad essere sottoposti a questa tecnica di conservazione e aromatizzazione sono quelli a pasta filata o semidura o i formaggi freschi come ricotta, scamorza, provolone, mozzarella.

Per eseguire l’affumicatura di questi formaggi si utilizzano trucioli di legno, paglia ed erbe aromatiche come ginepro, alloro e rosmarino. In casa, l’affumicatura dei formaggi può essere eseguita secondo un’antica tecnica che utilizza una pentola di alluminio o ghisa e una griglia.

Affumicatura della carne

Assieme al pesce, la carne è uno degli alimenti tradizionalmente più legato a questo tipo di trattamento. Anticamente, infatti, l’affumicatura della carne ha consentito a generazioni di antenati di poter contare su una buona scorta di cibo anche durante i freddi inverni o le carestie.

Il muscolo di manzo e le carni di suino sono quelle preferite da chi ama affumicare i cibi. Tra queste:

  • pancetta
  • prosciutto di Praga
  • salsicce
  • wurstel ecc.

A parte il metodo industriale, in casa l’affumicatura della carne può avvenire in affumicatoi domestici alimentati a:

  • Legna: si utilizzano blocchi di legno e trucioli che conferiscono il loro aroma e sapore alla carne.
  • Carbonella: materiale che brucia più lentamente e a ritmo costante rendendo l’affumicatura più semplice per i principianti. Lo strumento classico per eseguire questo metodo è il barbecue.
  • Gas: pur essendo semplice e non soggetto a mutazioni di temperatura, non conferisce alla carne il tipico sentore di affumicato.
  • Elettricità: anche in questo caso, la semplicità di utilizzo paga un po’ nel sapore.

Affumicatura del pesce e del salmone

Un must della cucina internazionale è certamente il salmone affumicato. Basta un bel trancio di salmone di buona qualità e di medio-grande pezzatura per portare nel piatto un alimento davvero gustoso e dal sapore inconfondibile grazie al tocco dell’affumicatura.

Ciliegio, noce e melo sono i legnami più adatti all’affumicatura del salmone e del pesce in generale. La cosa molto importante, nel caso di questo particolare tipo di pesce, è che il fumo deve arrivare alla carne già freddo. L’affumicatura è lenta, la temperatura costante e non troppo elevate, mentre il tempo necessario è circa 13 ore.

affumicatura

Affumicatura fatta in casa

Una tecnica casalinga più sicura e salutare prevede l’affumicatura a forno spento. In questo caso, occorre preparare adeguatamente l’alimento stesso con una marinatura che consentirà di disidratare la polpa. La soluzione per marinare la carne o il pesce si prepara con sale (70%) e zucchero (30%). Una volta che l’alimento avrà perso molto del volume iniziale lo si de asciugare accuratamente con un canovaccio pulito.

Servendosi di una pentola con i fori sul fondo (tipo quella che si usa per le castagne) create una brace con carbonella ecologica, un po’ di paglia ed erbe aromatiche e un cucchiaino di zucchero. Accendete il fornello a fiamma bassa e riponetevi sopra la pentola. Dopo qualche minuto la combustione inizierà a sprigionare il suo fumo aromatico.

Posizionate la pentola sul ripiano inferiore del forno, mentre in quello superiore riponete una teglia con del ghiaccio. In mezzo dovrà essere collocato un contenitore forato entro cui metterete l’alimento da affumicare e un cucchiaio di sale. Lasciate il tutto nel forno spento per 4 ore e fate raffreddare solo al termine del processo in una soluzione di acqua, ghiaccio e sale grosso.

Rischi per la salute

Diversi studi hanno stabilito che mangiare cibi affumicati aumenta il rischio di sviluppare attività cancerogene. La causa principale è negli aromi artificiali che vengono utilizzati per accelerare l’affumicatura e nelle sostanze rilasciate dal processo di combustione della legna.

Per limitare tali rischi e ridurre la tossicità della legna, sono state adottati una serie di provvedimenti legislativi e accorgimenti a livello industriale. Tuttavia, il consumo di alimenti affumicati deve rimanere occasionale e non abitudinario nella dieta quotidiana.

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Un altro piatto per l’estate: la ricetta dell’insalata di avocado e arance

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Scopriamo insieme la ricetta dell’insalata di avocado e arance: fresca e ricca di vitamine, è ideale come piatto unico leggero nella stagione più calda.

L‘insalata di avocado e arance è fresca e ricca di vitamine e fibre, ideale come piatto unico leggero, ma completo, fresco quanto un’insalata caprese e adatta per ogni periodo, specie quando sono disponibili le arance di stagione.

Anche per gli amanti più fedeli dell’avocado, l’abbinamento con arance e carote potrebbe sembrare azzardato: tuttavia, boccone dopo boccone, vi convincerete del contrario. In questa ricetta, infatti, la delicatezza e il sapore ‘morbido’ dell’avocado si fonderanno perfettamente con la croccantezza e dolcezza delle carote, mentre il sapore più deciso e acidulo degli agrumi renderà il piatto fresco, dissetante e brioso.

L’insalata che vi proponiamo si presta anche come accompagnamento di secondi piatti robusti e può essere conservata per alcuni giorni in frigo senza perdere sapore e freschezza. Come per le altre ricette a base di avocado, però, ricordate di aggiungere del succo di limone per evitare che ossidando scurisca.

Lo sapevi? Cinque buone ragioni per mangiare un avocado

Ricetta dell’insalata di avocado e arance

Ma passiamo alla preparazione della nostra insalata di avocado e arance.

Ingredienti per 4 persone

Gli ingredienti sono pochi e semplici:

  • 3 avocado maturi
  • 3 arance di medie dimensioni
  • 2 carote
  • 2 cucchiai di succo di limone
  • 2 cucchiai di olio evo
  • 2 spicchi d’aglio o un cucchiaino di aglio in polvere
  • 2 cucchiai di semi di cumino tostati e tritati
  • 1 cucchiaio di semi di coriandolo tostati e tritati (opzionali)
  • 1 manciata di coriandolo fresco (opzionale)
insalata di avocado e arance

Leggera, ma nutriente, l’insalata di avocado e arance può essere anche un piatto unico grazie alle proprietà nutritive dell’avocado

La preparazione dell’insalata

Sarà sufficiente seguire questi semplici passaggi:

  • Schiacciate l’aglio e unitelo al sale, all’olio, al peperoncino e alle spezie per creare una salsina che farà da condimento.
  • Preriscaldate il forno ad alta temperatura e disponete le carote pelate e mondate in una teglia con un po’ di acqua fredda sul fondo.
  • Infornate e fate cuocere per 20 minuti fino anche le carote non risulteranno leggermente dorate.
  • In una terrina a parte pestate con la forchetta 1 avocado fino ad ottenere una crema morbida che adagerete sulle carote.
  • Proseguite la cottura in forno per altri 20 minuti e lasciate riposare a temperatura ambiente. Se il grado di cottura è quello giusto, nella teglia dovreste avere un buon sughetto: tenetelo da parte per quando assemblerete gli ingredienti e utilizzatelo come condimento dell’insalata.

