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Abaca, una fibra naturale tessile che viene da lontano

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L’abaca è una fibra di origine naturale di origini asiatiche sempre più utilizzata dall’industria tessile ed esportata in tutto il Mondo.

Molto spesso, infatti, sulle etichette di tanti indumenti, borse e oggetti di uso comune compare la dicitura “Musa Textilis” o più semplicemente la sigla “AB” (Abaca) che indica, appunto, la pianta di canapa da cui si ottiene questo resistentissimo tessuto 100% naturale.

Come detto, nel linguaggio comune, l’Abaca o Abacà è conosciuta come Canapa di Manila, di Cebu, di Davao. Tuttavia, pochi sanno che in realtà, questo arbusto, non ha nulla a che vedere con la Canapa propriamente detta.

In effetti, la pianta dell’Abaca appartiene alla famiglia delle Musaceae ed è strettamente imparentata con il Banano da frutto. Non  a caso, nel lessico botanico, il banano prende il nome di “Musa Paradisiaca”. Ma scopriamo tutto quello che c’è da sapere su una delle più straordinarie fibre naturali ottenibili dalla lavorazione delle piante e sulle sue caratteristiche distintive.

Abaca pianta

La pianta dell’Abaca è un arbusto di medio-grandi dimensioni originario delle Filippine e appartenente alla famiglia botanica delle Musaceae, la stessa da cui deriva il banano da frutto e tante altre piante tropicali dell’Africa e dell’Asia.

Come il banano e il platano, dunque, anche la Abaca è una Musa. In realtà, si tratta più precisamente di una grossa pianta erbacea che può svilupparsi fino a 5-6 metri di altezza. Si caratterizza per un falso tronco grosso e massiccio che non è ligneo, ma prodotto dalla stratificazione di numerose foglie sovrapposte di grandi dimensioni. Anche fiori e frutti ricordano molto il banano, ma il loro valore nutritivo è decisamente inferiore.

Dalla lavorazione delle guaine che avvolgono il fusto fiorale e quello sotterraneo (perenne), si ottiene una delle più apprezzate e utilizzate fibre naturali tessili, al pari della fibra di bambù, del cotonedella Rafia e del Rattan.

Per far ciò, si procede ad una sorta di vendemmia che consiste nella “sguainatura” praticata due o tre volte l’anno sulle piante più giovani. Successivamente, si procede con la “spampanatura” e solo alla fine all’essiccazione al sole delle fibre ottenute da questa lavorazione.

abaca

Coltivazione di Canapa di Manila

Abaca: materiale e tessuto

Olandesi e Inglesi, tra il 1925 e il 1930, furono i primi ad introdurre  l’Abaca in Europa. Tuttavia, è degli Americani il merito di aver avviato le prime, grandi coltivazioni di Canapa di Manila a fini industriali.

Prima di allora, le fibre di Abaca erano già ampiamente utilizzate sia come tessuto che come materiale da cordame. Le popolazioni del sud-est asiatico utilizzano ancora oggi questa forte fibra per realizzare imbragature, reti, corde, spaghi, gomene, e altro materiale da pesca. Il motivo è che la fibra dell’Abaca è talmente resistente e duratura da non temere neanche l’usura dell’acqua salata.

Oltre a questi oggetti, dalla lavorazione dell’Abaca si ricava anche una poltiglia utilizzata per produrre carte speciali, come la carta moneta, filtri e bustine da  e tisane. Molti prodotti di artigianato locale, ad esempio i tappetti fatti a mano, cappelli e borse di pregio sono confezionati ancora oggi con questa fibra e con antiche tecniche artigianali.

Canapa di Manila

Curiosamente, l’Abaca non ha nulla a che fare con la pianta della Canapa, né tanto meno con la famiglia botanica delle Cannabaceae. Eppure i suoi primi scopritori la scambiarono per un arbusto appartenente a queste varietà, forse fuorviati dall’uso analogo che ne videro fare alle popolazioni locali.

Il nome “Canapa di Manila“, infatti, è ispirato alla capitale filippina che è ancora oggi una delle principali produttrici di questa fibra, assieme ad alcune regioni dell’isola di Sumatra e del Borneo.

Musa Textilis

Come ormai sappiamo, il nome botanico dell’Abaca è Musa Textilis, attribuitole nel 1801. Alcuni ritengono che il termine ricordi Antonio Musa, medico e botanico che visse nel I secolo Avanti Cristo sotto il regno dell’imperatore Augusto.

L’etimologia della parola, senza dubbio, è strettamente connessa alla famiglia delle Musaceae che include piante monocotiledoni dell’ordine Zingiberales. Più precisamente il nome “Musa” deriverebbe dall’arabo “moz” o “moza”, latinizzato successivamente in Musa.

abaca

Forte e resistente, la fibra di Abaca non teme nessun agente atmosferico e l’acqua del mare.

Dalla sua lavorazione, oggi si ottengono tessuti morbidi, ecologici, a basso costo che danno vita ad indumenti comodi da indossare e molto duraturi. Peculiarità che accomunano l’Abaca a tante nuove fibre vegetali destinate all’abbigliamento naturale e ad arredi per la casa di origine vegetale.

Ma non è tutto. Questa fibra naturale è molto apprezzata anche dall’industria fashion. In tal senso, l’Abaca è utilizzata sopratutto per la creazione di spettacolari cappelli che spesso vediamo indossare agli aristocratici Britannici.

Ciò che è ancora più importante è che dietro ogni foglia di Abaca non c’è solo una storia, una lavorazione unica, un modo di vivere e delle tradizioni millenarie.

Gli agricoltori e le comunità locali dei paesi produttori fondano buona parte della loro economia sulla lavorazione di questa eccellente materia prima. Ciò significa che deve essere tutelata e avviata ad uno sviluppo equo e solidale al pari di tante altri prodotti “esotici” molto richiesti dal mondo occidentale.

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Perché il latte materno è l’alimento più importante e completo per la crescita del neonato

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Il latte materno è l’alimento più importante e completo per la crescita del neonato e rappresenta ciò di più prezioso e straordinario la natura ci abbia fatto dono.

Il suo valore nutrizionale è altissimo. Si tratta, infatti, di un concentrato naturale di vitamine, sali minerali, acidi grassi essenziali, carboidrati, proteine ed altre componenti indispensabili allo sviluppo del bambino, la cui composizione cambia durante i mesi dell’allattamento a seconda delle specifiche esigenze del piccolo.

Ed è proprio la sua capacità di adattamento e variabilità al fabbisogno nutrizionale del neonato a fare del latte materno l’alimento perfetto e “su misura” nelle prime e fondamentali fasi della sua crescita. Scopriamo insieme tutti i segreti, i benefici e le peculiarità di questo “super-food”, frutto della perfetta alchimia che unisce mamma e bebè.

Latte materno: produzione

Normalmente, il latte materno viene prodotto dalle ghiandole mammarie della donna, sotto il controllo di alcuni ormoni (prolattina e ossitocina) stimolati dalle poppate del bambino. Un meccanismo naturale sorprendete, che non solo determina la produzione del latte, ma ne modula anche la quantità, l’erogazione e determina le sue caratteristiche nutrizionali intrinseche. Un piccolo miracolo della natura umana che si ripete ad ogni poppata.

latte materno

Non sempre, però, la produzione di latte materno è adeguata alle esigenze nutrizionali del bambino, ma quando ciò accade si può tentare di aumentarla in modo naturale senza ricorre al latte artificiale. Un aiuto può arrivare dall’integrazione di alcune sostanze galattogene, come la galega e da un’adeguata dieta in allattamento.  Per far ciò è fondamentale che si creino le condizioni ottimali perché ormoni e ghiandole funzionino in maniera sinergica ed efficiente. E’ dunque importante:

  • attaccare correttamente il bambino al seno;
  • allattare ogni volta che il neonato ne fa richiesta;
  • mantenere una frequenza alta delle poppate giornaliere;
  • attendere, ad ogni poppata, che il bambino si stacchi spontaneamente;
  • allattare anche durante la notte, quando i livelli di prolattina aumentano;
  • evitare di utilizzare ciucci e tiralatte;
  • creare un ambiente rilassante e protetto durante l’allattamento.

Perché la produzione giornaliera di latte sia continua e abbondante è quindi indispensabile che le poppate siano frequenti e correttamente eseguite. Più il bambino succhierà il latte dal senso della mamma, più i livelli ormonali resteranno alti e stimoleranno le ghiandole mammarie attraverso il “riflesso prolattinico” attivato proprio dalla suzione.

L’ossitocina, invece, è l’ormone deputato alla fuoriuscita del latte dal capezzolo (“riflesso ossitocinico”) ed è stimolato dagli impulsi nervosi che arrivano al cervello della mamma quando il bambino si attacca al seno.

Latte materno: composizione

Nel miracoloso processo che permette la produzione di latte, ognuno, dunque, deve fare la sua parte. Solo attraverso questa sinergia perfetta una mamma è in grado di produrre del latte adeguato in quantità e qualità alle esigenze del proprio piccolo.

Tuttavia, il latte che una mamma produce durante i mesi dell’allattamento non è sempre uguale. Esso cambia in funzione dello sviluppo del bebè variando ogni volta in termini di composizione, aspetto, consistenza e colore. In generale si possono individuare 3 fasi nella produzione del latte materno che corrispondono ad altrettante composizioni nutrizionali specifiche.

  • Colostro

Si tratta di un latte denso e appiccicoso che viene prodotto dalla ghiandole mammarie nei primissimi giorni dell’allattamento, in media per le prime 72 ore successive al parto. E’ soprannominato anche “oro liquido” per il suo altissimo contenuto di vitamine, sali minerali e proteine. Il colostro è il latte materno che trasferisce al bambino gli anticorpi e le immunoglobuline indispensabili al sistema immunitario.

  • Latte di transizione

Tra il 5°e il 14° giorno dopo il parto il latte materno cambia, e si trasforma in quello che viene definito “latte di transizione”. Come suggerisce il nome, si tratta di una fase intermedia della produzione di latte che si prepara a cambiare ulteriormente in latte maturo. Consistenza e colore del latte di transizione sono ancora più dense e intense per via del contenuto lipidico più alto e della maggiore concentrazione di calorie e lattosio.

  • Latte maturo

Dalla quarta settimana di vita del bambino il latte diventa maturo. Il latte maturo è ricco di proteine, zuccheri, vitamine e sali minerali e di tutti i componenti indispensabili (ormoni, enzimi e cellule vive) alla crescita e al sano sviluppo del bambino e delle sue funzioni cognitive. Benché il latte materno abbia un valore nutrizionale eccellente in ogni sua fase evolutiva, la composizione del latte maturo presenta caratteristiche distintive notevoli.

  • contiene 400 proteine (caseine e sieroproteine) deputate non solo alla funzione nutritiva ma anche antimicrobica e immunitaria;
  • è ricco di lattosio, il carboidrato che soddisfa gran parte del fabbisogno energetico del bambino ed è fonte di galattosio, fondamentale per lo sviluppo del sistema nervoso centrale;
  • contiene circa 200 acidi grassi preziosi tra cui: acido oleico, acido linoleico, cido palmitico, acido arachidonico e acido docosaesaenoico;
  • è un concentrato naturale di calcio e fosforo deputati alla mineralizzazione ossea, oltre che di Vitamina D, Vitamina B1, B2, Vitamina B12 e Vitamina A.

La composizione di questo latte rimane pressoché invariata nel tempo, anche se può subire leggeri mutamenti ad ogni poppata, a seconda delle condizioni di salute di mamma e bimbo.

Colore e sapore del latte materno

Come abbiamo visto, la diversa composizione del latte materno incide profondamente anche sul suo aspetto. Il colore, ad esempio, è la caratteristica che meglio rappresenta questa variabilità. Esso può variare perfino da donna a donna ed è quindi molto soggettivo.

Normalmente la colorazione che assume il latte è giallognolo o tendente all’arancio per via dell’alto contenuto di beta-carotene. Il colore giallo-arancio è quello tipico del colostro. Il latte maturo, invece, vira sul bianco-panna, ma a volte può presentarsi verdastro o addirittura azzurrino in funzione della percentuale di proteine in esso presenti.

Altre volte, invece, è quasi trasparente, ma il colore può cambiare anche sensibilmente nell’arco della stessa giornata a seconda dell’alimentazione e della frequenza delle poppate. Anche la conservazione del latte materno incide sul colore. Trascorsa qualche ora, infatti, è ben visibile una parte più bluastra e una più bianca e densa dovuta alla precipitazione dei grassi.

Anche il sapore del latte materno è estremamente variabile e dipende in larga parte dalla dieta della mamma. Alcuni alimenti, dal sapore più forte e marcato, possono sicuramente incidere sul sapore del latte ma gli esperti raccomandano alle mamme di non eliminarli dalla propria dieta. In questo modo, infatti, il bambino si adatterà ai diversi sapori e da grande sarà più predisposto ad una dieta varia ed equilibrata.

latte materno

Benefici del latte materno

Grazie al suo alto contenuto biologico,  il latte materno è l’alimento principe della dieta del bambino almeno per i primi 6 mesi di vita. La presenza di sostanze immunizzanti attive lo proteggono da infezioni e riducono il rischio di sviluppare allergiediabete, sovrappeso e obesità in età adulta.

Anche la mamma può godere di molti dei suoi benefici durante l’allattamento. Allattare, significa recuperare più in fretta la forma fisica perché è un’attività faticosa che implica un certo dispendio energetico (circa 500 kcal al giorno). L’allattamento, inoltre, riduce il rischio di osteoporosi, alcune forme di tumore al seno e all’ovaio ed è fondamentale nella costruzione dello speciale legame emotivo che si crea tra mamma e figlio.

Conservazione del latte materno

Il latte materno può essere conservato per un certo periodo di tempo a temperatura ambiente, in frigo o in freezer.  La conservazione ottimale prevede l’utilizzo di un contenitore sterile riempito per tre quarti sul quale dovrà essere apposta un’etichetta riportante la data dell’estrazione.

Temperatura

Il tempo di conservazione del latte materno è inversamente proporzionale alla temperatura a cui è sottoposto. Se la temperatura aumenta, dunque, i tempi di conservazione diminuiscono. In frigorifero il latte materno può essere conservato per 5-8 giorni ad una temperatura compresa tra 0-4 °C.

A temperatura ambiente, invece, il colostro si conserva per circa 12 ore tra 27-32 °C. Il latte maturo deve essere conservato sotto i 15 °C per 24 ore, da 15 a 25°C per 10 ore e  da 25 a 37°C per 4 ore.

Latte materno congelato

In freezer il latte materno si conserva da 2 settimane a 6 mesi, a seconda del tipo di freezer utilizzato (cella, scomparto a porta autonoma o congelatore separato).

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Tutte le proprietà dei semi di girasole e le migliori ricette da preparare in casa

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I semi di girasole, così come altri semi oleosi, sono alimenti ricchi di proprietà e di nutrienti. Scopriamole insieme, illustrando anche ben quattro ricette con questo ingrediente, dal dolce del müsli al salato dei crackers!

Questi semi oleosi sono un altro tra gli ingredienti della cucina naturale assolutamente da scoprire.

Da dove vengono i semi di girasole

Cominciamo a vedere da dove vengono. Helianthus annus è il nome scientifico ma comunemente è noto con il nome di girasole, lo splendido fiore dalla corolla di colore giallo che l’antica popolazione Inca considerava simbolo di sovranità.

Originario delle Americhe, solo alla fine del XVI secolo raggiunse il continente europeo. Si deve però attendere il XVIII secolo per assistere alle prime coltivazioni di girasole per la produzione di olio.

Il fiore può raggiungere gli 85 cm di diametro e il gambo si può estendere fino a 6 metri di altezza! I semi sono in realtà le mandorle contenute nel pericarpo dei piccoli frutti dell’infiorescenza.

Nonostante l’elevato numero di calorie, sono fra i più leggeri dei semi oleosi. I suoi semi contengono molte sostanze nutritive e sono ricchi di carboidrati e proteine.

Vediamole nel dettaglio.

Semi di girasole proprietà

Sono ricchi di acido linoleico, utile nel prevenire malattie cardiache e abbassare il colesterolo, e di fenoli. Sono tutte con proprietà preventive contro le malattie degenerative.

  • Tra le vitamine presenti troviamo la A (40 mcg), la D (22 mcg), la E (31 mg) e la PP (3,3 mg). Ma ciò che rende i semi di girasole davvero unici è la rarissima vitamina B12 e la B1, presente tra 1,36 mg e 2,2 mg, quantità in assoluto maggiore rispetto ad altri alimenti.
  • Tra i minerali abbiamo il ferro e il magnesio.
  • Tra gli oligoelementi troviamo il selenio, il fosforo, lo zinco, il rame, il cobalto e il manganese. Le ultime ricerche hanno scovato anche la presenza di acido clorogenico, utile per la sua azione antibatterica e antinfettiva.

PER SAPERNE DI PIU’ SULLA Questione B12 nella dieta vegana

Come utilizzare i semi di girasole

Come possiamo usare i semi di girasole? innanzitutto va precisato che sarebbe meglio non tostarli anche se prendono più sapore, perché perdono alcune sostanze nutritive.

Ma se proprio non volete rinunciarvi suggeriamo di tostarli in casa. Se li mangiate al naturale, bastano 2 cucchiai al giorno, altrimenti potete metterli nell’impasto dei biscotti e del pane, nelle insalate oppure nelle zuppe come decorazione finale.

Anche l’olio di girasole è un valido ingrediente per diversi motivi che trovate elencati nell’articolo dedicato.

Nel campo della cosmetica i semi trovano largo impiego per le loro qualità emollienti, rigeneranti e idratanti. Non a caso, l’olio di semi di girasole viene spesso utilizzato nei massaggi contro i dolori reumatici o muscolari.

I semi di girasole nell’alimentazione naturale

Si trovano sotto forma di semi o di farina. Si possono aggiungere a piatti salati ma anche ai dolci mescolati ad una macedonia o nei biscotti e nelle torte, a fine cottura.

Possono anche essere usati per condire l’insalata e una zuppa, come pure le verdure grigliate o sulla carne. Ma su come introdurli nell’alimentazione, torneremo meglio più sotto, con quattro ricette apposite.

La curiosità: I semi di girasole tostati sono popolarissimi come snack in Russia ed altri paesi dell’Est Europa. Noti in russo come semechki, vengono sgranocchiati ovunque, davanti alla TV come allo stadio o in autobus o su una panchina del parco, difficile davvero non farci caso!

semi di girasole tostati

E anche noi oggi ci concediamo una piccola razione di semi tostati!

Insomma nonostante l’apparenza, questi semi sono davvero un toccasana per la nostra salute. Se li aggiungiamo sia al naturale che tostati anche al latte, ai frullati o a ciò che preferiamo, possiamo davvero dare una mano al nostro organismo per stare meglio!

Semi di girasole dove comprarli

Questo è un prodotti disponibile solitamente nei migliori supermercati o nei negozi che vendono prodotti biologici.

Naturalmente, ecco anche dove possiamo trovarli online:

Ma ora veniamo alle ricette…

4 ricette coi semi di girasole

Oltre alle tante proprietà benefiche, questi semi sono noti anche per l’estrema versatilità in cucina: ideali per la realizzazione di pietanze sia dolci che salate, buonissimi tostati e preziosi per l’olio che si ottiene tramite spremitura.

Se avete voglia di cimentarvi nella preparazione di qualche piatto leggero, sano e semplice da realizzare con questi semi potreste iniziare da una gustosissima insalata arricchita con semi tostati in una padella antiaderente e condita con un filo d’olio degli stessi semi.

Voglia di un condimento originale e gustoso per la vostra pasta? Provate un pesto ‘alla genovese’ sostituendo ai pinoli i semi di girasole.

Muesli ai semi di girasole

Al mattino, invece, si può partire con un bel carico di energia consumando un muesli croccante con latte o yogurt. Quello che vi serve sono:

  • 15 gr di fiocchi di avena
  • 15 gr di farro tritato
  • 30 semini di girasole

Preparazione:

  • Farro e avena devono rimanere a bagno in acqua leggermente dolcificata con un po’ di miele per una notte. Al mattino scolateli per bene e uniteli ai semi con il succo di mezzo limone e miele.
  • Formate delle palline compatte da mettere in una ciotola di latte o yogurt e arricchite a piacere con frutta fresca e secca.

Una bontà!

granola sunflower seeds

Ricetta del muesli con questi semi

Biscottini ai semi di girasole

Analogamente, possiamo preparare degli ottimi biscottini veg decorati con semi interi. Per realizzarli servono:

  • 150 gr di farina 00
  • 4 cucchiai di zucchero di canna
  • 350 gr di semi di girasole
  • clementina

Preparazione: 

  • Frullate la farina con lo zucchero e i semi tendendone da parte qualcuno per la decorazione finale. Aggiungete all’impasto così ottenuto la scorza e il succo della clementina e un filo d’acqua per stemperare il tutto.
  • Una volta pronta, lavorate la pasta con il matterello e formate delle sfere leggermente schiacciate che guarnirete con una manciata di semi interi.
  • Fate cuocere in forno a 180° per circa 10 minuti.

Buoni, leggeri e naturali, i vostri biscottini saranno apprezzati anche dai più piccoli per una merenda sana o a colazione.

biscottini girasole

Ricetta dei biscottini ai semi di girasole

Cracker ai semi di girasole

Per chi vuole preparare dei crackers fatti in casa, ottimi come snack fragrante o per accompagnare i pasti al posto del pane, gli ingredienti necessari per preparare una teglia di cracker sono:

  • 110 gr di farina ‘00’
  • 30 gr di olio di semi di girasole
  • 50 gr di acqua
  • 15 semi di girasole interi
  • 1 pizzico di lievito di birra disidratato
  • 1 pizzico di sale
  • sale a fiocchi quanto basta

Preparazione: 

  • Versate in una ciotola la farina, lo zucchero, il lievito e il sale e mescolate accuratamente il tutto con una forchetta.
  • Formate una fontana e versate l’acqua e l’olio di semi di girasole. Mescolate ancora fino a che il liquido non sarà completamente assorbito.
  • Quando l’impasto sarà abbastanza compatto, trasferitelo su un piano e continuate a lavorarlo con le mani fino ad ottenere un panetto liscio e morbido. Create una conchetta nell’impasto e riponetevi i semi .
  • Continuate a lavorarlo con le mani per qualche minuto e lasciate riposare l’impasto così ottenuto in una ciotola coperta da un canovaccio per circa mezzora. A questo punto suddividete l’impasto in 8-9 porzioni che stenderete con il mattarello su un ripiano spolverizzato di sale.
  • Ogni cracker dovrà lungo circa 20 cm e spesso pochi millimetri. In alternativa, se preferite ottenere i classici cracker rettangolari, dovrete stendere l’impasto intero e tagliarlo con una rotella.
  • Foderate con carta da forno una teglia e disponete i vostri cracker spolverizzati uniformemente con sale a fiocchi.
  • Lasciate cuocere a 220° gradi per 10-15 minuti finchè non saranno ben dorati.
  • Lasciate risposare e servite freddi.
cracker semi girasole

Ricetta dei biscottini ideali per la colazione

Crema di semi di girasole

Chiudiamo questa carrellata di ricette con una vera chicca, vale a dire una ottima crema.

Semplice e velocissima da preparare, buona da spalmare sul pane, come condimento per la pasta, il riso, l’orzo o sui crostini, questa crema è una prelibatezza che arricchirà i vostri piatti con leggerezza e gusto.

Per preparare una quantità di crema sufficiente per 4 persone vi occorre:

Preparazione: 

  • Mettete nel mixer tutti gli ingredienti tranne l’olio e tritate per qualche minuto.
  • Continuando a frullare, aggiungete l’olio di semi a filo fino ad ottenere un composto cremoso.
  • Per condire i primi piatti potete aggiungere un paio di cucchiai di pomodoro a crudo.

Unica avvertenza riguarda la conservazione: la crema si ossida facilmente anche in frigo, quindi deve essere consumata piuttosto in fretta.

sunflower dressing

Una crema da provare

Pronti a sperimentare alcune di queste ricette nella vostra cucina?

Altri consigli sui semi oleosi per la cucina

Se ti interessa sapere di più su altri semi oleosi, e su come cucinarli o utilizzarli, guarda qui:

Ecco come trattare efficacemente alcuni tipi di macchie davvero difficili, come le macchie di erba

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Il sole e il clima mite della bella stagione invogliano a trascorrere il tempo libero all’aria aperta, magari nell’orto o semplicemente in giardino, ma come eliminare le macchie di erba che queste piacevoli attività possono lasciare sui nostri vestiti? Vediamo i consigli pratici e i metodi naturali più efficaci per riuscirci.

Le macchie verdi che il contatto e lo strofinamento con l’erba rimangono sugli indumenti sono davvero ostinate e difficili da rimuovere, vediamo come eliminare le macchie d’erba dai tessuti senza rovinarli e senza usare smacchiatori e altri prodotti chimici. Esistono infatti dei metodi naturali, sicuri ed efficaci, che ci consentono di eliminare facilmente le macchie di erba più ostinate.

Leggete attentamente la nostra guida e scoprirete tutti i trucchi e i consigli pratici.

Scoprite anche il nostro vademecum per eliminare le macchie di vari tipi in modo naturale ed efficace: come eliminare le macchie difficili

La prima regola è agire con tempestività sulla macchia. Spesso, infatti, se la macchia è ancora fresca l’ammollo in acqua tiepida o nel latte freddo consente di rimuovere le tracce d’erba e gli eventuali aloni senza bisogno di sfregare.

Questa regola vale per tutti i tessuti, in particolare per cotone e lino. Nel caso in cui la macchia sia già secca, occorre sempre pre-trattarla strofinando delicatamente un po’ di succo di limone e risciacquare con acqua tiepida.

Perché è così difficile rimuovere le macchie di erba?

La macchia verde è data dalla presenza di clorofilla e altri composti chimici, come xantofille e carotenoidi. Queste sostanze, avendo una composizione simile alle fibre naturali dei tessuti, quali cotone o lana, tendono a penetrare in profondità legandosi alle fibre stesse.

Questo rende molto difficile la rimozione della macchia rispetto a tessuti che utilizzano fibre sintetiche, come il poliestere, in cui la macchia si deposita solo sullo strato più superficiale.

Come eliminare le macchie di erba dai jeans

l jeans sono sicuramente uno dei tessuti più utilizzato nel tempo libero e pertanto soggetto a macchie di ogni tipo. Ma come eliminare le macchie d’erba dai nostri jeans preferiti? Niente paura, perché le opzioni per smacchiare i jeans preservando il loro aspetto sono tante e tutte naturali. I metodi più efficaci in questo caso sono:

  • Latte
  • Ammoniaca e aceto
  • Albume e glicerina
  • Alcool e talco
  • Succo di limone e bicarbonato di sodio
  • Spugnetta abrasiva

Se la macchia di erba è recente, possiamo trattarla semplicemente con dell’alcool, cospargerla di talco e rimuovere il tutto con una spazzola. Se invece è secca e particolarmente tenace, è necessario intervenire con uno sgrassatore da cucina oppure con il succo di limone e il bicarbonato di sodio.

Tutte queste soluzioni consentono di realizzare in pochi minuti un pre-trattante naturale che vi consentirà di preparare adeguatamente il capo al lavaggio normale e ottenere jeans puliti e smacchiati.

Strofinate delicatamente con una spugnetta leggermente abrasiva e risciacquate la parte trattata per poi procedere con il lavaggio in lavatrice o a mano, magari con del sapone di Marsiglia e in acqua fredda.

Un altro metodo fai-da-te efficace per rimuovere le macchia d’erba dai jeans consiste nel trattare il tessuto macchiato con un composto di albume e glicerina in parti uguali. Dopo aver strofinato, risciacquate la parte trattata con del latte freddo e procedete con il lavaggio tradizionale.

come eliminare le macchie di erba

Macchie di erba sui jeans? Un classico… ma con rimedi semplicissimi

Come eliminare le macchie di erba dai tessuti delicati

Abbiamo già visto che se la macchia di erba da rimuovere è su tessuti come il cotone o il lino il metodo più efficace per rimuoverla è mettere in ammollo il capo nel latte freddo per almeno mezzora oppure sfregare leggermente con del succo di limone.

Se invece volete sapere come eliminare le macchie d’erba da tessuti più delicati come la lana, potete provare con una soluzione fatta in casa a base di 3 parti di acqua tiepida, 2 di alcol e una di ammonica. Dopo aver strofinato delicatamente il capo in questa soluzione, risciacquate con acqua e aceto.

Ed ecco un ultimo metodo naturale molto efficace per eliminare le macchie di erba più ostinate dai capi bianchi o dagli indumenti dei bambini: immergete il tessuto in una bacinella con un po’ di acqua tiepida e il succo di 2 limoni maturi e lasciate in ammollo per circa 3 ore.

Risciacquate con acqua fredda e procedete con il tradizionale lavaggio in lavatrice. Il risultato non vi deluderà!

Ora che avete scoperto come eliminare le macchie d’erba dai vestiti in modo semplice e naturale date pure sfogo alla vostra voglia di estate e di gite fuori porta…

Trucchi per eliminare le macchie di erba in maniera naturale

Il primo consiglio che vi diamo è quello di agire prontamente sulla macchia di modo da arrestare il processo di assorbimento. Vediamo adesso quali ingredienti naturali utilizzare per trattare il vostro capo. E il secondo consiglio è di non trattare le macchie con acqua calda, che avrà il potere di fissarla nel tessuto invece di ‘scioglierla’ come comunemente si crede.