SPECIALE: Insalata di arance: 3 ricette

  • Nel frattempo pulite gli altri 2 avocado e tagliateli a fette spesse e lunghe.
  • Sbucciate le arance, tagliate le fette a metà e riponetele in una ciotola molto ampia dove unirete le carote, l’avocado a fette, la salsa di aglio già pronta.
Ricetta dell'insalata di avocado e arance

Ricetta dell’insalata di avocado e arance

  • Aggiustate di olio, sale, pepe e un pizzico di peperoncino e guarnite con i semi di cumino e coriandolo tostati e i rametti di coriandolo.
  • Il tocco finale? Aggiungete della valeriana con un filo di aceto balsamico per rendere ancora più ricca e completa la vostra insalata!

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Quali sono i diversi tipi di terreno e a quali piante o coltivazioni si prestano?

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I tipi di terreno su cui coltiviamo le nostre essenze vegetali preferite possono sembrare tutti uguali, almeno a prima vista o per chi non è molto esperto di giardinaggio. Eppure non è così, infatti la classificazione dei diverse tipologie di terreno è ben più ampia di quel che potremmo pensare.

Chi ha la fortuna di disporre di orto e giardino, o semplicemente di un piccolo pezzo di terra coltivabile, farà meglio ad analizzare attentamente il suolo con cui ha a che fare così da scegliere le specie più adatte e approntare le giuste tecniche di coltivazione.

Ci sono terreni acidi, limacciosi, ghiaiosi, sabbiosi, argillosi e tanti altri ancora che si prestano ad accogliere favorevolmente alcune varietà piuttosto che altre. Allo stesso modo, il tipo di terreno che utilizzeremo determinerà anche il concime o la composta da aggiungere, il momento ideale per farlo e l’apporto idrico.

Impariamo, dunque, a conoscere e riconoscere i diversi tipi terreno in base alle caratteristiche intrinseche di ognuno e cerchiamo di capire a quali cultivar si adattano per praticare giardinaggio in modo corretto e appagante.

Classificazione dei tipi di terreno

In tema di terreno e di tipologie di suoli, le classificazioni di riferimento non sono univoche e standardizzate come succede in botanica con le diverse varietà di piante. Occorre tenere presente determinati fattori ambientali e climatici, anche se una prima, sommaria classificazione individua 3 tipi di terreno principali:

  • limoso
  • sabbioso
  • argilloso
  • ghiaioso

Con particolare riferimento ai tipi di terreno agricoli, inoltre, il terreno può essere anche soffice, medio e pesante a seconda della sua compattezza e del mix di componenti che troviamo al suo interno. C’è poi un terzo fattore da considerare, che è il pH del terreno e la conseguente reazione chimica all’introduzione di determinate sostanze. In questo caso, il terreno può essere:

  • acido
  • alcalino
  • neutro

Relativamente al pH del suolo, ci sono tecniche che consentono di modificarlo abbastanza facilmente. Ad esempio, nella nostra guida pratica, abbiamo visto come rendere il terreno acido nel caso in cui volessimo coltivare delle piante acidofile come conifere e altre, in particolare:

Il terriccio per piante da giardino, ad esempio, ha un pH neutro e ben si adatta alla coltivazione di  quasi tutte le piante verdi, i fiori da balcone, le piante aromatiche e orticole, senza dimenticare che può essere impiegato anche per arricchire i terreni poveri.

tipi di terreno

Terreno per piante

Tutti i tipi di terreno sono composti da una frazione organica, fatta di minerali e altre sostanze nutritive, e una inorganica che ne determina la struttura e quindi il grado di permeabilità, compattezza e drenaggio del suolo.

Nell’insieme, questi fattori ci dicono molto sulla fertilità, coltivabilità e sulla potenziale resa agricola di un particolare tipo di terreno piuttosto che un altro.

Saper distinguere i diversi tipi di terreno e conoscere in maniera abbastanza precisa le caratteristiche di ognuno di essi, è un vantaggio enorme per chi vuole dedicarsi alla cura del giardino o dell’orto. La conoscenza del substrato, non solo ci dirà molto sulle varietà da selezionare, ma ci aiuterà anche a stabilire con quale frequenza provvedere alle irrigazioni e all’integrazione di determinate sostanze.

Come detto, tra i terreni più adatti alla coltivazione di piante verdi, si possono riconoscere alcuni tipi con specifiche caratteristiche di drenaggio, acidità e porosità. Essi si distinguono in:

  • terreni forti
  • terreni leggeri
  • terricci di bosco
  • terra di sfagno
  • torba.

In alcuni casi, la fertilizzazione di un tipo di terreno più povero può avvenire anche con l’introduzione regolare di alcuni concimi.

Tipi di terreno agricolo

A seconda del tipo, dunque, ogni terreno è più o meno adatto alla coltivazione di una certa tipologia di piante. Chi è alle prime armi, può utilizzare un metodo abbastanza semplice e immediato che consente di identificare con buona approssimazione il tipo di terreno che ha di fronte. Tale metodo consiste nell’incidere con una vanga una zolla, prelevare una piccola quantità di terra e sfregarla tra le mani.

Se il terreno si sgretola e si dissolve immediatamente, si tratterà di un terriccio soffice e sabbioso. La terra con questa struttura, infatti, è ricca di sabbia e per questo motivo tende a “polverizzarsi” al minimo tocco. Se la terra che abbiamo prelevato si impasta senza disperdersi tra le mani, probabilmente siamo di fronte ad un terreno argilloso, quindi di compattezza medio-pesante.

Terreno argilloso

Questo terreno riesce a trattenere molta umidità ed è naturalmente ricco di sostanze organiche che lo rendono fertile e produttivo. Di contro, la sua struttura compatta e tenace lo rende più difficilmente lavorabile e non assicura di certo un buon drenaggio.

Ciò vuol dire che ha bisogno di essere addizionato lavorato a lungo perché diventi più soffice e leggero. Si tratta del terreno ideale per le coltivazioni in serre  perchè tende a gelare facilmente. Riconoscere un terreno argilloso al tatto è davvero semplice in quanto mantiene la forma conferita con le mani.

Terreno sabbioso

Essendo più leggero e decisamente meno compatto, il terreno sabbioso favorisce il drenaggio dei liquidi e non trattiene l’umidità. Si tratta di un tipo di terreno a pH acido che deve essere quindi addizionato ad una quota di terriccio universale, specie se si vuole utilizzarlo per coltivare acidofile, piante succulente e piante grasse e in generale tutte quelle varietà che temono i ristagni.

Nella maggior parte dei casi, i terreni sabbiosi devono essere protetti tramite pacciamatura per impedire che secchino troppo velocemente. Questo terriccio si riconosce dalla spiccata tendenza a sbriciolarsi e dalla sua consistenza granulosa anche al tatto.

tipi di terreno

Terreno ghiaioso

Quando la percentuale di ghiaia supera il 40% nel mix della struttura del terreno, si è in presenza di un suolo ghiaioso. In realtà, tutti i terreni possono essere ghiaiosi, a seconda di quanta ghiaia venga integrata. Di certo, però, un terreno naturalmente ghiaioso non potrà essere modificato nella struttura.