  • Latte freddo: versate direttamente sulla macchia del latte freddo, fate agire per qualche minuto e poi lasciate il capo in ammollo in acqua calda per un po’.
  • Limone: se la macchia già si è seccata sul tessuto, tagliate un limone a metà e sfregatelo energicamente sulla zona interessata. Sciacquate in acqua tiepida nella fase finale.
  • Alcool: versate 3 parti di acqua tiepida e 2 parti di alcool in una bacinella piccola, poi aiutandovi con una spugnetta trattate la macchia.
  • Albume, latte e glicerina: questo rimedio è utile per i jeans. Unite un albume d’uovo con della glicerina in pari quantità, trattate la macchia e poi risciacquate con mezzo bicchiere di latte freddo.
  • Aceto di mele: utile per molte macchie ostinate. Versatene 2 cucchiaini da caffé sul tessuto asciutto e lasciate agire per qualche minuto. Poi strofinate con una spugnetta.
  • Bicarbonato: anche in questo caso si interviene sul capo asciutto. Basta 1 cucchiaino di bicarbonato di sodio per un paio di minuti e si ultima sempre con l’aiuto di una spugnetta, meglio se abrasiva.

In ogni caso ricordatevi sempre di procedere al lavaggio normale una volta applicati questi rimedi.

Smacchiare i tessuti, pulire la casa, lavare i piatti e i vestiti, tutto in modo economico e naturale, senza inquinare l’ambiente: provate i consigli e le dritte della nostra guida alle pulizie di casa in modo naturale e senza prodotti chimici.

Non tornerete più ai prodotti potenzialmente tossici e costosi del supermercato!

Altri suggerimenti utili

Potresti acquistare dei prodotti per smacchiare o pre-trattare i tessuti macchiati in modo naturale:

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Acqua distillata: cos’è, a cosa serve e come farla in casa

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L’acqua distillata è un’acqua quasi del tutto priva di impurità che può essere ottenuta tramite un processo di distillazione replicabile in casa con alcune tecniche fai-da-te di facile esecuzione.

Per l’esattezza, l’acqua distillata è un’acqua a cui sono stati sottratti minerali, microrganismi, gas e impurità che normalmente si trovano disciolti nell’acqua non trattata. Quest’acqua, dunque, non presenta batteri, calcare e altri minerali ed ha una conducibilità elettrica limitata per via della bassa concentrazione di ioni presenti al suo interno.

Vediamo a cosa serve, le caratteristiche, gli utilizzi e come auto-produrre acqua distillata direttamente in casa propria.

Acqua distillata: cos’è

Come abbiamo visto, l’acqua distillata è un’ acqua quasi completamente pura. Essa, infatti, è priva di sali minerali, gas e batteri che normalmente arricchiscono l’acqua in proporzioni diverse, a seconda della provenienza (sorgente, rubinetto, bottiglia, mare, ecc).

Il processo di distillazione dell’acqua serve proprio ad eliminare le componenti solide, i minerali, i microrganismi ed i gas presenti nell’acqua del rubinetto ma anche in quella in bottiglia.

Formula

L’acronimo che definisce chimicamente l’acqua distillata nelle formule è quasi uguale a quella dell’acqua “normale”: DH2O. Tradotto in termini pratici, significa che in ogni molecola di questo liquido ci sono 2 atomi di idrogeno e 1 di ossigeno, ma con una differenza fondamentale: la lettera “D” che vediamo anteposta indica, appunto, il processo di distillazione.

acqua distillata

Utilizzi in casa

In ambito domestico, l’acqua distillata è utilizzata sopratutto a scopo alimentare, per far funzionare alcuni elettrodomestici, per realizzare detergenti ecologici fatti in casa, per innaffiare le piante e per riempire gli acquari.

L’acqua distillata trova largo impiego, infatti, per la cura della persona, delle piante e per il corretto funzionamento di alcuni elettrodomestici, come ferro da stiro, deumidificatori e climatizzatori. 

E’ utile per innaffiare le piante grasse, per riempire gli acquari finti e per il rabbocco del radiatore dell’auto o della vaschetta del tergicristallo. Può essere utilizzata anche per rendere acido il terreno di orti e giardini.

L’acqua distillata è un valido aiuto nelle pulizie domestiche per far brillare l’acciaio, smacchiare il bucato e riempire la vaschette dei radiatori che non si incrosteranno di calcare. Inoltre, è perfetta per lavare i capelli senza appesantirli. In cosmetica, è un ingrediente fondamentale per preparare detersivi profumi naturali fai da te.

Acqua distillata: si può bere?

Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, bere acqua distillata è sconsigliato. A lungo termine, infatti, gli effetti negativi sull’organismo possono essere notevoli poiché si tratta di un’acqua priva di sali minerali – sostanze essenziali alla nostra salute – la cui carenza può provocare gravi scompensi psico-fisici.

Ciò espone l’organismo alla possibilità di sviluppare malattie coronariche, osteoporosi, osteoartriti, ipotiroidismo e all’ invecchiamento precoce.  L’utilizzo a scopo alimentare, pertanto, dovrebbe essere limitato a brevi periodi di tempo e sempre sotto sorveglianza del medico di base.

Acqua distillata fai-da-te

Molto spesso sentiamo parlare di acqua distillata senza sapere effettivamente cos’è e quando è opportuno utilizzarla al posto dell’acqua normale che sgorga dai rubinetti.

Non tutti sanno, inoltre, che l’acqua distillata può essere realizzata facilmente in casa con metodi piuttosto semplici. Metodi che assicurano lo stesso risultato dell’acqua distillata comprata in farmacia o nei negozi specializzati.

Per ottenere acqua distillata non servono strumenti particolari o complicate formule chimiche. L’acqua, infatti, può essere distillata con metodi casalinghi sicuri che non richiedono neanche l’impiego di addolcitori d’acqua domestici.

Volete sapere di cosa si tratta? Ecco 3 tecniche fai-da-te che consentono di distillare l’acqua di rubinetto in tutta sicurezza.

  • Condensazione in recipiente

Questa tecnica consiste nel riempire con acqua corrente una pentola abbastanza profonda (20 litri di capacità) e posizionarla su un fornello con un recipiente di vetro (ad esempio una zuppiera in vetro) lasciato galleggiare sul liquido. Badate che il recipiente non tocchi mai il fondo della pentola ma galleggi sul liquido senza andare giù.

Quando l’acqua inizierà a bollire e ad evaporare ponete sulla pentola un coperchio di vetro capovolto e metteteci sopra dei cubetti di ghiaccio. In questo modo, il liquido che evaporando risalirà verso l’alto incontrerà una superficie fredda e ricadrà nel recipiente di vetro posto nella pentola sotto forma liquida.

Sali minerali e gas (più pesanti) convoglieranno verso il fondo della pentola, e alla fine del processo, quando il recipiente sarà pieno, avremo ottenuto una buona quantità di acqua distillata pronta all’uso.

  • Condensazione in bottiglia

Questa tecnica prevede l’utilizzo di 2 bottiglie di vetro, di cui una preferibilmente con collo curvo 90° che consentirà di impedire all’acqua di ritornare nella bottiglia all’interno della pentola.

Riempite la bottiglia con il collo normale con della semplice acqua di rubinetto lasciando 10 cm di spazio vuoto tra il livello del liquido e la cima del collo. Utilizzando del nastro adesivo, unite le due bottiglie per i colli in modo da collegare le bocche tra loro. Badate che il nastro utilizzato sia robusto e che sigilli perfettamente le sommità delle due bottiglie in modo che né il vapore né l’acqua possano fuoriuscire durante il processo di condensazione.

Collocate la bottiglia piena d’acqua in un pentolone anch’esso riempito con una quantità di acqua sufficiente a coprire la bottiglia. Inclinate a 30° la bottiglia nel pentolone appoggiandola ad una parete interna in modo che sia stabile.

La bottiglia vuota fuori dalla pentola dovrà essere avvolta in un sacchetto di ghiaccio e raffreddata adeguatamente in modo che quando l’acqua comincerà a scaldarsi il contatto con la superficie fredda inneschi il processo di condensazione del vapore. L’acqua distillata comincerà quindi ad entrare nella bottiglia vuota fino a riempirla.

  • Raccolta delle acque meteoriche

Il metodo è piuttosto semplice e consiste nel convogliare in contenitori puliti le acque meteoriche. Dopo due giorni di attesa, i sali minerali contenuti nell’acqua cominceranno a disperdersi e l’acqua potrà essere trasferita in brocche per essere utilizzata.

Tale tecnica, come si può intuire, è viziata dall’inquinamento atmosferico che può alterare la composizione dell’acqua piovana con elementi acidi o addirittura nocivi.

acqua distillata

Differenza tra acqua distillata e demineralizzata

L’acqua distillata differisce da quella demineralizzata sia per le caratteristiche che, conseguentemente, per gli impieghi a cui è destinata, sia livello industriale che domestico.

Non è raro che il concetto di distillazione dell’acqua venga confuso con quello di demineralizzazioneBenché simili, si tratta di trattamenti diversi.

Il processo di demineralizzazione dell’acqua, infatti, è ottenuto attraverso reazioni chimiche che non abbattono la carica batterica. Al contrario, quello di distillazione è ottenibile facilmente anche in casa con un risultato di purezza molto vicina al 100%.

Dove si compra

L’acqua distillata può essere comprata facilmente in quasi tutti i supermercati, in farmacia e nei garden-center o nei negozi di animali specializzati nella vendita di acquari. La si trova imbottigliata in contenitori di varie dimensioni e in taniche da 5 e 10 litri. Può essere acquistata anche online sulle principali piattaforme di e-commerce.

Prezzo

Il prezzo medio dell’acqua distillata varia a seconda del produttore e del distributore presso cui la si acquista. In generale, il costo per litro è in media di 0,80-0,90 centesimi.

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Terre de Femmes 2019: il Premio della Fondazione Yves Rocher si prepara al gran finale 

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Anche quest’anno lo storico marchio francese della cosmesi vegetale sostiene la Fondazione Yves Rocher nel progetto “Terre de Femmes” dedicato alle donne che si battono per la sostenibilità ambientale. Per candidarsi al premio c’è tempo fino al 12 settembre 2019. 

Yves Rocher non è solo sinonimo di qualità e innovazione nel campo della cosmesi vegetale, ma anche di impegno concreto per la tutela dell’ambiente e del suo delicato equilibrio, sempre più provato dagli effetti dei cambiamenti climatici. 

Con l’edizione 2019-2020 del Premio Terre de Femmes, Yves Rocher ribadisce e celebra la centralità del ruolo femminile nella costruzione di un futuro ecologicamente più sostenibile e solidale. Un premio internazionale dedicato alle guardiane dell’ambiente, donne schierate ogni giorno in prima linea in difesa della biodiversità e dei territori in cui operano, ma anche delle comunità a cui appartengono. 

L’impegno di Yves Rocher a favore della diversità biologica si rinnova di anno in anno non solo attraverso “Terre de Femmes”, ma con tanti altri progetti ispirati ai medesimi principi. Valori, che dal 1991 trovano nella Fondazione Yvers Rocher lo strumento ideale per tradursi in azioni virtuose condivise. 

Un esempio è “Piantiamo per il Pianeta”, il piano di riforestazione attivo da 2007 in diverse zone del Mondo pensato per nutrire la terra e le comunità piantatrici coinvolte.

E come sempre, quando si parla di Natura e di sfide per la biodiversità, l’obiettivo di Yves Rocher è molto ambizioso: piantare 100 milioni di alberi entro il 2020. 

Il successo dell’iniziativa sembra già molto vicino visto che ad oggi sono quasi 89 milioni (1 ogni 3 secondi) gli alberi piantumati in diverse regioni del Pianeta. Il merito è anche della fitta rete di piantatori sparsi in 35 Paesi e delle 42 ONG che si adoperano per sostenere le economie e le comunità locali nei territori di appartenenza. 

Ma scopriamo qualcosa di più sull’anima green di Yves Rocher e sulle iniziative che il marchio- simbolo della bellezza naturale sostiene con orgoglio da 25 anni attraverso la Fondazione YR. 

La sostenibilità è donna 

Il Premio Terre de Femmes vuole premiare ogni anno le donne che con il loro lavoro incarnano i valori di Yves Rocher, gli stessi che Yves Rocher applica alla ricerca nel campo della cosmesi vegetale da più di 60 anni. 

Sostenibilità, rispetto per l’ambiente e sviluppo solidale: sono questi i principi-cardine dell’attività del prestigioso marchio. Partito nel 2001 e lanciato in Italia nel 2016, il premio celebra quest’anno la sua quarta edizione italiana a cui possono partecipare tutte le donne che lavorano ogni giorno per un progetto in favore dell’ambiente e delle comunità. 

In 18 anni di attività, “Terre de Femmes” ha premiato più di 430 donne di 11 Paesi del Mondo e ha consentito la realizzazione di innumerevoli progetti in 50 Paesi differenti, con investimenti per oltre 2 milioni di euro. 

Ma come funziona il premio? Partecipare a “Terre de Femmes” è davvero facile. Le iscrizioni sono ancora aperte, ma c’è tempo fino al 12 settembre 2019 per inviare la propria candidatura. Per farlo è sufficiente: 

  • collegarsi alla pagina dedicata sul sito di Yves Rocher 
  • scaricare il regolamento per verificare di possedere i requisiti 
  • compilare l’apposito dossier 
  • inviarlo a terredefemmes.italia@yrnet.com 

Dopo la valutazione di tutti i dossier, una giuria di esperti selezionerà i 3 progetti vincitori che verranno premiati a dicembre nel corso della Cerimonia Nazionale in programma a Milano. La premiazione assegnerà i 3 premi istituiti dalla Fondazione Yves Rocher così ripartiti: 

  • 10 mila euro per la prima classificata 
  • 5 mila euro per la seconda classificata 
  • 3 mila euro per la terza classificata 

La vincitrice dell’edizione italiana del concorso volerà in primavera a Parigi insieme a tutte le altre trionfatrici delle nazioni coinvolte e parteciperà alla Cerimonia Internazionale del “Gran Premio Terre de Femmes” che assegnerà un ulteriore premio di 10 mila euro al progetto ritenuto più meritevole da una giuria internazionale. 

Ma attenzione: il contest di quest’anno avrà come tema “Piante medicinali: tra modernità e tradizione” e la partecipazione sarà estesa sia alle vincitrici delle 11 edizioni nazionali di “Terre de Femmes” che ad altre donne impegnate in progetti che abbiano a che fare con il tema indicato. Le candidature, in questo caso, saranno aperte dal 15 settembre al 15 novembre 2019

Le vincitrici della passata edizione 

L’edizione 2018 del Grand Prix è stata vinta da Stella Deetjen. L’attivista tedesca è impegnata dal 2009 in un programma per la protezione ambientale in Nepal e lotta in prima linea contro la deforestazione e la povertà in una delle regioni più disastrate dello stato asiatico.

Stella si batte da anni per proporre un modello di gestione forestale sostenibile mirato all’utilizzo di energie rinnovabili e alla protezione degli habitat, cercando di contribuire alla ripresa dell’economia locale dopo il terribile terremoto del 2015. 

Per l’Italia, la vincitrice della scorsa edizione nazionale del premio “Terre de Femmes” è stata Debora Rizzetto con il progetto “L’ape: sentinella e termometro dell’ambiente”.

Grazie al finanziamento della Fondazione Yves Rocher, Debora ha potuto finalmente posizionare i suoi alveari urbani a Tortona per il bio-monitoraggio della salute pubblica e promuove tuttora incontri nelle città e nelle scuole italiane per sensibilizzare la comunità sul problema dell’inquinamento ambientale. 

Il secondo premio è andato a Giulia Detomati che ha proposto il progetto “B Corp Schools”. L’idea è nata per diffondere e favorire l’uso di tecnologie di formazione dei “changemakers” nelle scuole superiori. Terza piazza per Chiara Delle Donne con “Orto2 – OrtoQuadrato”, il modello di agricoltura sociale realizzato in alcune aree urbane ad alto rischio. 

Esattamente come un’ape, per Yves Rocher la donna è una risorsa preziosa nella lotta per l’ambiente, l’alleata d’elezione su cui contare per affrontare le sfide che ci attendono. Ed è proprio questa una delle missioni più importanti della Fondazione Yves Rocher: sostenere donne che lottano per l’ambiente e per la creazione di comunità attive. 

Un impegno che si rinnova nel tempo 

Oltre al premio Terre de Femmes, la Fondazione Yves Rocher organizza anche il Festival delle Fotografia a La Gacilly. Non un semplice evento artistico, ma un’occasione per denunciare lo squilibrato rapporto che lega ormai la nostra società all’ambiente naturale, sempre più degradato e deteriorato dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento. 

La Fondazione YR vanta anche la partecipazione al summit ambientale di Rio de Janeiro nel 1992 e nel 2012 e ha reso possibile la conservazione di molti giardini storici in Francia attraverso interventi di riqualificazione come quelli di ispirazione medievale ricreati nella suggestiva Abbazia Royaumont. 

Ma c’è anche il giardino nomade e urbano realizzato in una zona popolare del 19° distretto di Parigi, in collaborazione con il Théâtre de Verre e l’etnologo Florence Brunois. Un’isola di vegetazione sospesa che è anche uno spazio di riflessione sulle conseguenze del riscaldamento globale che ci sta trasformando in una società di rifugiati e nomadi climatici. 

Si può dire, insomma, che quella di Yves Rocher per preservare la bellezza della natura e dei suoi ecosistemi, sia una vocazione naturale che cerca di gettare le basi per un futuro migliore.

Come funziona la distillazione, un’antica tecnica per ricavare diversi prodotti

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La distillazione è una tecnica molto antica che permette di separare due o più sostanze disciolte in un liquido o in una miscela attraverso un processo di evaporazione e condensazione dei vapori in un alambicco.

Il procedimento è molto semplice e si basa sulla diversa volatilità degli elementi, vale a dire sul loro differente punto di ebollizione che consente di separare tali sostanze. Già nel Medio Evo questa tecnica veniva impiegata per ottenere bevande alcoliche (distillati) a partire dal succo d’uva e di altre piante, erbe e bacche.

Successivamente, il processo è stato sfruttato dall’industria chimica per numerose applicazioni e finalità. Un esempio su tutti è la distillazione dell’acqua impura o salina finalizzata alla produzione di acqua distillata, è più di recente quella del petrolio grezzo.

Vediamo come funziona, a cosa serve e quali sono i principali campi in cui trova applicazione il processo di distillazione.

Storia della distillazione

Come abbiamo visto, parliamo di un processo chimico artificiale scoperto dall’uomo intorno al 500 a.C.

Già nel I secolo d.CDioscoride Pedanio lo descrisse empiricamente grazie ad una geniale intuizione. Il medico greco, infatti, scoprì il principio della distillazione a partire dall’osservazione delle pozzanghere di acqua piovana e del modo in cui si asciugavano al sole.

Discoride capì che l’acqua evaporata ritornava a terra sotto forma di pioggia in un circolo continuo e perpetuo. Da qui seguirono studi più approfonditi sull’evaporazione e la condensazione dei liquidi e delle sostanze in essi contenuti.

Purtroppo Discoride non ebbe il tempo per mettere a punto un vero e proprio macchinario per distillare i liquidi, ma riuscì a costruire un oggetto rudimentale che potremmo considerare il predecessore dell’alambicco. Si trattava di un semplice vaso a punta che chiamò “Ambix” alla cui sommità si poteva osservare e raccogliere la condensa creata dalle gocce di vapore.

Distillazione: cos’è e come si esegue

Non tutti sanno che “distillare” significa letteralmente “separare goccia a goccia” due o più sostanze attraverso l’evaporazione e la condensazione dei vapori di quelle sostanze unite in un’unica soluzione. Per eseguire questo procedimento occorrono alcuni strumenti di base (colonna di distillazione):

  • Distillatore
  • Alambicco
  • Caldaia (curcubita)
  • Termometro
  • Sorgente di calore

Il vapore che si forma viene incanalato mediante un tubicino in una zona più fredda del condensatore e ciò consente di raccogliere il liquido di condensazione del vapore in un contenitore esterno.

Per separare la componente più volatile da quella meno volatile è fondamentale attendere che la temperatura raggiunga il punto di ebollizione corretto. Fatto ciò, occorre interrompere immediatamente il processo (sosta termica) e riprendere solo dopo che la temperatura avrà smesso di salire.

Tipi di distillazione

A seconda del tipo di alambicco, delle tecniche e delle strumentazioni accessorie utilizzate, la distillazione si divide essenzialmente in 2 tipi da cui derivano anche tutti gli altri metodi:

  • Continua 
  • Discontinua

Alcune particolari procedure sono state messe appunto a seconda delle sostanze da separare, dei processi e delle reazioni termiche e fisiche che si innescano durante la distillazione stessa.

Distillazione discontinua

La distillazione discontinua è il metodo più antico e semplice della storia di questa tecnica. L’alambicco può compiere una sola distillazione per volta, quindi ad esaurimento del liquido occorre arrestare il processo e ricaricarlo almeno due o tre volte, a seconda della sostanza distillata e del tipo di risultato che si intende ottenere.

distillazione

Distillazione continua

La distillazione continua rappresenta un vero e proprio “salto di qualità” per i grandi produttori industriali. A differenza di quella semplice e di quella discontinua non occorre scaricare e ricaricare i recipienti, il chè  rende il procedimento meno costoso e più rapido. Inoltre, il liquido immesso fuoriesce come distillato nella stessa quantità.

Questa tecnica viene utilizzata per ottenere l’alcol di base serve a produrre il Gin, ma anche altri distillati pregiati come l’Armagnac, il Cognac, molti blend di Whisky irlandesi, alcuni tipi di Rum, Tequila e Grappe.

Distillazione semplice

Quando si usa un alambicco si parla di distillazione semplice. Come abbiamo visto, l’alambicco è un recipiente di rame composto da un recipiente e da un sistema refrigerante a serpentina (swan neck).

Al suo interno, il liquido da distillare è inserito con una quantità di acqua e viene poi riscaldato da una fonte di calore alimentata con legno, carbone o gas. Sta all’abilità del Mastro Distillatore controllare con precisione la temperatura e regolare attentamente la gradazione del distillato per ottenere un prodotto perfetto.

Distillazione in corrente di vapore

La distillazione in corrente di vapore è utilizzata per distillare alcol ed oli essenziali e vegetali da elementi organici (erbe, radici, bacche, frutti, etc).

Il processo si basa su un flusso di aria calda generato da un bollitore separato che attraversa i liquidi presenti nella mistura. Il grande vantaggio di questa tecnica è che consente di controllare facilmente ogni fase del processo ed ottenere un distillato qualitativamente migliore.

Distillazione Frazionata

Detta anche rettificazione è un processo che consente di purificare l’alcol tramite distillazioni ripetute che eliminano l’acqua e altri componenti. A differenza delle precedenti tecniche di distillazione che permettono di ottenere un concentrazione alcolica non superiore all’80% , con questo metodo la gradazione arriva anche al 90%.

Distillazione alcolica

Il processo che consente di produrre distillati o bevande spiritose a partire dalla materia zuccherina fermentabile è detto distillazione alcolica. Tali materie prime possono essere:

  • Vino (cognac, armagnac, pisco ed brandy);
  • Vinacce (grappa);
  • Mosto d’uva (acquavite);
  • Sidro di mele (calvados);
  • Canna da zucchero (rum e cachaça);
  • Cereali (whisky, gin, vodka, ecc);
  • Radici e tuberi (vodka);
  • Frutti (kirsch, slivovitz, ecc.)

Si tratta di un tipo di distillazione già nota ai Babilonesi e agli antichi Egizi che distillavano il vino e il sidro, poi trasmessa al mondo Ellenico ed Arabo.

distillazione alcolica

Distillazione del vino

Le vinacce ottenute dalla svinatura delle uve a bacca rossa possono essere sottoposte a distillazione per ottenere la grappa. Questo, di fatto, corrisponde ad uno dei primissimi utilizzi del processo di distillazione alcolica.

Distillazione della grappa

La Grappa è probabilmente il distillato più conosciuto ed apprezzato al Mondo. Viene ricavato unico al mondo dalla distillazione delle vinacce (bucce d’uva) subito dopo la spremitura degli acini.

A loro volta, le vinacce più utilizzate in distilleria possono essere di 2 tipi:

  • fermentate
  • non fermentate

Le prime presentano una gradazione alcolica più alta perché hanno fermentato con il mosto. Le vinacce non fermentate sono perlopiù bianche e non fermentano quasi mai con il mosto del vino ma dovranno essere sottoposte a fermentazione alcolica attraverso l’utilizzo di lieviti o altre sostanze in grado di attivarla.

Distillazione acqua e sale

La distillazione dell’acqua salata, ad esempio di quella marina, viene effettuata sia per ottenere acqua distillata o acqua potabile adatta all’uso alimentare, sia per estrarre il sale marino dal suo liquido.

L’acqua distillata è un’acqua quasi pura. Essa, infatti, è priva di sali minerali, gas e batteri che normalmente arricchiscono l’acqua in proporzioni diverse, a seconda della provenienza (sorgente, rubinetto, bottiglia, mare, ecc).Il processo di distillazione serve proprio ad eliminare le componenti solide, minerali, microrganismi ed  gas.

distillazione della lavanda

Distillazione della lavanda

Dalla lavanda, come da altre piante officinali note per le proprietà terapeutiche e i profumi gradevoli, si estrae il prezioso olio essenziale di lavanda. La paternità è del chimico francese Renè Maurice Gattefossé che produsse per primo un fluido lenitivo contro scottature e punture d’insetto attraverso una tecnica distillatoria.

Può essere eseguita a partire dall’utilizzo di fiori ben puliti e privi di residui vegetativi appartenente ad altre piante. In questo caso si procede con un distillatore formato da due ampolle collegate tra loro nelle quali si introducono acqua e fiori.

Una volta che l’acqua avrà raggiunto il punto di ebollizione il vapore sprigionato raggiungerà i fiori posti nell’altra ampolla e la loro essenza convoglierà in un piccolo contenitore sotto forma di sostanza oleosa che si depositerà sulla superficie della condensa prodotta dal vapore acqueo dell’acqua. Occorrono circa 100 g di fiori per produrre 600 ml di olio essenziale di lavanda.

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Tutto sui distillati: quali sono e che differenza c’è coi liquori?

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Con il termine “distillati” si fa riferimento ad una grande varietà di bevande alcoliche ottenute dalla distillazione di frutta, vino, cereali, tuberi radici commestibili.

Il distillato è conosciuto anche con il termine “acquavite” e la sua produzione non può prescindere dalla fermentazione alcolica della materia prima di origine vegetale utilizzata. La prerogativa dei distillati – che è anche ciò che li distingue dai vini, sidri, birre e altre bevande alcoliche e spiritose – consiste proprio nella separazione del liquido di distillazione da altri componenti in esso diluiti che aumenta la graduazione alcolica della bevanda a scapito dell’acqua.

A differenza dei liquori, infine, i distillati non vengono miscelati agli zuccheri ottenuti dalla distillazione di erbe aromatiche o spezie, né ad altre sostanze al di là di quelle utilizzate per attivare la fermentazione. Scopriamoli attraverso questa guida pratica ad essi dedicata.

Storia dei distillati: da dove vengono?

La storia dei distillati è molto antica e affonda le sue radici nell’epoca dei Babilonesi e degli antichi Egizi, i primi a sperimentare l’arte distillatoria di vino e sidro. I greci, invece, utilizzavano la distillazione per ottenere una sorta di acqua distillata dalla desalinizzazione dell’acqua marina.

La diffusione delle tecniche distillatorie avvenne in epoca ellenistica nel mondo Arabo e in Occidente attorno al X secolo grazie alla Scuola Medica Salernitana dove la distillazione veniva utilizzata in ambito farmaceutico per uso medicinale.

Tipi di distillati

I  distillati vengono annoverati nel gruppo delle cosiddette bevande spiritose che include le bibite alcoliche con un titolo alcolometro minimo pari a 15% volumi. Questa categoria, per intenderci, include liquori, amari e svariate miscele ottenute dall’unione di sostanze aromatiche, zuccheri, alcol e altri distillati.

Anche se i distillati possono essere prodotti a partire dalla fermentazione di qualsiasi sostanza zuccherina, le materie prime vegetali più utilizzate per la loro produzione sono:

  • Vino (cognac, armagnac, pisco, brandy);
  • Vinacce (grappa);
  • Mosto d’uva (acquavite di uva);
  • Sidro (calvados);
  • Canna da zucchero (rum e cachaça);
  • Cereali (whisky, gin, vodka, spiriti bianchi);
  • Radici e tuberi amidacei o zuccherini (vodka, spiriti bianchi);
  • Frutti (kirsch, slivovitz, ecc.).

distillati

Distillati di vino e vinacce

Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, per produrre i distillati da questo genere di materia prima non vengono utilizzati vini particolarmente pregiati. Al contrario, si utilizzano vini, mosti e vinacce di prodotti giovani e con bassa gradazione alcolica con una buona percentuale di acidità fissa.

I vini impiegati sono prevalentemente bianchi come Moscato, Malvasia, Colombard, ecc. I distillati più apprezzati così ottenuti sono:

  • Grappa

Prodotto della distillazione delle bucce dell’uva dopo la spremitura (vinacce).

  • Acquavite

Da non confondere con la grappa, è un prodotto della distillazione del mosto.

  • Cognac

Probabilmente uno dei distillati più pregiati del vino. Viene fatto invecchiare  in botti di legno, esattamente come il Brandy.

  • Pisco

Non molto diffuso in italia, è un altro distillato del mosto di vino bianco e rosato.

  • Armagnac

Si tratta del distillato di uva francese più antico (1310). Come per il Cognac, deve il suo nome alla sua storica zona di produzione della Guascogna.

  • Brandy

Ottenuto da acquaviti di vino, noto anche con il nome di “arzente”. Si tratta del più antico distillato di vino al mondo poiché le sue origini risalgono al XIII secolo. Il mosto distillato da cui si ricava viene viene fatto maturare in botti di legno di rovere.