In tal caso è sconsigliata l’utilizzo di questo suolo per la coltivazione di piante ed alberi ad alto fusto poichè esattamente come quello sabbioso tende a non trattenere l’umidità. Tuttavia, in agricoltura, la presenza di piccole pietre è un vantaggio poichè mitiga le escursioni termiche e trattiene il calore rilasciandolo durante le ore notturne. Ottimo, quindi, per la coltivazione della vite e di alberi da frutto, come ciliegio e melo.

Terreno limoso

Se terreno ghiaioso e sabbioso tendono ad essere piuttosto simili nella struttura, analogo discorso può essere fatto per il terreno limoso che presenta caratteristiche equivalenti a quello argilloso.

A differenza di quest’ultimo, però, i terreni di tipo limoso tendono a rompersi facilmente in blocco più grossi.

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Il mimetismo, la tecnica difensiva più affascinante del mondo animale

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Il mimetismo è uno dei meccanismi di difesa e offesa più incredibili che la natura sia in grado di inscenare. Diverse specie animali e vegetali sono dotate della capacità di mimetizzarsi con l’ambiente circostante, emulando perfettamente forme e colori, ma anche comportamenti, sembianze e versi di altri organismi di specie affini o differenti.

Alcuni animali, in particolare, sono dei veri e propri “maestri” dell’arte del mimetismo: come non pensare al camaleonte, ad alcuni tipi di farfalle e falene e moltissime specie di insetti che riescono quasi a “scomparire” fondendosi nel paesaggio così da passare del tutto inosservati.

Come detto, gli animali che sono in grado di sfruttare questa capacità usano il mimetismo sia come tecnica di protezione dai predatori che di predazione,  per sorprendere cioè le loro prede e trarle fatalmente in inganno. A seconda del meccanismo di mimesi messo in atto, la scienza classifica diverse tipologie di mimetismo animale. Vediamo, quindi, come funziona questa sorprendente capacità attraverso l’analisi delle varie forme di mimetismo conosciute e gli esempi più sbalorditivi che Madre Natura ci offre.

Tipologie di mimetismo

Il mimetismo può essere criptico (Criptismo) se consiste nell’assunzione di forme, colori e comportamenti messi in atto dall’animale per rendersi del tutto simile all’ambiente circostante.

Si parla invece di mimetismo fanerico (ostentazione) quando la mimesi riguarda l’imitazione di un’altra specie, tossica o pericolosa, dotata di colori aposematici. La classificazione delle varie tipologie di mimetismo include anche quello Batesiano, Mulleriano, e Mertensiano, dai nomi degli studiosi e scienziati che per primi li hanno definiti.

il camaleonte è il rettile per antonomasia associato al mimetismo di predazione e protettivo.

Mimetismo criptico

La capacità di un animale di confondersi con l’ambiente circostante è detta mimetismo criptico o criptismo. Esso può essere visivo, olfattivo e uditivo.

Il criptismo di tipo visivo consiste in una camuffamento che può riguardare la perfetta imitazione di un oggetto inanimato (M. baseomomorfico) o del substrato (M. omocromico) su cui l’animale è appoggiato. Questo tipo di mimetismo può essere transitorio, come quello del camaleonte, o permanente, come accade nelle sogliole.

Anche il colore candido degli animali polari è un esempio eloquente di criptismo visivo. Alcune specie di granchio, invece, strappano dal fondale delle alghe e le dispongono sul carapace per passare inosservati agli occhi dei predatori.

Il criptismo uditivo consiste nella capacità di assorbire le onde sonore prodotte da alcuni animali per evitare di essere localizzati. La falena, ad esempio, è dotata di una peluria che intercetta e neutralizzare le onde che il pipistrello utilizza in volo per geo-localizzare le prede. Alcune specie sono anche in grado di far “rimbalzare” tali onde.

Il criptismo olfattivo, infine, è quello grazie al quale l’animale riesce a cambiare il proprio odore per scopo difensivo o per ghermire la preda ignara. Anche in questo caso, la falena è il miglior rappresentante di questo genere di mimetismo, in quanto imita i ferormoni delle api per intrufolarsi nelle arnie e rubare loro il miele.

Mimetismo Batesiano

Il biologo ed entomologo Henry Walter Bates ha studiato e descritto per primo questo tipo di mimetismo. Esso si verifica quando una specie animale imita un’altra specie del suo stesso ambiente naturale per ingannare i predatori.

Nella maggior parte dei casi si tratta di un criptismo aposematico attraverso il quale l’animale emula la colorazione e il comportamento dell’altra specie per aumentare le proprie possibilità di sopravvivenza. Esempi di mimetismo batesiano sono forniti da diverse specie tropicali di farfalle diurne appartenenti alle famiglie delle Papilionidae e delle Nymphalidae.

Mimetismo Mullerano

La paternità di questo tipo di mimetismo è attribuita allo zoologo tedesco Fritz Muller che proseguendo gli studi e le ricerche del collega Bates notò altri fenomeni particolari della vita adattiva di alcune specie di insetti.

Oltre al mimetismo cromatico, infatti, Muller osservò diversi casi in natura di specie differenti che si imitano a vicenda condividendo, ad esempio, la stessa colorazione aposematica. Questo comportamento avvantaggia entrambe le specie rispetto ai predatori che, disorientati, non riescono a distinguere la loro preda.

Mimetismo Mertensiano o Emsleyano

Emsley e Mertens studiarono questo tipo di mimetismo a partire dall’enigma del serpente corallo che viene imitato da molti serpenti innocui per via dei suoi colori accesi che in natura sono sempre associati ad un segnale di pericolo. L’imitazione del serpente corallo è un esempio lampante di mimetismo batesiano. Tuttavia, il serpente corallo imita a sua volta i colori di serpenti meno velenosi, dando vita ad un paradossale caso di mimetismo emsleyano o mertensiano.

mimetismo aninali

La mantide: la regina della mimesi cromatica

Mimetismo animali: esempi

Nel Regno Animale, il mimetismo trabocca di esempi illustri e talmente sorprendenti da far strabuzzare gli occhi. Alcuni animali riescono ad imitare perfettamente l’aspetto di specie totalmente differenti. Altri inscenano camuffamenti perfetti con l’ambiente circostante. Altri ancora fingono di essere predatori pericolosissimi riproducendo i colori sgargianti di organismi tossici o velenosi.

La Mantide è una vera maestra del camuffamento e rappresenta un notevole esempio di mimesi di protezione e di predazione. La maggior parte delle mantidi usa il mimetismo cromatico per confondersi: sono verdi quelle che vivono tra le foglie, grigio-marrone quelle sulle cortecce; variopinte quelle che si posizionano sui fiori per andare a caccia.