Distillati di frutta

I distillati di frutta matura sono acquaviti di origine rurale prodotte dai contadini per riciclare i frutti di scarto o troppo rovinati. Alle origini, questa tecnica consisteva nella fermentazione della frutta stessa il cui liquido veniva poi distillato per ottenere bevande digestive molto gradevoli e fortemente aromatiche.

Alcuni di queste acquaviti hanno varcato i confini nazionali conoscendo un grande successo in tutto il Mondo. Tra i più famosi distillati di frutta, ricordiamo:

  • Calvados, prodotto con mele bretoni;
  • Kirsh, frutto della distillazione di ciliegie;
  • Williamine, dalla fermentazione e distillazione delle pere Williams;
  • Slivoviz, un’acquavite della lavorazione delle prugne;

E come non citare la Tequila che si ottiene dal succo del frutto dell’agave blu. La caratteristica di questi prodotti è che possono essere ottenuti potenzialmente a partire da qualsiasi frutto, comprese mele cotogne, castagne e frutti di bosco.

Distillati di cereali

I cereali sono eccellenti materie prime utilizzate per la produzione di alcune dei distillati più diffusi e amati, come whisky, gin e vodka.

  • Gin

Si tratta di un distillato ottenuto dalla distillazione di orzo e frumento, miscelato con erbe e bacche di ginepro.

  • Vodka

Mix di cereali (segalefrumento) e patate. E’ una delle bevande alcoliche più amate in Russia, Polonia e nei Paesi Scandinavi.

  • Whisky

E’ un derivato della distillazione di cereali effettuata dopo il maltaggio dell’orzo o all’affumicatura in forno della materia prima.

Differenza tra distillati e liquori

Quando si parla di liquori e distillati le differenze non sono esattamente note a tutti. Tuttavia, il liquore prodotto alcolico ottenuto dalla miscelazione di acqua, zucchero, aromi.

Il processo di produzione è sostanzialmente diverso: i liquori, infatti, si lavorano per macerazione (infusione) o distillazione di un infuso alcolico. Al contrario, i distillati sono il prodotto della distillazione in alambicchi di sostanze vegetali fermentate.

Distillati di radici e tuberi

Il Rum è forse il distillato più famoso ottenuto dalla canna da zucchero. In alternativa può essere prodotto a partire dalla melassa o dallo zucchero di canna.

Distillati

Il distillato di rose è una delle essenze più apprezzate fin da tempi antichissimi

Distillati di fiori

Piante officinali, aromatiche e fiori possono essere sottoposti ad un analogo processo di distillazione per estrarre le essenze e i sentori odorosi più caratteristici sotto forma di profumi e oli essenziali e vegetaliIl loro utilizzo è diffuso sopratutto in ambito cosmetico e farmaceutico e trova applicazione in svariate preparazioni.

In questo caso la tecnica utilizzata è la distillazione in corrente di vapore o la spremitura. L’acqua profumata che ne deriva contiene comunque tra lo 0,01 e lo 0,05% dell’essenza del fiore. Tra i più noti prodotti distillati a partire da fiori e piante aromatiche ricordiamo l’acqua di rose e quella di fiori d’arancio.

Ricette

Con i loro sentori aromatici, il gusto che stuzzica il palato e la forte persistenza in bocca, i distillati si prestano ad essere utilizzati in svariate ricette casalinghe. In molti casi, inoltre, queste bevande uniscono la gradevolezza dei sapori caratteristici a proprietà curative e digestive di indubbio valore.

Un ricetta facile da eseguire è quella della Grappa al Rabarbaro e Garofano. Si tratta di un distillato aromatizzato che unisce le proprietà rinfrescanti e digestive delle radici di rabarbaro ai profumi inconfondibili dei chiodi di garofano essiccati.

Gli ingredienti necessari sono:

  • 1 litro di grappa
  • 2 radici di rabarbaro
  • 1/2 limone solo la scorza gialla
  • 3 chiodi di garofano
  • una stecca di cannella
  • 3 cucchiai di zucchero

Preparazione 

Dopo aver pulito le radici di rabarbaro si pestano in un mortaio e si ripongono in un contenitore di vetro coperte da tre cucchiai di zucchero dove riposeranno per per 3 giorni. Trascorso questo tempo si aggiungono i chiodi di garofano, la cannella, la scorza del limone e cinsi versa sopra la grappa.

Il tutto deve essere chiuso e lasciato in infusione per un mese, agitando di tanto in tanto il contenitore ogni giorni. Il liquido così ottenuto deve essere filtrato con un canovaccio pulito e imbottigliato. Lasciate riposare in un luogo riparato dalla luce diretta per altri due mesi.

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Lana: scopriamo meglio questa fibra tessile naturalmente calda e morbida

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La lana è una delle fibre naturali di origine animale più apprezzata, utilizzata e amata al Mondo. Secondo alcune ricostruzioni storiche, la sua lavorazione risalirebbe addirittura all’epoca preistorica.

Studi scientifici più autorevoli dimostrano che la tessitura della lana ricavata dal vello degli ovini era già consuetudine presso i popoli mesopotamici nel 3000 a.C.  Nell’Antica Grecia, invece, l’utilizzo della lana è documentato da numerose raffigurazioni su ceramica.

Tali testimonianze rappresentano una straordinaria evidenza di quanto la lana fosse importante per le popolazioni europee, in particolare durante l’Età del Ferro. Furono proprio i Romani ad inventare le cesoie per la tosatura del bestiame e a mettere a punto le prime, rudimentali tecniche di conceria e di lavorazione del feltro.

Ma come è arrivata la lana fino ai giorni nostri e quali straordinarie evoluzioni ha conosciuto durante il suo viaggio attraverso i secoli? Scopriamolo insieme.

Lana: caratteristiche

La lavorazione della lana conferisce a questo materiale delle peculiarità distintive davvero eccezionali pur preservando la naturalità del tessuto. Dopo la tosatura, il lavaggio e la sgrassatura, la prima cosa che la fibra acquisisce è un colore più o meno definito che può variare dall’avorio, al bianco, fino ad arrivare al nero o al marrone, a seconda dell’animale dal quale è stata prodotta.

Ogni fibra di lana è ricca di cheratina e può raggiungere una lunghezza compresa tra i 40 e i 350 mm. Al suo interno, si possono osservare al microscopio le cosiddette scagliette, ovvero componenti che percorrono la fibra dall’interno verso l’esterno in diverse zone. Esse sono:

  • Cuticola
  • Guaina protettiva (elasticum)
  • Cortice o cortex, che a sua volta si suddivide in paracortex e ortocortex
  • Canale midollare

Il particolare mix di queste componenti le conferisce l’inconfondibile aspetto lucente e l’impareggiabile tenuta termica, oltre all’igroscopicità, l’elasticità e la morbidezza che la differenziano da qualsiasi altra fibra tessile.

lana grezza

Lavorazione

Il processo di lavorazionei inizia con la tosatura dell’animale, ovvero il taglio del vello, che può essere effettuato con delle cesoie elettriche o meccaniche. I periodi ideali per la tosatura, soprattutto per quanto riguarda la pecora, sono la primavera e l’autunno (lana bistosa), quando il pelo raggiunge la sua massima lucentezza e morbidezza.

Se il vello è prelevato dal mantello di un animale morto, si parla di lana concia, che è solitamente di qualità inferiore di quella ottenuta da animali vivi.

Dopo la tosatura, deve essere adeguatamente pulita e sgrassata per eliminare le sostanze e le impurità di cui è impregnata. Talvolta, il lavaggio viene effettuato prima della tosatura e prende il nome di lana saltata.

A questo punto, il materiale lanoso viene arrotolato e trasferito ai lanifici per un’ulteriore e definitiva lavorazione che trasformerà i ballini grezzi in gomitoli o rocchetti di morbida fibra tessile cardata (se le fibre sono corte ) oppure pettinata (nel caso di fibre lunghe).

L’eventuale tintura viene generalmente eseguita a tessitura ultimata o in altre o della lavorazione, a seconda del tipo di fibra lanosa trattata.

Animali da cui si ricava la lana

Gli animali da cui si ricava non sono solo pecore e capre. In molte regioni del Mondo, la sua produzione dipende dalla disponibilità del bestiame e dalla finalità a cui è destinata la tessitura della fibra grezza. In generale, la lana si può ricavare dalla tosatura di:

  • Pecora merino (Australia, Nuova Zelanda, Germania e in Islanda, Sud America e in Africa)
  • Pecora di razze autoctone
  • Capra d’Angora (Turchia, Sudafrica, Stati Uniti) dalla quale si ottiene la lana mohair
  • Capra del Cachemire (Tibet, India, Cina, Iran, Afghanistan)
  • Lama Alpaca (Ande)
  • Lama Vigogna (Ande peruviane)
  • Cammello (Asia e Africa)
  • Coniglio (angora)
  • Dromedario

In Africa alcune popolazioni utilizzano ancora oggi la lana per proteggersi dal caldo durante il giorno e dal freddo di notte, sfruttando così la sua naturale termocoibenza.

Lana di pecora

Oltre a diventare una fibra tessile largamente sfruttata per la produzione di capi d’abbigliamento e accessori, dal momento che è più arricciata e spessa di altre fibredi origine animale, uno dei coibentanti a basso costo e alta resa più apprezzati in edilizia.

Data la sua straordinaria capacità di fungere da isolante termico e acustico, questa lana viene trasformata in feltro. I rotoli di feltro vengono poi utilizzati in bioedilizia come materiali di riempimento per intercapedini verticali ed orizzontali o sotto forma di materassini posizionabili tra pareti interne ed esterne, travi e tetti.

lana

Lana di capra

Quando si parla di lana di capra è inevitabile il riferimento alla capra d’Angora che fornisce una delle lane più pregiate sin da tempi remoti.

L’animale in questione è una particolare razza caprina originaria della provincia turca di Ankara. La sua lana è conosciuta anche con il nome di Mohair ed è nota per l’eccezionale candore e morbidezza che ne caratterizza l’aspetto.

Nonostante le capre d’Angora a vello bianco siano state per molto tempo privilegiate, negli ultimi anni la tendenza si è spostata sulla lavorazione di animali dal pelo marrone, rossiccio e grigio-scuro.

Tipi di lana

A seconda dell’animale utilizzato, si divide in diverse tipologie:

  • Mohair: è la lana ricavata dalla capra d’Angora, una tra le più importanti fibre naturali dopo la seta. Le sue fibre sono lunghe e molto elastiche.
  •  Cashmere: è quella ricavata dalla tosatura dell’omonima capra tibetana. Morbida, lucida, pregiatissima viene utilizzata per la realizzazione di capi di alta sartoria;
  • Alpaca: si ricava dal vello del Lama, molto simile alla pelliccia di altri animali più pregiati. L’Alpaca unita alla lana comune, è il tessuto con cui si realizza il loden, tipico del Tirolo.
  • Pelo di cammello: deriva dalla tosatura e lavorazione del pelo di cammello africano. Resistente e forte, questa fibra trova largo impiego per il confezionamento di per abiti e coperte.
  • Pelo di vigogna: ricavata dall’omonima razza di lama (vigogna), ha un colore rossiccio ed è molto lucente, sottile e resistente.

Lana cotta

Anche se il suo nome può trarre in inganno, la lana cotta è una stoffa più simile al feltro e al panno. In realtà, non è esattamente nemmeno un tessuto vero e proprio poiché la sua produzione è eseguita a partire da pezze infeltrite, cardate e follate.

Ne deriva una stoffa pesante, molto spessa, calda e compatta che viene utilizzata a livello industriale per la realizzazione di vestiti invernali, pantofole e cappelli. Da non confondere con il feltro, che non è altro che lana cardata.

Tessuti di lana pregiati

Oltre alle già citate Alpalca, Cashimere, Vignogna e Monhar, ci sono altre lane particolarmente pregiate. Il parametro principale per valutare la pregevolezza di questa fibra è la finezza del vello dell’animale da cui è stata ricavata.

Shahtoosh

Lo shahtoosh, ad esempio, è considerata la più pregiata ma è anche bandita dai mercati perchè illegale dal 1979. Esso infatti si ricava dal vello del sottopancia del chiru, un’antilope tibetana a rischio estinzione.

Sul mercato nero uno scialle di shahtoosh di contrabbando arriva a costare anche 6.000 euro.

Angora

Grande qualità e pregio, si ottiene dal pelo del coniglio d’angora. Paragonata alla vigogna per morbidezza e sottigliezza delle fibre, si utilizza per produrre filati mixati ad altre lane pregiate, come l’alpaca.

Merino

C’è poi la quella di pecora di razza Merinos, originaria della Spagna, ma diffusa ormai in tutto il mondo. La fibra di questo vello è estremamente sottile e consente di lavorare tessuti come il fresco di lana.

Lana vergine caratteristiche

Quando ci capita di incontrare la dicitura pura lana vergine sull’etichetta di un capo, significa che il capo in questione è stato prodotto con fibre biologiche certificateWoolmark, marchio di qualità adottato nel 1964 dalla International Wool Secretariat.

L’aggettivo ‘vergine’ si riferisce al fatto che il tessuto utilizzato è lana di tosa, quindi naturale, non rigenerata o recuperata dagli scarti di altre lavorazioni. La certificazione Woolmark dà quindi la garanzia di pura lana vergine biologica.

Questo tessuto è considerato pregiato, perché sottoposto a un lungo e attento processo di selezione che tollera livelli di  impurità minimi (0,3%).

Altre informazioni

Leggi anche le nostre schede sulle fibre tessili di origine vegetale, dalle più comuni alle più originali:

Tutto sullo Yorkshire Terrier, un piccolo cacciatore di roditori di gran compagnia

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Lo Yorkshire Terrier è una razza canina originaria dello Yorkshire dove era utilizzato come cacciatore di roditori nelle fabbriche di lana. Scopriamo tutte le curiosità e le informazioni utili su questo simpatico cagnolino.

La storia di questo tipo di Terrier inizia nell’omonima contea inglese di Yorkshire, dove nacquero i primi allevamenti di questa razza di cani di piccola taglia e di selezione relativamente recente.

È lo Huddersfield Ben il suo progenitore ufficiale anche se se la sua nascita si fa risalire al 1865 dopo vari incroci tesi ad ottenere la razza che conosciamo oggi.

Yorkshire Terrier

All’inizio, lo Yorkshire era utilizzato come cacciatore di topi nelle fabbriche di lana. In questi luoghi, il topo era un roditore molto temuto, perché rosicchiava i tessuti compromettendone la filatura.

Poco dopo, venne portato anche nelle miniere dove rivestiva il ruolo di vera e propria ‘sentinella’ in grado di fiutare e avvertire tempestivamente di un pericolo imminente. Grazie alle sue dimensioni e alla sua agilità, infatti, riusciva ad entrare facilmente nelle gallerie più strette, scovare i roditori e individuare potenziali pericoli per i minatori.

Potrebbero esservi utili queste informazioni sulla cura dei cani:

Anche se oggi lo Yorkshire non è più chiamato ad assolvere il compito di ‘cacciatore di topi’, questa inclinazione naturale e l’istinto a scovare piccole prede sono rimasti intatti, e non è quindi difficile sorprenderlo a fiutare in tutti i pertugi della casa o del giardino alla ricerca di qualche piccolo roditore.