Ci sono specie che simulano addirittura un ghiotto boccone o un’esca con una parte del corpo per trarre in inganno le prede. Alcune vipere, ad esempio, assumono una colorazione giallo brillante sulla parte terminale della coda che – grazie anche ad astuti “attorcigliamenti”- sembra proprio un verme. Questa infallibile strategia è fatale sopratutto a rospi e lucertole attirati dalla falsa esca.

Il lepidottero Cilix glaucata trascorre buona parte della sua giornata sulle foglie. Non si cura di predatori pericolosi e affamati perché la sua tattica è davvero magistralmente eseguita: assomiglia a un escremento di uccello, per nulla appetitoso e attraente agli occhi degli ignari passanti.

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Metamorfosi, un’altra magia della Natura che si compie nel Regno Animale

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Quando parliamo di metamorfosi degli animali, la prima immagine che balza alla mente è sicuramente quella delle farfalle.

Pensare che questo piccolo, splendido insetto sia stato un bruco prima di trasformarsi in uno dei più bei rappresentanti del Regno Animale, può sembrare per certi versi incredibile. La trasformazione della farfalla, così come quella di altri animali, è un meccanismo biologico del tutto naturale che comincia e finisce in una determinata fase del ciclo vitale dell’organismo.

Un processo di mutamento molto complesso che modifica profondamente non solo la forma, ma l’intera struttura e il comportamento dell’animale stesso.

Vediamo insieme di cosa si tratta, come e perché ha luogo la metamorfosi in Natura e quali sono gli animali che usano questa trasformazione per adattarsi alla vita sulla Terra o in acqua.

Metamorfosi: significato ed etimologia

Con il termine metamorfosi si indica un processo naturale di tipo biologico che consente ad alcuni animali (rettili, insetti, anfibi, ecc) di mutare completamente forma, adattandosi indirettamente alle alterazioni dell’habitat naturale.

La parola deriva dal greco metamórphōsis (meta che vuol direoltre’ e morphé che significa ‘forma’) che vuol dire ‘trasformazione’. In zoologia e botanica questa definizione è specificatamente riferita alla capacità di alcuni organismi di evolversi da uno stadio all’altro, più precisamente da uno stato larvale ad uno adulto.

Cos’è e come funziona la metamorfosi degli animali

Molte specie di insetti, molluschi, crostacei, anfibi, piccoli rettili ed echinodermi sono in grado di mettere in atto questa trasformazione in risposta ai mutamenti del comportamento e dell’habitat in cui vivono. Al contrario degli animali che nascono da un uovo con una struttura già definita, questi organismi raggiungono il loro stadio adulto proprio attraverso il processo di metamorfosi.

Ciò significa che la loro vita embrionale si svolge in un determinato habitat e si completa in un altro simile o del tutto diverso. Negli organismi più primitivi, la metamorfosi è solitamente parziale e graduale (incompleta), mentre in quelli più evoluti la trasformazione è radicale (completa).

metamorfosi animali

Metamorfosi degli insetti

Negli insetti, la metamorfosi comporta essenzialmente la rottura dei tessuti larvali, che vengono sostituiti da cellule che comporranno il nuovo organismo. Per questo motivo la farfalla, da bruco si trasforma in qualcosa di decisamente più bello e affascinante.

Il processo di trasformazione, benché radicale, è comunque graduale e passa attraverso diverse fasi intermedie. Nel caso della farfalla, da larva diventa crisalide e infine insetto, con mutazioni del bozzolo in ognuna di queste tappe.

Cavallette e cimici sono esempi perfetti di metamorfosi incompleta degli insetti: il cambiamento avviene senza che l’animale cambi mai la propria alimentazione, cosa che le distingue dalle farfalle, che per completare la crescita smettono di mangiare in diverse fasi della muta, rimanendo completamente immobili.

Oltre le farfalle, anche coleotteri, mosche e vespe attuano questo tipo di metamorfosi completa.

Metamorfosi della farfalla

La meravigliosa trasformazione di questo lepidottero esercita da sempre un incredibile fascino su studiosi e appassionati. Per compiersi, il ciclo vitale di una farfalla passa attraverso 4 stadi:

  1. Uovo
  2. Bruco
  3. Crisalide
  4. Adulto

La trasformazione implica che il bruco, uscendo allo scoperto dal suo uovo, si metta alla ricerca di una pianta ospite per cominciare l’altra fase che lo condurrà a diventare crisalide. Possono passare da 1 mese a 3 anni, durante i quali il bruco sfoggia un mimetismo cromatico che lo protegge dai predatori o assume colorazioni brillanti che in Natura vengono associati ad organismo tossici e velenosi.

Solo quando il bruco diventa crisalide avvengono le  trasformazioni più importanti che conducono alla formazione della farfalla adulta. La vita di una farfalla, purtroppo, sarà breve: alcune possono sopravvivere anche per un anno, ma la maggior parte non supera un mese.

Metamorfosi della libellula

La libellula è un valido esempio di M. incompleta. Come tutti gli odonati (ordine al quale appartengono molti insetti diurni legati all’ambiente acquatico) lascia cadere le uova in acqua.

In questa fase ninfale, le neanidi (le larve) della libellula che sono appena fuoriuscite dalle uova, si nutrono di molti organismi acquatici e anche di piccoli pesci. La loro arma segreta è la speciale mandibola estensibile con la quale colpiscono infallibilmente la loro preda. Rimangono in questo stato da 1 a 3 o più anni, durante i quali mutano circa 10 volte.

Una volta compiuto il processo di maturazione, le ninfe lasciano l’acqua e compiono la metamorfosi definitiva che le trasformerà nell’insetto adulto, con le sembianze leggiadre e aggraziate che ben conosciamo.

Metamorfosi della cimice

Anche la metamorfosi delle cimici è incompleta. Nel suo ciclo vitale, infatti, questo insetto, appartenente all’ordine degli eterotteri e degli omotteri, non conosce un vero e proprio stato larvale. Dall’uovo della cimice nasce una neanide senza ali simile all’esemplare adulto.

La cimice verde, in particolare, mette in atto ben 5 mute con cui si trasforma gradualmente nell’insetto adulto, aumentando di dimensioni. Solo nell’ultimo stadio cominciano ad intravedersi le ali che si svilupperanno completamente durante la fase adulta.

Fino a quel momento, la cimice rimarrà ben nascosta e mimetizzata nel fogliame, nutrendosi delle parti vegetative più giovani e tenere delle piante.

Metamorfosi della coccinella

Prima di diventare un grazioso insetto rosso a pallini neri, le coccinelle devono superare anch’esse 4 fasi di trasformazione:

  1. Uovo
  2. Larva (che subisce ulteriori 3 mutazioni)
  3. Ninfa (immobile)
  4. Coccinella adulta

Durante lo stato larvale, la coccinella si nutre del proprio guscio e delle altre uova non ancora schiuse che si trovano nelle immediate vicinanze. Dopodiché si mette alla ricerca di afidi e altri piccoli parassiti delle piante.

Inizialmente è completamente gialla e ha elitre molto tenere. Dopo qualche ora, compaiono i primi puntini e il colore vira verso un arancione acceso o rosso. In questa fase della sua metamorfosi è molto vulnerabile e solo il 20% delle giovani coccinelle sopravvive.

metamorfosi della rana

Metamorfosi degli anfibi

In tema di metamorfosi, impossibile non pensare alla rana che, appena nata, somiglia a un piccolo pesce (girino) più che ad un esemplare adulto della sua specie. Quello della rana è un processo adattivo molto complesso e radicale.

In un primo momento, il girino sviluppa tutte le caratteristiche necessarie alla vita acquatica. È privo di zampe, ha una lunga coda, una pinna trasparente e branchie esterne.

Durante il passaggio allo stadio adulto, le branchie diventano interne e si sviluppano i polmoni, mentre la coda si riduce fino a sparire del tutto. Iniziano a svilupparsi anche gli arti e l’animale si prepara alla vita fuori dall’acqua.

Durante la sua esistenza, la rana torna in acqua solo per accoppiarsi e deporre le uova, ma non vivrà più nell’ambiente acquatico che ha conosciuto quando era un girino e che ha abbandonato con il completamento della sua incredibile metamorfosi.

Curiosità

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Che cos’è l’infiorescenza e a cosa serve alle piante

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Con il termine infiorescenza si intende la parte floreale della pianta costituita non da un unico fiore ma da diversi capolini riuniti sopra un unico peduncolo.

Questo termine così ricorrente nella morfologia botanica ci riporta, dunque, a tutte quelle piante, arbusti e alberi che producono fiori più o meno appariscenti e profumati raggruppati in diverse configurazioni. Ci sono infiorescenze a grappolo, a capolino, a spiga e altre tipologie che approfondiremo nel corso di questa guida.

In alcuni casi le infiorescenze possono presentarsi in maniera talmente perfetta e simmetrica da sembrare un unico fiore (pseudanzio). Il motivo per cui le piante producono le infiorescenze è tanto semplice quanto affascinante. Mentre il fiore solitario rappresenta la condizione più antica nella storia evolutiva di una pianta, l’infiorescenza è la sua risposta all’esigenza di riprodursi.

Le infiorescenze, infatti, sono più appariscenti e dunque attirano un maggior numero di insetti impollinatori (api, farfalle, ecc). Cosa ancora più importante, i fiorellini che le compongono hanno quasi sempre una sbocciatura ” a scalare”, cosa che aumenta la disponibilità di polline per la pianta. Siamo di fronte ad un’altra piccola, grande magia di Madre Natura.

Infiorescenza: significato

Fu Carlo Linneo, il grande naturalista svedese a cui si devono molti dei nomi scientifici utilizzati ancora oggi in botanica, a coniare il termine “infiorescentia“. La parola deriva dal latino tardo “inflorescere” che significa letteralmente “fiorire“.

Sempre Linneo iniziò ad osservare nelle Angiosperme i vari tipi di infiorescenza, a descriverli minuziosamente e catalogarli. Vediamo nel dettaglio di quali si tratta e cerchiamo di capire a quali caratteristiche botaniche fanno riferimento.

infiorescenza

La magnifica infiorescenza a grappolo del glicine

Tipi di infiorescenza

In base al momento in cui avviene l’apertura dei fiori, le infiorescenze si possono suddividere in 2 gruppi principali:

  1. Racemose o indefinite
  2. Cimose o definite

A loro volta, esse possono essere semplici o composte. Ma vediamo per ogni ordine di infiorescenza quali sono le tipologie più particolari e significative.

Infiorescenza a grappolo

Detta anche “racemo”, è formata da un asse principale allungato al cui apice si formano lateralmente fiori peduncolati secondo uno schema ad intervalli regolari. Può essere considerata l’infiorescenza più antica, quella primordiale da cui derivano tutte le altre. Esempi rappresentativi di piante con infiorescenze a grappolo sono il lupino, il glicine e molte varietà di orchidea.

Capolino

I capolini sono ingrossamenti del peduncolo (ricettacolo) che nel periodo della fioritura si riempiono di tanti piccoli fiori raccolti. Questi ultimi sono detti “flosculi” e sono fiori sessili e compatti. La parte centrale del grande capolino del fiore del girasole è, in realtà, un meraviglioso esempio di infiorescenza a capolino.

Allo stesso modo, anche il Dente di leone e tutte le piante appartenenti alla famiglia delle Asteraceae producono lo stesso tipo di infiorescenza.

Spiga

Deriva dal racemo, ma a differenza di quest’ultimo presenta fiori sessili (privi di peduncolo). I fiori sono numerosi e disposti tutti lungo un rachide centrale. Un esempio è la spiga del frumento e di quasi tutte le Graminacee più comuni. Un tipo particolare di spiga flessibile e pendula è l’amento (tipica del nocciolo).

Un altro tipo di spiga è l’infiorescenza a spadice che presenta un asse centrale carnoso spesso accompagnato da una foglia modificata (brattea) detta spata.

Spicastro

È la tipologia di infiorescenza che caratterizza buona parte delle piante appartenente alla famiglia delle Lamiaceae (Labiate). Si compone di piccoli fiori inseriti nei verticilli fogliari. Solitamente, la parte floreale si sviluppa alla base di due foglie opposte e si ripete ad ogni nodo dell’asse. Talvolta assume l’aspetto di un capolino. Il fiore della menta o del basilico ne sono un chiaro esempio.

Corimbo

In questo tipo di infiorescenza i fiori, pur essendo disposti in punti di inserzioni diverse e avendo lunghezze differenti, terminano alla stessa altezza. Si tratta di una falsa ombrella. Il corimbo è rappresentativo di molte specie di Rosaceae e di Ericaceae.

Ombrella

In questo caso tutti i fiori hanno lunghezze pressoché identiche. Deriva anch’essa dal racemo ma le ramificazioni partono dallo stesso punto. Le ombrelle possono essere semplici, vale a dire con un unico fiore all’apice o composte da più fiori.

I peduncoli sono detti anche raggi e i fiori sono disposti nella classica forma a ombrella. Prezzemolo e carota selvatica (molto comune e diffusa nei campi) sono piante con infiorescenze a ombrella.

Scorpioide

In botanica si definisce scorpioide l’infiorescenza che ha fiori lungo tutto lo stelo fiorale e che sbocciano in momenti diversi. I primi a maturare sono quelli più lontani dalla cima dello stelo e via via che ci si avvicina all’estremità diventano sempre più tardivi.

Il portamento di questa infiorescenza è curvo e ricorda, appunto, la coda di uno scorpione da cui deriva il nome. Un tipico esempio è il fiore dell’Eliotropio.

Infiorescenza del fico

Forse non tutti sanno che il fico – il delizioso frutto che gustiamo da fine settembre a ottobre – è in realtà un faso frutto, ovvero un’infruttescenza prodotta da un’infiorescenza detta “Sicono”, tipica delle specie appartenenti alla famiglia delle Moraceae.