Yorkshire Terrier

Yorkshire Terrier aspetto

Si presenta come un simpatico cagnolino di piccola taglia, estremamente curioso e intelligente. Il suo aspetto è reso buffo dal pelo lungo anche sul viso e sulle orecchie, con baffetti a sottolineare il capo di forma triangolare, il tartufo nero e i vispi occhi scuri.

Il pelo è lungo e ben distribuito su tutto il corpo e il capo, ma nonostante questo la muta non è mai abbondante, quindi non crea particolari problemi né dal punto di vista igienico che allergenico.

Le orecchie sono anch’esse triangolari e leggermente alzate, mentre la coda è tagliata. Nel complesso, il suo aspetto fisico è armonico e ben proporzionato. Le sue dimensioni non lo farebbero pensare, ma è un cane dotato di molta forza fisica e un’innata dinamicità.

Yorkshire Terrier peso e misure

Il suo peso arriva a 3,5 kg e generalmente non supera i 20 cm di lunghezza in età adulta.

Lo sapevi ?Portati il cane in ufficio e lavorerai meglio!

Yorkshire Terrier carattere

Perfetto per la compagnia, è adatto alla vita da appartamento e alla pacifica convivenza con tutti i membri della famiglia, compresi i bambini (che lo adorano) e altri piccoli animali domestici.

Si tratta di un cane curioso, vivace e arguto. Ama giocare con gli esseri umani, soprattutto se muniti di palline, e adora la vita domestica e… il divano!

Yorkshire Terrier

Essendo molto attivo, vuol sempre essere al centro dell’attenzione e tende ad instaurare con il padrone un rapporto simbiotico e protettivo, tanto da essere influenzato dai suoi umori, dimostrando una sorprendente sensibilità.

Il suo obiettivo più importante è difendere la famiglia e per far questo è sempre vigile, pronto a scattare e diffidente nei confronti degli estranei che osano avvicinarsi troppo ai suoi cari.

Ha la fama di cane ‘abbaione’ ma solo perchè il suo istinto protettivo lo spinge a allertare il padrone ad ogni piccola intrusione. Per contenerne l’esuberanza è importante educare un cane in maniera appropriata, insegnandogli chi è il padrone.

Altre utili informazioni sui cani:

Piccolo, ma coraggioso, è combattivo, anche se deve vedersela con topi o piccoli animali di uguali dimensioni.

È un buon compagno di giochi per i bambini, a patto che questi ultimi sappiano rapportarsi in maniera educata e non troppo irruenta. In caso contrario può reagire molto male, fino ad arrivare a mordere.

Giocoso si, ma mai distratto o pasticcione, tanto da essere considerato una delle razze più adatte alla vita d’appartamento. Nonostante ciò, è importante garantirgli una bella passeggiata quotidiana all’aria aperta e una buona dose di attività fisica.

Yorkshire Terrier: cure ed educazione

Questa razza soffre spesso di problemi agli occhi e alle orecchie, quindi è fondamentale curarne l’igiene quotidianamente. Anche il pelo ha bisogno di molte attenzioni, con spazzolate frequenti e lavaggi a secco periodici, onde evitare che il pelo si rovini e formi dei nodi.

Soffre il freddo, quindi è meglio attrezzarsi di cappottino impermeabile durante l’inverno.

yorkshire Terrier

L’alimentazione del cane deve essere equilibrata e specifica per Terrier. Non somministrategli mai avanzi di pasti per umani e bandite tutto ciò che ha a che fare con il cioccolato e gli zuccheri in generale. Importante scegliere un cibo per cani di qualità con un mix equilibrato di nutrienti, non importa se sia in crocchette o umido.

Nonostante sia diffidente e a volte aggressivo nei confronti degli estranei, va d’accordo con i gatti e con altri piccoli animali domestici, specie se abituato sin da cucciolo alla loro presenza.

La vita media è di circa 12 -15 anni: vivere con lui vuol dire assicurargli tutte le cure e le attenzioni immaginabili. In mancanza di queste, tende a sviluppare problemi comportamentali, come abbaiare continuamente, scavare nella terra e masticare nervosamente.

Fin dai primi mesi di vita sarà importante stabilire una certa sintonia, basata su una convivenza serena e tranquilla. Da cucciolo ha l’esigenza di fare solo un po’ di attività fisica, limitata a qualche passeggiata e giochi con la pallina. Per docilità, affettuosità e carattere è considerato il miglior cane da compagnia per persone anziane e sole.

Yorkshire Terrier: cucciolo in casa!

Quando si arriva a casa con un piccolo cucciolo di Yorkshire, la cosa migliore è preparare in anticipo un posto comodo per lui e rimuovere tutto ciò che potrebbe essere pericoloso.

Questo cane da piccolo è basso, alto pochi centimetri da terra, e ha una curiosità insaziabile. È bene limitare possibili pericoli, come balconi con sbarre troppo larghe, cavi elettrici volanti, prodotti pericolosi come detergenti o insetticidi e sacchetti di plastica, che potrebbe mangiucchiare fino a soffocarsi.

Prepararte delle cucce semplici come una scatola o un cesto, dove possa essere in grado di osservare le attività di casa. Attrezzatelo con un peluche, una coperta e una ciotola (andrà bene anche un piattino da caffè all’inizio). Tutto va previsto in relazione alle sue dimensioni, se la ciotola è troppo grande può spaventarlo, il peluche enorme lo metterà in soggezione, la scatola larga non lo farà sentire al sicuro…

Quando siete via lasciategli un po’ di spazio per muoversi e giocare, magari una stanza, messa in sicurezza.

L’arrivo di un cucciolo in una casa è spesso una festa anche per i bambini, ma è meglio spiegargli che anche loro responsabili di questo animale e che è un essere vivente e un giocattolo. Per questo merita non solo la loro attenzione, ma anche il loro rispetto. Un cagnolino è sempre un’esperienza molto formativa.

Ai bambini è opportuno mostrare la tana preparata per l’arrivo del cagnolino e spiegargli che non debbono disturbarlo quando è in giro. Insegnate anche a sollevarlo delicatamente sostenendolo con una mano sotto la pancia. Spiegate che ha il suo cibo e che non dovrebbe essergli dato cibo al di fuori del suo pasto.

Questa sarà una buona regola-base per ricordare sempre al cane chi è il padrone. In questo modo, vi prenderete cura di lui proponendovi come il vero guardiano del suo benessere.

Essendo piccolo e gracile è bene destinargli un guinzaglio leggero in nylon o in pelle sottile. La misura corretta è quella del collo aumentata di 5 cm. All’inizio preferite l’imbracatura piuttosto che il guinzaglio e il collare. E non dimenticate la sua medaglietta con il nome e l’indicazione del chip che lo rende identificabile se si dovesse perdere, e quindi più facile da trovare.

Yorkshire Terrier Toy

Esiste anche una versione ‘tascabile’ di questa razza, anche se già piccoletto di suo. Non a caso in inglese viene sopranominato teacup.

Si tratta di una razza non considerata negli standard ufficiali, perché i suoi esemplari arrivano a pesare al massimo 1,5 kg da adulti.

Sono cani piccolissimi, leggerissimi e facilmente trasportabili in una borsetta. Tuttavia, le loro dimensioni micro comportano una vita media molto più corta e cure veterinarie più frequenti e costose.

Yorkshire Terrier bianco

Lo standard della FCI e quindi dell’ENCI non prevede cani di questa razza bianchi, né neri. Si tratta di un animale dal caratteristico mantello bicolore marrone-rossiccio, lungo e ondulato.

Tuttavia esiste una razza non ancora riconosciuta come pura dalla International Dog Federation e dalla Central Dog Society (SCC), ma riconosciuta dall’United Kennel Club negli Stati Uniti (UKC). Si tratta della Biewer Yorkshire, frutto di una selezione dallo Yorkshire Terrier, che si distingue per il mantello tricolore con variegatura bianca, anche molto ampia. Piuttosto raro il Biewer Yorkshire è un cane di piccola taglia, il più piccolo della famiglia Terrier, con cui condivide tutte le caratteristiche fisiche, ad eccezione appunto del colore del mantello. Ben proporzionato e armonioso ha un pelo lungo e dritto e si caratterizza per tre colori: bianco, blu e oro oppure bianco, nero e oro. Il colore dorato è solo sulla testa, ma non sul corpo, mentre il bianco è presente sotto la pancia, il petto e le gambe.

yorkshire terrier

Eccellente cane da compagnia, è sveglio, gran cacciatore di roditori, con un carattere forte, che tende ad approfittarsi del suo aspetto adorabile per ottenere ciò che vuole!

Data la sua taglia mini, ha una predisposizione ad alcune malattie come la lussazione della rotula e le vertebre cervicali fragili, le articolazioni sensibili e i denti esposti al rischio di accumulo di tartaro.

Prevedete tra i 1200 e 1700 euro per l’acquisto dello Biewer Yorkshire da un allevamento certificato.

Yorkshire Terrier allevamento

Gli allevamenti devono essere quelli certificati dall’affisso ENCI per non trovarsi un animale con malattie e difetti congeniti. Inoltre, essendo una razza particolarmente fragile, ma con numerosi tentativi di creare varianti mignon che la indeboliscono ancora di più, è nata un’associazione con lo scopo di tutela degli standard , la SIAYT. 

Infatti, l’allevamento di questa particolare razza è piuttosto complesso, essendo differente dalla normale tipologia delle altre specie di cani.

Per questo è bene scegliere con cura l’allevamento più adatto, preferendo quello che favorisce la riproduzione di animali che non richiedano interventi umani troppo invasivi.

Yorkshire Terrier prezzo

Il prezzo medio per un cucciolo oscilla tra 700 e 1.200 euro. Le  offerte online sotto queste cifre sono da valutare come molta attenzione.

Il costo dipende dal fatto di essere una razza canina molto gettonata dagli anziani e dai single che vivono in appartamenti di piccole dimensioni.

Altre informazioni

Scopri l’elenco dei vari tipi di Terrier, di tipo Bull, da compagnia, di taglia piccola e zampa corta:

Le migliori idee per riciclare vecchi maglioni in modo creativo e ricavarne oggetti utili

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Oggi impareremo a riciclare vecchi maglioni ed altri capi smessi:è uno dei modi migliori per evitare sprechi e ‘allungare la vita’ di indumenti che il più delle volte scartiamo perché semplicemente non ci piacciono più.

A chi non è mai capitato di trovarsi di fronte all’amletico dubbio se disfarsi oppure no di un vecchio maglione non più alla moda o pieno di buchi?

Come per molti oggetti, anche il maglione può essere trasformato in qualcosa di utile e originale. E come sempre, per riuscire in questa piccola impresa, basta aguzzare l’ingegno e  liberare la fantasia, magari ispirati da qualche utile suggerimento di riciclo creativo.

Riciclare o regalare?

Cominciamo col dire che se il vostro golf è ormai immettibile, usurato dal tempo e da tutte le volte che lo avete indossato, un modo sempre valido per non farlo diventare immondizia è questo. Perché non donarlo ai canili o gattili della vostra città?

Assieme alle vecchie coperte, i maglioni sono l’articolo più richiesto dai gestori dei ricoveri per animali, soprattutto d’inverno quando occorre attrezzare bene le cucce e scaldare i loro piccoli ospiti. E se è la cesta del vostro gatto ad avere bisogno di morbidi ‘rinforzi’ per diventare più accogliente, potreste imbottire un cuscino con la lana del maglione per la felicità del vostro piccolo amico.

riciclare vecchi maglioni

Ecco un esempio di come vecchi golf e felpe possono essere una manna per i nostri amici a quattro zampe

Un cuscino con vecchi maglioni riciclati

Se, al contrario, il maglione in questione è ancora in condizioni dignitose, con qualche trucchetto potrebbe diventare un originalissimo rivestimento per rinnovare l’aspetto dei cuscini. In questo caso utilizzerete la parte centrale del capo, tagliandola della misura desiderata e ricucendola con del filo colorato sull’imbottitura del cuscino stesso.

Con gli avanzi di lana ed eventuali bottoni, potreste personalizzare il tutto creando inserti divertenti o una tasca in cui riporre il telecomando.

SCOPRI ANCHE: Come riutilizzare vecchi asciugamani

Riciclare vecchi maglioni per farne oggetti per la casa

Le maniche dei maglioni, poi, si prestano perfettamente per creare una quantità di oggetti utili per tutta la famiglia. Vediamone alcuni:

  • Sciarpa: ritagliate le maniche e cucitele insieme a macchina. Potete arricchirla con spille o applicazioni colorate e creare delle frange alle due estremità rifinendole a mano con ago e filo.
  • Copri-tazza e copri-bottiglie di lana: semplicissimi da creare, basta ritagliare di misura la parte della manica necessaria a coprire la nostra tazza preferita o le bottiglie di liquore. Perfetti anche come regalo fai-da-te o per dare un tocco in più alla tavola.
  • Scalda collo: l’idea è del tutto simile a quella della sciarpa, ma questa volta avrete bisogno di meno stoffa e di un paio di bottoni con cui fermare lo scalda collo. Un accessorio che, all’occorrenza, può anche diventare un pratico copricapo semplicemente sollevando la parte posteriore.
  • Calze della befana: nulla di più facile che tagliare alle due estremità le maniche del vostro golf e cucirle da una parte in modo che possano contenere dolci e carbone in uno dei giorni dell’anno più atteso dai bambini. Al vostro estro il compito di personalizzare le calze per ognuno dei componenti della famiglia.
  • Guanti senza dita: per realizzarli occorrono dieci minuti, un paio di forbici, ago e filo. Tagliate la manica all’altezza che preferite e cucite bene il contorno in modo da adattare i guanti alla misura del braccio/polso. Con la parte inferiore del maglione (l’angolo al di sotto della manica) potere creare anche dei guanti tradizionali aiutandovi con un carta-modello sul quale riporterete la sagoma della mano.

SPECIALE: Come riciclare vecchie magliette

La tecnica del patchwork per fare tutto, o quasi

Se con il cambio di stagione i maglioni inutilizzati fossero più d’uno potreste ricavarne una morbida e calda coperta cucendoli assieme con la tecnica del patchwork. Basterà ritagliare da ogni capo la parte più larga e cucirla assieme alle altre in modo da creare disegni geometrici o sagome colorate. Ogni ‘quadrotto’ di lana deve essere unito all’altro cucendolo dal rovescio (meglio se a macchina) in modo da formare dei grandi rettangoli o quadrati.

Ricordate di ridefinire bene i bordi rinforzandoli con uno scampolo di cotone in modo da evitare sfilacciamenti.

riciclare vecchi maglioni patchwork

E’ possibile sbizzarrirsi con i patchwork: ecco un bell’esempio di coperta

Borse, pochette e porta-pc

Un po’ come i jeans, anche i maglioni possono essere riciclati per creare pratiche borse o pochette porta-pc e tablet. Per realizzare una shopper alla moda e pratica per i piccoli acquisti quotidiani bisognerà per prima cosa creare la sagoma della borsa ritagliando lo scollo del maglione e le maniche, lasciando sulle spalle 4-5 cm di stoffa sufficienti a creare i manici. Rifinite i bordi con ago e filo di colore adatto in modo che nessuna parte si sfilacci.