Essa è formata da tantissimi piccoli fiori femminili o femminili e maschili che una volta impollinati sviluppano, vale a dire i i veri frutti della pianta.

infiorescenza

Girasoli e Margherite in realtà sono composti da una miriade di fiorellini piccolissimi raccolti in un capolino dall’aspetto decisamente più appariscente e scenografico

Infiorescenza della margherita

Proprio lei: la regina dei prati. La protagonista dei fiori di campo, la margherita, in realtà non è un fiore! Il bellissimo capolino che chiunque, almeno una volta nella vita ha sfogliato, petalo dopo petalo, è effettivamente l’insieme di tanti fiori piccolissimi raggruppati su un unico stelo in maniera così perfetta da sembrare un solo, magnifico fiore solitario.

Come lei, anche i girasoli, la camomilla, il tarassaco, il fiordaliso, il cardo, e tutte le specie della grande famiglia delle Composite.

Anche in questo caso la ragione che giustifica la presenza di un’infiorescenza e non di un singolo fiore solitario è legato all’impollinazione: un piccolissimo fiorellino non verrebbe notato dagli insetti, mentre con un capolino così appariscente di certo non si passa inosservati! Miracoli della Natura…

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Una ricetta di quinoa con piselli e mais, da arricchire e personalizzare a piacere

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Cerchi qualche idea per preparare la quinoa? Questa ricetta di quinoa con piselli e mais è un modo facile e veloce per servire un piatto tutto salute e sapore: te lo proponiamo ricordando che può essere facilmente arricchito e personalizzato a piacere con altre verdure.

Un’insalata in stile ‘country’ ricca, saporita e soprattutto sana, ideale per accompagnare un pasto ma buona anche da sola. Si tratta di una freschissima insalata a base di quinoa, parmigiano, piselli e mais che può essere preparata in tre gustose varianti, sostituendo alla quinoa, la fregola o couscous, a seconda delle preferenze.

Ricordate che anche il Parmigiano può essere omesso, e sostituito da fettine di avocado (nelle versioni rigorosamente vegane) oppure da provola e feta.

Ricetta della quinoa con piselli e mais

Ma andiamo subito a illustrare la ricetta. Ecco cosa vi occorre per realizzarla:

Ingredienti per 4 persone 

  • 1 tazza di acqua 
  • 1 tazza di quinoa (oppure couscous o bulgur o fregola)
  • 1/2 tazze di mais dolce
  • 1/2 tazze di piselli (freschi o surgelati)
  • 1 tazza di scalogno affettato
  • 2 tazze di brodo vegetale 
  • 3 cucchiai di formaggio grattugiato (tipo Parmigiano-Reggiano o grana)
  • sale e pepe macinato fresco
quinoa con piselli e mais

Questa è una ricetta che si presta a tantissime varianti e che può essere arricchita a piacere: qui abbiamo aggiunto carotine lesse, peperone rosso e una spruzzata di curcuma grattugiata.

Quinoa con piselli e mais: la preparazione

  • Sia che utilizziate il couscous che la quinoa o il bulgur o la fregola, lessate in una pentola d’acqua salata con 1 cucchiaio d’olio il cereale prescelto, mescolando di tanto in tanto.
  • Se avete optato per la quinoa, i tempi di cottura si aggireranno intorno ai 15 minuti. Quando l’acqua sarà totalmente assorbita scolate il cereale.
  • In una padella sufficientemente larga mettete a soffriggere in abbondante olio, il mais, i piselli, lo scalogno affettato sottile e diluite con il brodo vegetale, alzando il fuoco.
  • Cuocete per circa 3 minuti, o comunque il tempo necessario perché le verdure si lessino ed il brodo si riduca della metà.
  • A questo punto spegnete il fuoco e aggiungete il cereale e il formaggio grattugiato. Il composto così ottenuto dovrà avere una consistenza compatta e leggermente appiccicosa, tipo risotto, da servire caldo o freddo a seconda dell’occasione e dei gusti dei vostri commensali.
  • Rifinite il tutto con una spolverata di pepe macinato fresco e un pizzico di sale.

Buon appetito!

Quinoa con piselli e mais

Quinoa con piselli e mais, stavolta nella versione anche con po’ di carote e peperoni.

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Sai cos’è un’infruttescenza e in cosa si distingue da un frutto? Ecco un altro interessante segreto di Natura

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Infruttescenza è il termine botanico utilizzato per indicare l’insieme dei frutti riuniti in un’unica unità e derivanti dagli ovari di una sola infiorescenza.

Per capire meglio la differenza tra un frutto e un’infruttescenza basta pensare ad una ciliegia e ad una mora del gelso. Indubbiamente, tra questi due frutti, la differenza che salta subito all’occhio è la struttura in cui si compongono. Il primo è un frutto unico e semplice, la seconda è l’insieme di più bacche commestibili disposte secondo un preciso schema.

A volte, però, le infruttescenze possono somigliare anche a frutti semplici, come l’ananas. Essa è in realtà una infruttescenza composta da bacche inframezzate da bratte e da tessuti che ricordano la struttura del ricettacolo originario da cui si sono formate.

Ma vediamo nello specifico in cosa consiste l’infruttescenza nelle piante fruttifere, a cosa serve e quali sono i principali tipi di infruttescenza osservabili in natura.

Infruttescenza: significato e sinonimi

Come abbiamo visto, con questo termine, in botanica, si indica il complesso di frutti derivati dai fiori di un’ infiorescenza. Nella loro disposizione, forma e aspetto, le infruttescenze simulano molto spesso le sembianze di un frutto unico, ad esempio le more del gelso e il fico. Sinonimi di questa definizione sono le parole “grappolo”, “graspo” o “falso frutto” o “frutto multiplo”.

infruttescenza dell'ananas

L’ananas sembra un frutto semplice, ma è l’unione di più bacche e bratte

Frutti aggregati

Una distinzione importante è quella tra infruttescenza e frutto aggregato o composto. Quest’ultimo è il risultato dell’unione di tanti frutticini, quindi di pistilli posti sullo stesso ricettacolo che rimangono uniti nel frutto. Un esempio lampante è costituito dalle drupe, come le fragole, i lamponi e la mora.

Tutti questi frutti sono composti da piccole drupe dalla cui unione percepiamo un singolo frutto aggregato. L’infruttescenza, invece, deriva dall’unione di pistilli appartenenti a fiori diversi che formano un’infiorescenza, dalla cui evoluzione si formano i frutti.

Tipi di infruttescenza

Le infruttescenze possono essere principalmente di 2 tipi che rappresentano il tipo di infiorescenza da cui si sono formati:

  1. spiga: le spighe del grano
  2. siconio: i siconi del fico

A lor volta, i frutti possono presentarsi sotto forma di:

  • sorosio: l’insieme di false drupe (mora del gelso);
  • siconio: sviluppato in un ricettacolo semi carnoso e concavo che ha al suo interno tanti fiori femminili.

Infruttescenza a grappolo: l’uva

Si tratta del prodotto del cosiddetto racemo, un’infiorescenza formata da un asse principale allungato al cui apice si formano fiori peduncolati secondo uno schema ad intervalli regolari. Può essere considerata l’infiorescenza più antica, quella primordiale da cui derivano tutte le altre. Nelle piante fruttifere, il classifico esempio di infruttescenza a grappolo è rappresentato dall’uva, formato da tante bacche (acini) disposte lungo il graspo.

Il grappolo è composto, infatti, dal graspo o raspo da cui partono tanti acini, che chiamiamo impropriamente “chicchi”. In realtà si tratta di bacche di piccole dimensioni di colore chiaro (uva bianca) o scuro (rosa, viola, bluastro) nel caso dell’uva nera. Dai pedicelli del graspo si svilupperanno i piccoli fiori e successivamente i frutti.

Infruttescenza a palla: il tarassaco

Le infruttescenze possono essere anche riunite in forma sferica e contenere semi o frutti che si staccano più o meno facilmente dal ricettacolo.

Si pensi a quello che volgarmente è chiamato “soffione”, ovvero il Dente di Leone (Taraxacum officinale). Una volta che i frutti della pianta (acheni) giungono a maturazione, i peli dei pappi cominciano a svilupparsi in senso circolare. Al minimo soffio di vento, questi si staccano dal ricettacolo dell’infruttescenza e si disperdono nell’aria.

Facilmente riconoscibile per i suoi fiori gialli, il soffione è molto amato dai bambini e porta con sé una profonda simbologia. Il nome soffione deriva esattamente dalla palla lanuginosa contenente gli acheni.

Infruttescenza del tarassaco

L’infruttescenza del Dente di Leone: il soffione del tarassaco

Infruttescenza dell’ananas

L’ananas è un curioso esempio di infruttescenza a sincarpo. A prima vista potrebbe sembrare un frutto semplice, ma in realtà la sua struttura è molto più simile a una pigna. All’estremità superiore troviamo un ciuffo di foglie coriacee, detto corona, da cui si sviluppa l’infruttescenza carnosa e allungata.

Essa è formata dall’unione di tante bacche singole saldate tra loro da altre parti botaniche della pianta, prime fra tutte le brattee, che durante la maturazione diventano anch’esse carnose e tendono a sporgere sulla superficie del frutto con le estremità.

Anche l’infiorescenza della pianta di ananas si sviluppa alla sommità del fusto e compare generalmente nel periodo estivo. Dal fiore nasce poi l’infruttescenza sormontata, come detto, da un ciuffo di foglie di colore verde scuro e avvolto da una buccia spinosa. Le “spine” sono, appunto, le estremità visibili delle bratte.

I cultivar “Victoria” e “Queen” producono i frutti più dolci e fragranti, ma la “Smooth Cayenne” è la più comune sugli scaffali dei supermercati, caratterizzata però da un frutto più fibroso e acidulo.

Infruttescenza del gelso

Anche in questo caso, ciò che chiamiamo “frutto” in realtà è un’ infruttescenza a sorosio, ovvero l’insieme di tante drupe. La mora del gelso, in effetti, è il risultato dell’unione di tantissimi piccoli frutti sferici disposti su uno stelo. Ogni drupa è prodotta dai pistilli di un singolo fiore.

Il prodotto di questa infruttescenza è un frutto morbido e succoso dal colore nero-rossastro, tendenzialmente lucido, e dal sapore dolce e acidulo che raggiunge la sua piena maturazione nei mesi estivi fino alla fine di settembre. Il gelso è una pianta rustica e resistente e le sue foglie sono il pasto prediletto delle larve del baco da seta.

infruttescenza

Infruttescenza del fico

Il fico è forse l’esempio più emblematico di infruttescenza a siconio. Quello che mangiamo, in realtà, non è il frutto della pianta, ma il suo fiore o meglio la sua infiorescenza. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire da cosa deriva questa bizzarria.

In natura esistono piante di fico maschio e femmina. La prima (caprifico) produce il polline e dà vita a frutti non edibili. La pianta femmine, invece, produce il vero fico, o meglio i semi contenuti nei frutti commestibili.

I veri frutti della pianta sono proprio i piccoli semi (acheni) contenuti nel siconio che ospita i piccolissimi fiori unisessuali. Durante la maturazione, la sua polpa diventa dolce e carnosa e che diventa, quindi, un’infruttescenza a forma oblunga e di colore variabile.

Uccelli: animali meravigliosi che popolano ogni angolo del Pianeta

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Gli uccelli sono vertebrati che popolano il Pianeta sin dalla notte dei tempi. In base alle analisi condotte sui reperti fossili, gli studiosi hanno stabilito che la loro presenza sulla Terra risale al Cretaceo, cioè a 100 milioni di anni fa.

Al Mondo, se ne contano migliaia di specie dalle forme, dimensioni, caratteristiche e comportamenti differenti. Il più piccolo è il colibrì, che misura solo pochi centimetri. Il più grande è l’uccello elefante, chiamato così perché raggiunge anche 3 metri di grandezza.

Circa 120 specie di uccelli risultano ormai estinte, ma quelle viventi e ad oggi conosciute sono comprese fra le 9 mila e le 15 mila specie. Scopriamo tutto quello che c’è da sapere sul meraviglioso universo di queste creature alate e conosciamo meglio le specie più rappresentative.

Uccelli: classificazione e specie

Come abbiamo visto, sembra che al Mondo ci siano circa 10 mila le specie di uccelli, ma molti studiosi ritengono che il numero sia, in realtà, molto più alto. Con queste cifre sarebbe pressoché impossibile arrivare ad una classificazione onnicomprensiva, quindi riportiamo per semplicità le specie più rappresentative e diffuse alle nostre latitudini.

Uccelli

Colibri in volo

Passeracei (Passeriformi)

Sono noti anche come “uccelli canori” per le melodie che riescono ad imprimere al loro canto. La maggior parte delle specie presenta becchi corti e robusti e mangiano per lo più semi e granaglie. Per numero rappresentano il gruppo più importante di uccelli attualmente esistenti.

  • Allodola
  • Merlo
  • Tordo
  • Usignolo
  • Rondine
  • Cincia
  • Corvo
  • Fringuello
  • Passero

Rapaci notturni (Strigidi e titonidi)

Come molti altri animali notturni, a loro caratteristica principale è che sanno cacciare al buio e in condizioni di scarsa luce perché hanno occhi frontali molto sensibili. Sono carnivori e le loro prede preferite sono piccoli roditori e altri uccelli di dimensioni modeste.

Rapaci diurni (Falconiformi)

Anch’essi predatori infallibili, con becchi forti e zampe potenti, dotati di artigli affilati e fatti apposta per afferrare la preda. Come gli altri uccelli rapaci, ad eccezione degli avvoltoi, si nutrono esclusivamente di prede vive e cacciano durante le ore diurne.

Famiglie:

  • Accipitridi
  • pandionidi
  • Falconidi

Specie più diffuse:

  • Aquila
  • Falco
  • Avvoltoio
  • Sparviero
  • Albanella
  • Nibbio

Palmipedi (Anseriformi)

Sono uccelli acquatici erbivori e si distinguono da tutti gli altri per via delle zampe palmate che usano per muoversi più agilmente nel loro habitat naturale (acque dolci). Sono abili nuotatori e solo alcuni di essi, gli smerghi, arricchiscono la loro dieta con piccoli pesci.