A questo punto, procedete alla chiusura della parte inferiore del maglione tracciando una linea retta appena al di sopra del bordo e cucite al rovescio utilizzando la macchina da cucire in modo che la vostra borsa sia sicura e robusta.

RICICLO INNOVATIVO: Un progetto italiano trasforma i vecchi maglioni in fertilizzanti

Riciclare vecchi maglioni per le decorazioni

Con la lana avanzata tagliata a striscioline e degli inserti di nastro colorato, potreste creare delle simpatiche decorazioni a forma di fiore o coccarda da applicare con una spilla sulla borsa. Per dar vita ad una eco-pochette in lana in cui riporre il vostro laptop o tablet seguite lo stesso procedimento. In questo caso, ritagliate la sagoma riportando le misure esatte dell’oggetto. Se l’idea è quella di ottenere semplicemente una custodia anti-graffio potete fare a meno dei manici.

Ma ci possono essere anche altre risposte alla domanda su come riciclare vecchi maglioni. L’importante è non essere convinti che il vecchio maglione infeltrito non possa rivivere sotto altre spoglie e vedrete che vi si aprirà un mondo!

riciclare vecchi maglioni

Patchwork più o meno semplici sono alla portata di tutti!

Altre guide da scoprire

Ti è interessata questa guida su come riciclare vecchi maglioni? Ecco altre guide di riciclo creativo che ti consigliamo:

Quello che c’è da sapere sull’angora, una lana pregiata dalla storia controversa

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L’angora è un tipo di lana molto pregiata ottenuta dalla lavorazione del pelo del coniglio d’angora, una specie originaria della Turchia e caratterizzata dal vello particolarmente lungo e morbido.

Spesso confusa con il Monhair, vale a dire la lana prodotta con il pelo di capra d’angora, è apprezzata per la sua filatura calda e soffice e per l’aspetto lucente. Tuttavia, come molte fibre naturali pregiate, anche la lana d’angora non ha grande resistenza all’usura o ai lavaggi e viene quindi mixata ad altri tessuti per migliorarne la resa durante e dopo la tessitura.

Tecnicamente, la materia prima utilizzata per la lavorazione dell’angora è ottenibile dalla tosatura degli animali vivi. Tuttavia, pare che in molti allevamenti, sopratutto quelli asiatici, ciò sottoponga gli animali ad atroci sofferenze fino a provocarne la morte o la soppressione dopo una lunga agonia.

Molte associazione animaliste sono tuttora impegnate in una vera e propria lotta contro i principali produttori mondiali di angora (Cina in primis) accusati di pratiche crudeli. Per questo motivo, negli ultimi anni si sono moltiplicate le adesioni di svariati marchi d’abbigliamento e griffe di “haute coutureche hanno rinunciato all’uso dell’angora per realizzare i loro capi d’abbigliamento.

In realtà esistono tecniche del tutto innocue che non prevedono la tosatura o l’uccisione degli animali, bensì la pettinatura del coniglio finalizzata all’ottenimento del pelo necessario alla lavorazione del tessuto.

Ma scopriamo tutto quello che c’è da sapere su questo prezioso filato e sulle sue caratteristiche distintive.

angora

Lana d’angora: caratteristiche

Come abbiamo visto, l’angora è un tipo di lana prodotta con il pelo di una delle varietà più antiche di coniglio domestico. Il coniglio d’angora è noto per il suo pelo bianco, lungo e morbido, che dopo la tosatura (praticata ogni tre mesi) ricresce molto velocemente e assicura una quantità media di lana pari a 250 grammi per esemplare.

Vista l’incredibile morbidezza e delicatezza delle sue fibre, la lana d’angora è utilizzata dall’industria tessile di lusso per produrre accessori, abbigliamento, maglieria femminile e per l’infanzia. Maglioni, tailleur, pullover,  poncho, sciarpe, cappelli e guanti sono solo alcuni esempi dei capi confezionabili con questo tessuto. Sulle etichette l’angora è riconoscibile dalla sigla “WA“.

Ciò che la rende così morbida al tocco e indosso, è la punta del pelo arrotondata che aumenta notevolmente sensazione di confort a contatto con la pelle. Trattandosi di una fibra quasi completamente cava al suo interno e di provenienza animale, è un isolante termico straordinario, molto più caldo e sottile della lana di pecora, compresa la qualità merino, l’Alpaca o il cashmere.

Attualmente, i principali produttori mondiali di lana d’angora sono Cina, Francia e Inghilterra. In Europa, infatti, la lavorazione di questa lana si è diffusa di pari passo all’allevamento delle specie nane di coniglio d’angora, selezionate appositamente per migliorare la produttività.

Colore

Il colore naturale della lana d’angora è bianco più o meno candido a seconda della purezza della razza dell’animale da cui si è prelevato il pelo, della quantità di luce a cui è stato esposto sopratutto nelle primissime fasi di crescita del coniglio e di alcuni parametri ambientali e nutritivi. In generale, non sono necessari trattamenti sbiancanti, idratanti o ammorbidenti per migliorare l’aspetto, la lucentezza o la morbidezza di questo filato.

Angora: produzione

Il pelo di coniglio d’angora utilizzato per la fabbricazione di capi d’abbigliamento e accessori viene tosato più volte durante l’anno. In genere la tosatura o la pettinatura degli animali avviene 3-4 volte a seconda del singolo esemplare e della velocità di ricrescita del suo mantello.

Anche se la produttività media si aggira intorno ai 250-300 grammi per esemplare, la tosatura può arrivare ad ottenere anche 600 grammi di lanugine. La corretta esecuzione della tosatura e l’allevamento dei conigli in ambienti sani e controllati sono alla base di una produzione di angora di alta qualità.

Si tratta di processi produttivi lenti, meticolosi e molto precisi, che devono essere eseguiti da operatori esperti e qualificati. Ne conseguono costi di produzione piuttosto elevati continue verifiche e ispezioni volte a scongiurare la presenza di corpi estranei, insetti o sporco.

L’animale deve essere preparato alla tosatura attraverso una pettinatura lenta e delicata, volta a disporre al meglio il pelo e ad evitare stress e sofferenze inutili al coniglio. La raccolta è effettuata manualmente con forbici progettate per lo scopo o macchinari elettrici del tutto simili ad un comune tagliacapelli. Dopo 3-4 mesi, l’animale sarà nuovamente coperto da un pelo morbido e folto, pronto per una nuova tosatura.

angora

Angora: lavaggio

La lana d’angora presenta una tendenza molto spiccata all‘infeltrimento. Questo la rende particolarmente sensibile all’umidità e rende necessaria la filatura mescolata ad altre fibre. Dopo aver visto come lavare la lana senza rovinarla, cerchiamo di capire quali siano le modalità più appropriate per il lavaggio dell’Angora in modo da prevenire la perdita di elasticità e lucentezza e non ritrovarci tra le mani un brutto maglione infeltrito.

La prima regola per preservare al meglio la lana d’Angora è evitare i lavaggi frequenti. La detersione deve essere effettuata solo se necessaria e mai con metodo a secco o in lavatrice.

Il lavaggio deve essere eseguito a mano, in acqua fredda e con un detersivo adatto che può essere anche uno shampoo delicato con ph neutro.

Tra le cause principali dell’infeltrimento, infatti, troviamo:

  • temperatura sbagliata dell’acqua
  • pH troppo alcalino
  • detersivo aggressivo

Mai strofinare la lana, ma limitarsi a immergerla più volte nell’acqua senza mai torcerla o strapazzarla. Ancora più difficile del lavaggio è l’asciugatura. Essa non deve prevedere l’utilizzo di asciugatrici o l’esposizione ai raggi diretti del sole.

Il metodo consigliato consiste nell’avvolgere il capo in un telo di cotone asciutto per prelevare l’acqua in eccesso per poi distenderlo su una superficie piana, avendo cura di girarlo spesso sul lato opposto. Mai stendere il capo in verticale ne tanto meno utilizzare mollette per fissarlo allo stenditoio.

Prezzo

Il prezzo di un capi confezionato con lana d’angora varia in base a diversi fattori. I principali sono il tipo di pelo utilizzato e la percentuale di angora presente nel filato. Solitamente questa percentuale in commercio è pari a circa il 30-50%. A partire da questa quantità, infatti, si ottengono capi di pregio abbastanza morbidi e caldi il cui prezzo si aggira intorno ai 100 euro.

L’angora proveniente dagli allevamenti cinesi oggetto delle aspre campagne delle associazioni animaliste sopra citate, costa circa 25-35 euro al chilo.

Altre informazioni

Leggi anche le nostre schede sulle fibre tessili di origine vegetale, dalle più comuni alle più originali:

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Tutto sulla seta, il tessuto simbolo di nobiltà dalla tradizione millenaria

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La seta è uno dei tessuti più pregiati, apprezzati e antichi che l’uomo abbia mai imparato a tessere e utilizzare. Ecco alcune cose da sapere su questo tessuto, dalla storia, alla sostenibilità, per finire con gli aspetti più pratici, quali per esempio come trattare correttamente capi in seta.

Le sue origini si perdono letteralmente nella notte dei tempi: pare, infatti, che la scoperta della seta risalga al 3000 a.C, in Cina, dove la produzione e il commercio di questo prezioso tessuto rappresentò per secoli una delle attività più fiorenti e opulenti.

Come la lana, l’angora, l’Alpaca e altri fibre naturali tessili pregiate di origine animale, anche la seta deve la sua unicità all’opera di un piccolo animaletto. Si tratta di un lepidottero, il Bombyx Mori, meglio conosciuto come baco da seta.

Scopriamola insieme in un viaggio suggestivo che ripercorre le tappe più importanti della storia della nostra civiltà.

Storia della seta

Da sempre considerata simbolo di nobiltà e ricchezza, la seta è stata per molto tempo un privilegio che solo gli antichi imperatori cinesi, i sacerdoti e pochi altri fortunati potevano permettersi.

A quei tempi il colore delle vesti confezionate con questo tessuto rappresentava addirittura la classe sociale di appartenenza.

  • Il giallo era il colore di imperatore e imperatrice;
  • Il viola quello delle altre donne dell’imperatore;
  • Il celeste degli ufficiali di corte.

Ben presto la produzione della seta diede vita ad una vera e propria economia in Cina, talmente fiorente che già nel 1000 dopo Cristo prese piede un’intensa esportazione anche in Occidente. Col tempo la tessitura del prezioso filo smise di essere appannaggio degli artigiani orientali, ma entrò anche nell’Impero Romano di Occidente dove divenne uno dei settori economici più importanti dell’economia bizantina.

Il percorso che dall’Estremo Oriente portava carichi di sete preziose agli altri regni medio-orientali, europei ed egiziani venne chiamato Via della Seta.

Per secoli, la Via della Seta non rappresentò solo il percorso commerciale di un bene pregiato, ma anche un crocevia culturale importante tra il mondo occidentale e quello orientale.

Dal baco alla seta

La leggenda narra che la nascita della bachicoltura fu opera dell’imperatrice cinese Xi Ling Shi. Intenta a passeggiare n giardino durante un pomeriggio primaverile, la giovanissima regnante notò uno strano bruco. Sfiorandolo, da esso spuntò un filo sottilissimo e lucente che l’insetto iniziò a tessere intorno al dito dell’imperatrice e subito dopo un bozzolo.

In realtà, pare che la lavorazione della seta sia molto più antica e che divenne un bene di lusso molto ambito ben prima di quanto voglia la tradizione. Tuttavia, ciò che ancora oggi conserva un impareggiabile fascino è il modo in cui la seta diventa tale a partire dalla tessitura del filo che il baco produce nel suo bozzolo.

Il baco da seta è una specie di falena che si nutre principalmente delle foglie del gelso. La produzione del filo avviene grazie a due ghiandole all’interno delle quali avviene una sintesi chimica di tipo proteico. La sostanza prodotta viene eliminata da due piccole fenditure posizionate ai lati della bocca dell’insetto, sotto forma di bava sottilissima che a contatto con l’aria gelifica istantaneamente.

A questo punto, il baco inizia a compiere dei movimenti con il capo che riproducono idealmente la forma di un otto. Così, millimetro dopo millimetro, prende forma il bozzolo di seta grezza, la cui lunghezza media va dai 300 ai 900 metri. Ogni baco può produrre tante matasse e alla fine di questo estenuante lavoro di tessitura, dopo 3-4 giorni circa, si trasforma in farfalla.

baco da seta

Lavorazione e produzione della seta

Il segreto della sericoltura è stato per molti secoli gelosamente custodito dagli artigiani cinesi. Tuttavia, la seta arrivò ben presto ad essere prodotta in larga scala anche presso altre civiltà e in epoca più moderna la sua lavorazione conobbe una lunga fase di industrializzazione. Ma andiamo in ordine e vediamo quali sono i passaggi fondamentali che consentono di produrre questo mirabile tessuto.

Innanzitutto è indispensabile bloccare la metamorfosi dei bachi. Per riuscirci, i bozzoli vengono raccolti ed essiccati in appositi essiccatoi. Il filo vero e proprio, invece, viene ricavato da un procedimento chiamato dipanatura che a sua volta prende forma attraverso una serie di operazioni di trattura.

I bozzoli vengono fatti macerare in acqua bollente così che la la sericina, la parte gommosa della bava, si ammorbidisca e venga poi eliminata. A questo punto vengono tolti anche i filamenti esterni, il cascame (strusa) e si arriva finalmente al capo della bava. La fibra viene sottoposta ad un nuovo lavaggio, pulita e cardata così da poter essere filata.

Mediamente, da 100 chilogrammi di bozzoli si ricavavano 20-25 chili di seta cruda e 15 chili di cascame. Tutte queste lunghe, meticolose e complesse operazioni venivano condotte manualmente, ragion per cui il costo della seta fu sempre  particolarmente alto.

Descrizione e caratteristiche

La fibra grezza della seta e quella cardata sono molto diverse. La prima, infatti, è cilindrica, leggermente appiattita e non omogenea. In alcune sezioni, il filo presenta diametri di diverso spessore. Una volta pulita, trattata e cardata, il filato acquisisce tutte le sue incredibili caratteristiche, a cominciare dalla lucentezza, davvero impareggiabile.

La seta, inoltre, assorbe facilmente le tinture e per questo motivo può essere colorata conferendo ai capi tantissime sfumature cromatiche che brillano alla luce del sole. Il tessuto ha una trama molto elastica e resistente, ma anche morbida e scivolosa, il ché la rende perfetta per il drappeggio.

Morbida e leggera, la seta è piacevole da indossare e contrariamente a quanto si pensa, isola molto bene dal caldo e dal freddo. Grazie alle sue molteplici qualità, è molto apprezzata nella produzione di alta moda e lingerie e per la realizzazione di carte da parati e tappeti.