Specie più diffuse:

  • Oca
  • Cigno
  • Anatra
  • Smergo

Uccelli marini

Sono uccelli che abitano le zone marine, le coste e gli oceani in colonie numerose. A differenza degli uccelli acquatici, che sono prevalentemente erbivori, la loro dieta è basata sulla pesca.

Ordini:

  • Gaviiformi
  • podicipediformi
  • procellariformi
  • pelecaniformi
  • laridi
  • sternidi
  • alcidi

Specie più diffuse:

  • Gabbiano
  • Pinguino
  • Coromorano
  • Tuffolo
  • Procellaria
  • Sterna

Grandi trampolieri (Ciconiiformi, gruidi, otitidi)

Grandi e piccoli trampolieri godono di questa denominazione in virtù delle loro zampe lunghe e flessuose. I primi sono uccelli dalle zampe molto lunghe e becchi sottili. Vivono vicino a specchi d’acqua bassa e/o paludosa dove si muovono con disinvoltura pescando piccoli pesci e crostacei. Si tratta di animali che migrano. Alcune specie, come la cicogna, sono protagoniste di migrazioni spettacolari da un continente all’altro del Globo.

  • Airone
  • Cicogna
  • Gru
  • Fenicottero
  • Cavaliere
  • Avocetta

Piccoli trampolieri (Gruiformi, caradriformi)

Simili ai primi, ma di dimensioni più ridotte, anche questi uccelli hanno lunghe zampe e becchi sottili. Prediligono le acque salmastre o dolci raccolte intorno a bacini non troppo estesi dove camminano e pescano pesci, crostacei, molluschi di taglia ancora più piccola.

  • Rallo
  • Gallinella d’acqua
  • Trampoliere
  • Piviero
  • Beccaccia
  • Beccaccino

Uccelli terricoli (Tetraonidi e fasianidi)

Tra tutti, sono quelli meno abili nella loro attività naturale: volare. Si nutrono di semi e granaglie che beccano sul terreno di pascolo e vivono in piccoli gruppetti.

Altri uccelli

Ordini e famiglie:

  • Columbiformi
  • psittaciformi
  • cuculiformi
  • caprimulgiformi
  • apodiformi
  • coraciiformi
  • piciformi

Specie più diffuse:

Caratteristiche

Benché numerosissimi, anche gli uccelli presentano delle caratteristiche comuni che li distinguono da altri classi di animali. Ecco le principali:

  • Becco privo di denti
  • Mancanza di naso (le fessure che fungo da narici sono poste sulla parte superiore del becco)
  • Palpebra accessoria
  • Mancanza di orecchie (hanno fori ai lati del capo capaci di captare i suoni)
  • Guscio delle uova duro
  • Cuore a due atri e due ventricoli
  • Piume su tutto il corpo e penne sopra le piume

Uccelli migratori

In Italia e nel resto d’Europa milioni di uccelli attraversano periodicamente interi continenti e oceani per raggiungere aree di riproduzione e nidificazione più sicure.

La classificazione di questi animali che migrano è stata realizzata in base alle zone e alla stagione di migrazione. Vediamo, quindi, quali sono i flussi migratori più importanti che interessano il nostro Paese, sia in entrata che in uscita, stagione per stagione.

Uccelli migratori in Primavera

  • Aquila biancone
  • Anatra marzaiola
  • Upupa africana
  • Rondine
  • Rondone
  • Cicogna
  • Albanella minore

Uccelli migratori in Estate

  • Airone
  • Gracchio
  • Merlo dal collare
  • Verdone
  • Sterno
  • Gabbiano reale

Uccelli migratori in Autunno e Inverno

Tra gli uccelli che migrano dall’Italia verso l’Africa, ricordiamo il Falco della regina, mentre tra quelli che arrivano a cavallo con l’inverno compaiono molte specie artiche, tra cui:

  • pulcinella di mare
  • anatra
  • folaga
  • cormorano
  • sula
  • strolaga
  • pavoncelle
  • pivieri dorati
  • gufo reale
  • allocco degli Urali
  • civetta
  • gru canadese
  • Cigni

uccelli

Uccelli notturni

Come sappiamo, moltissimi animali vivono prevalentemente di notte. Con il calare delle tenebre, infatti, questi animali escono dalle loro tane per cacciare o per riprodursi, protetti dalle tinte fosche delle ore notturne. Non mancano anche diversi uccelli che condividono con pipistrelli, volpi, ghiri, porcospini, procioni, tassi e tanti altri animali notturni queste singolari abitudini.

Gufo Barbagianni sono gli uccelli notturni più conosciuti. Le loro armi vincenti per affrontare con disinvoltura una vita prevalentemente notturna sono bulbi oculari tubolari e piume che consentono di planare in modalità silenziosa.

E come non citare la Civetta, un uccello rapace con abitudini crepuscolari che appartiene alla famiglia delle Strigidae.  Questo uccello è diffuso in tutta Europa, Asia e Africa settentrionale e in Italia nidifica in maniera sedentaria lungo tutta la catena alpina e nelle aree di confine a clima mite fino a 700 metri di altitudine.

Uccelli colorati

Canarino, cardellino e pappagallo sono tre specie di uccelli coloratissimi e sgargianti che sicuramente tutti noi conosciamo molto bene. Per quanto riguarda il Pappagallo è bene ricordare che questo è il nome comune attribuito ad un ordine di neorniti, detti psittaciformi.

Se ne contano centinaia di sottospecie e si tratta di volatili caratterizzati da un piumaggio variopinto e vivace. Quasi tutti originari dalle foreste tropicali dove vivono sugli alberi. Tutti questi specie sono molto apprezzate anche dai cultori del Bird Garden.

Uccelli del paradiso

I Paradiseidi sono una famiglia di uccelli canterini che fa parte dell’ordine dei Passeriformi. Abitano sopratutto la foreste pluviale e molte regioni della Nuova Guinea. Vista la loro fitta presenza in questi luoghi, l’isola prende il nome di “Isola degli uccelli del paradiso“.

Oltre all’incredibile canto, colpisce il piumaggio variopinto degli esemplari maschi che mettono in atto grazie anche alle loro piume iridescenti dei complessi rituali di corteggiamento, da cui prende ispirazione il nome.

uccelli

Uccelli gorgheggianti o canori

Le melodie prodotte da questi uccellini esotici sono piacevoli e adatte a fare compagnia. Il loro cinguettare è più particolare soprattutto negli esemplari di sesso maschile che utilizzano il canto per ragioni di corteggiamento.

Un esempio è offerto dai diamantini, uccellini in grado di emettere suoni e melodie incantevoli. Sono spesso confusi con un’altra specie, i bengalini, che appartengono all’ordine dei Passeriformi.

Altrettanto melodioso è il canto del canarino, che si distingue per la capacità di emettere tre note diverse allo stesso tempo. Un  po’ come il cardellino, un altro degli uccelli più noto per il suo canto che è stato oggetto di ispirazione sia in arte che in letteratura.

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