Tipi di seta

Con il filo di seta grezza si possono ottenere diversi filati e tessuti che trovano largo impiego sia nell’industria tessile che in altri campi di applicazione.  In genere viene mischiata alla lana o altre fibre sintetiche per migliorarne la resistenza.

I principali filati di seta sono:

  • Organzino
  • Crêpe
  • Ritorto per trama
  • Ritorto singolo
  • Bourette
  • Tussah
  • Shappe
  • Filaticcio

Questi, invece, i tessuti ottenibili dalla successiva lavorazione e mescola con altre fibre tessili:

  • Taffetà
  • Georgette
  • Chiffon
  • Organza
  • Raso
  • Lampasso
  • Broccatello
  • Velluto
  • Damasco (tessuto)
  • Broccato
  • Crêpe
  • Shantung (tessuto)
  • Crêpe de Chine

Nell’etichettatura tessile italiana la seta è riconoscibile dalla sigla SE. Oltre che per la produzione di tessuti e abiti pregiati, la seta trova impiego anche nel confezionamento di tende e tappezzerie, biancheria intima e foulard, abbigliamento e arredo liturgico. Da alcuni anni, inoltre, è iniziata un’interessante sperimentazione per la realizzazione di protesi destinate alla medicina e chirurgia.

seta

Cura della seta: consigli pratici

La seta è un tessuto molto delicato la cui fibra deve essere sottoposta a lavaggi con detersivi neutri e a temperature non superiori ai 40° C. L’ideale è conservare i capi in seta in luoghi bui, asciutti e al riparo dalla luce del sole perché questo tessuto tende a sbiadire o ad ingiallire facilmente.

Se non è mescolata con la lana, la seta non subisce l’attacco delle tarme, ma è sensibile all’umidità che può provocare la formazione di muffe e batteri. Ciò provoca, di solito, alterazioni cromatiche e vistose macchie bianche.

Prima di acquistare un capo in seta, controllate che provenga da allevamenti di bachi sostenibili e come sempre… occhio all’etichetta!

Guide e approfondimenti temetici

Scopri gli approfondimenti dedicati alle varie fibre tessili di origine vegetale, dalle più comuni alle più originali, che abbiamo pubblicato recentemente:

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Tutto sulla fibra di legno, un isolante termico naturale davvero formidabile

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La fibra di legno è un prodotto di origine vegetale utilizzato sopratutto in edilizia come isolante termo-acustico ed eco-materiale molto versatile ed efficiente.

Nota anche come lana di legno, è completamente riciclabile e biocompatibile, tanto più che di solito non è sottoposta ad alcun trattamento preventivo con prodotti chimici, come la formaldeide. Inoltre, è un materiale leggero, facile da trasportare e da lavorare o tagliare.

In commercio, la si trova sotto forma di pannelli di legno pressati che vengono tagliati e adattati per spessore, porosità e durezza a seconda dell’uso specifico. Ma vediamo meglio di cosa si tratta e quali sono le caratteristiche che rendono questa fibra un materiale dalle prestazioni davvero eccezionali.

Fibra di legno: cos’è

Si tratta di un materiale prodotto a partire dalla lavorazione di diversi tipi di legno, attualmente utilizzato sopratutto come isolante termico e acustico. Gli alberi da cui viene solitamente estratta sono abeti e pini. Questo non significa che per produrre della buona fibra di legno debbano essere abbattuti degli alberi “vivi”: essa, infatti, proviene dagli scarti della lavorazione di segherie e fabbriche.

Presentandosi allo stato grezzo sotto forma di materiale lanoso, la fibra di legno viene anche chiamata lana di legno, da non confondere con la lana di roccia che è un prodotto amorfo di origine minerale. I pannelli che se ne ottengono sono realizzati impastando le fibre con acqua e pressando il tutto in appositi stampi. Successivamente, vengono lasciati essiccare fino a quando  non raggiungono la durezza desiderata.

fibra di legno

Caratteristiche della fibra di legno

Come detto, la fibra di legno presenta delle ottime prestazioni in termini di isolamento termoacustico ed una buona capacità di accumulo del calore. Ciò significa che anche nei mesi più caldi ritarda il passaggio del calore dall’esterno all’interno, mantenendo gli ambienti più freschi. A differenza della lana di roccia, inoltre, la fibra di legno non è sensibile all’umidità e tende a mantenere inalterate le sue caratteristiche isolanti anche in condizioni di umidità interna estreme.

Utilizzi e applicazioni

Tra gli utilizzi e le applicazioni più collaudate della fibra di legno, troviamo:

  • coperture dei solai;
  • isolamento esterno;
  • isolamento tra i travetti di copertura
  • tetti ventilati;
  • isolamento della pavimentazione;
  • pareti interne ed esterne;
  • isolamento a cappotto;
  • strutture a telaio;

Dal punto di vista ecologico, la fibra di legno è un materiale completamente riciclabile, compostabile e riutilizzabile. La materia prima è largamente disponibile nelle piantagioni dell’Europa Centrale, Settentrionale Orientale dove gli alberi utilizzati vengono ripiantati ciclicamente in apposite aree di coltivazione destinate all’uso industriale del legno.

Vantaggi della fibra di legno

Costruire case in legno, vale a dire con pannelli in fibra di legno anziché in cemento, presenta indubbiamente notevoli vantaggi. I più importanti sono così riassumibili:

  • il legno non marcisce per umidità, ma per condensa;
  • resiste al freddo;
  • comporta un dispendio di energia primaria minore;
  • garantisce un migliore comfort energetico abbattendo una buona percentuale della spesa energetica;
  • ha una lentissima combustione;
  • è un materiale” vivo”, che traspira;
  • è biodegradabile al 100%

Le foreste a crescita controllata garantiscono, inoltre, l’utilizzo di questa risorsa in modo sostenibile e sicuro. Insomma, si tratta di un  materiale perfetto per costruire secondo i principi della bioedilizia.

Fibra di legno come isolante

Abbiamo sottolineato più volte che questa fibra sia un materiale naturale davvero eccezionale dal punto di vista dell’isolamento termo-acustico. Non a caso, in bioedilizia è sfruttata per isolare termicamente e acusticamente tutte le parti strutturali degli edifici, i particolare pareti e solai, sotto-pavimenti, sottotetti e tetti. La durata e l’affidabilità che dimostra nel tempo, inoltre, è paragonabile a quella dei migliori materiali tradizionali.

Pannelli

I pannelli in fibra di legno vengono prodotti attraverso la lavorazione di legname di scarto. Tale materiale è approvvigionato principalmente da industrie e fabbriche specializzate in silvicoltura, segherie e dalle manutenzioni periodiche di boschi e sottoboschi.

Ne consegue una relativa abbondanza nella disponibilità della materia prima che, oltretutto, si abbina a costi di produzione limitati. Anche i consumi energetici e idrici della lavorazione sono contenuti, mentre l’inquinamento indotto dalla produzione di acqua di scarico è facilmente gestibile.

I pannelli in fibra di legno vengono utilizzati per riempire le intercapedini di strutture in legno e muratura, ma anche cappotti esterni, rivestimenti interni, coperture e solai. Il loro smaltimento avviene per combustione, bitumazione o riciclati per la realizzazione di nuovi pannelli

fibra di legno

Fibra di legno mineralizzata

Ciò che consente di mineralizzare le fibre del legno macinate e sfibrate è un processo meccanico che consiste nell’impregnare le fibre stesse con magnesite, cemento o altri materiali analoghi. Questo trattamento conferisce una notevole compattezza strutturale alle fibre del legno e la pressione esercitata sui singoli pannelli fa si che la mineralizzazione tramite assorbimento.

Ciò si traduce in un’elevata capacità di accumulo termico e di isolamento che consente di realizzare pareti isolanti e strutture dal grande coefficiente microclimatico interno. La fibra mineralizzata, inoltre, presenta spiccate caratteristiche di:

  • traspirabilità;
  • fono-isolamento;
  • fono-assorbenza;
  • resistenza al fuoco;
  • termoisolamento in ambienti difficili.

Oltre che in pannelli, la fibra di legno mineralizzata può essere utilizzata anche sfusa come riempitivo per sottofondi e massetti per solai e sottotetti.

Prezzi

La fibra di legno è una delle migliori soluzioni per garantire alle abitazioni il giusto isolamento termico e acustico. Dal punto di vista economico, i prezzi dei semilavorati ottenuti a partire da questa materia prima sono sicuramente più alti degli analoghi petrolchimici, ma su di essi gravano sopratutto i costi legati alla manodopera e alla posa.

Per fare un esempio concreto, un pannello in polistirene costa quasi la metà rispetto ad un equivalente pannello spessore in fibra di legno. Tuttavia, investire in questo materiale e nelle tecnologie legate alla sua lavorazione significherebbe un passo avanti concreto verso la conversione dell’edilizia alla sostenibilità ambientale.

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Come funziona una friggitrice ad aria e quali sono i migliori prodotti in circolazione?

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La friggitrice ad aria calda o comunemente nota come friggitrice senza olio, è una macchina che consente di friggere gli alimenti non con i grassi (olio o burro) ma con il calore accumulato nella camera di cottura.

Tutti noi siamo portati a credere che la frittura, in quanto tale, presupponga una preparazione a base di olio o burro che, a temperature elevate, consente di ottenere una parte esterna croccante e una interna più morbida. Eppure questo risultato è ottenibile in altri modi e anche se è difficile crederlo l’olio non è affatto imprescindibile.

Come per la cottura in forno, e quella al vapore, questo metodo di cottura evita l’effetto bruciacchiato, tanto buono quanto pericoloso.

Vediamo nello specifico di cosa si tratta, come funziona, i modelli e i prezzi di friggitrice ad aria disponibili sul mercato con i consigli per scegliere quello più adatto alle proprie esigenze.

FOCUS: Cottura nei grassi, principi e benefici del friggere

Cos’è una friggitrice ad aria

Chi non ama il fritto alzi la mano. Che si tratti di dolce o salato, di verdure, carni rosse o bianche, pesce, uova e crostacei, grandi e piccini difficilmente resistono a questa tentazione.

Tuttavia, il consumo abituale di alimenti fritti nei grassi non è esattamente salutare. Da un punto di vista nutrizionale, infatti, la frittura è ricca di grassi saturi, altamente calorica e difficilmente digeribile. E non c’è nutrizionista o dietologo che si rispetti disposto a non vietare categoricamente questo tipo di preparazione all’interno di un regime alimentare ipocalorico o comunque salutistico.

Forse non tutti sanno, però, che in commercio esistono degli elettrodomestici in grado di sopperire all’uso dei grassi ma capaci di sfruttare solo il calore per friggere gli alimenti.

Si tratta delle cosiddette friggitrici ad aria, vale a dire macchine che promettono di ottenere analoghi risultati alle friggitrici tradizionali ma con metodi di cottura decisamente più sani ed ecologici. Un vantaggio non da poco se consideriamo che con queste friggitrici si può dire ‘basta’ anche alla puzza di fritto che pervade la cucina per giorni e giorni.

In realtà non è del tutto corretto dire che la friggitrice ad aria non utilizzi olio per friggere. Nella realtà, però, ne basta al massimo un cucchiaio poiché è l’aria calda accumulata nella camera di cottura che fa tutto il lavoro. In questo spazio l’aria circola velocemente e così facendo raggiunge temperature molto elevate, idonee alla cottura dei cibi.

La friggitrice ad aria: un piccolo forno elettrico ventilato

In pratica una friggitrice ad aria è come un piccolo forno elettrico ventilato, col vantaggio che è in grado di eliminare molta più umidità dalle pietanze e garantire un risultato croccante e asciutto.

Friggitrice ad aria

Ovviamente, la resa e l’efficienza dell’elettrodomestico varia anche in base al modello utilizzato e alla potenza che è in grado di generare, dunque è importante scegliere la friggitrice ad aria più adatta alle nostre esigenze dopo aver valutato con criterio diversi aspetti.

A differenza di un forno ventilato, la friggitrice ad aria deve essere utilizzata con prodotti freschi. In realtà è possibile cuocere anche alimenti precotti (panzerotti, cotolette, crocchette, polpette, ecc) ma in questo modo l’apporto di grassi e la genuinità del prodotto finale verrà meno, quindi sarà come non averla usata.

Altro consiglio importante, è di utilizzare degli oli vegetali adatti alle alte temperature, cioè con un punto di fumo elevato, perché non si trasformino in sostanze pericolose.

Prima di proseguire, però, ecco i nostri consigli per gli acquisti.

La nostra scelta: Innsky 5,5L 1700W

Si tratta di un vero e proprio multicooker, un vero e proprio piccolo forno ventilato, con qui preparare un vasto assortimento di piatti. Una macchina affidabile, robusta in grado di arrostire, cuocere al forno, grigliare e naturalmente fare un fritto asciutto e croccante e asciutto.

L’alternativa economica: Aigostar Dragon Pro 30LDX

Dalle dimensioni compatte, ma pur sempre con una capacità di 3,2L, questa friggitrice ad aria ci è sembrata particolarmente ben progettata e funzionale. Molto comoda e maneggevole con l’impugnatura anti-scottatura, è dotata anche di una efficace protezione contro il surriscaldamento.

LEGGI ANCHE: Cuocere gli alimenti, guida pratica ai diversi metodi di cottura

Come funziona una friggitrice ad aria

Abbiamo visto che la friggitrice ad aria calda funziona grazie ad una speciale camera di cottura dove l’aria circola talmente veloce da raggiungere temperature molto elevate.

Grazie alle alte temperature l’olio raggiunge un grado di calore idoneo a friggere gli alimenti, ma in quanto semplice vettore di calore poiché è l’aria calda che assicura una cottura uniforme.

Analogamente ad una friggitrice tradizionale, con la friggitrice ad aria non occorre immergere le pietanze in una grande quantità di olio da frittura e non serve girare gli alimenti ottura.

I cibi sono completamente circondati da aria caldissima e  divengono croccanti fuori e morbidi dentro nel giro di una manciata di minuti. Inoltre questa tecnica si rivela utile a mantenere intatte proprietà degli alimenti.

L’aria calda contenuta nella camera di calore, infatti, può raggiungere temperature vicine ai 200°. Ciò fa delle friggitrici ad aria elettrodomestici estremamente utili, ma anche molto energivori: il consumo elettrico medio, infatti, va dagli 800 ai 2.000 watt. Tuttavia il ritorno economico (meno olio impiegato) e salutistico non deve essere sottovalutato.

Friggitrice ad aria

Modelli e prezzi

In commercio esistono molti modelli con caratteristiche e prezzi diversi. I parametri di riferimento da tenere presenti per scegliere la friggitrice ad aria più adatta a noi, generalmente sono:

  • Temperatura massima (non inferiore ai 200°)
  • Capacità del cestello (1 l per due persone)
  • Temperatura regolabile (garantisce il giusto livello di croccantezza per ogni pietanza)
  • Tempi di riscaldamento (non più di 3 minuti)
  • Timer

I prezzi vanno dai 70 ai 400 euro. Ci sono modelli più tecnologici e performanti che superano i 200 euro. Il modello più venduto è senza dubbio si attesta su una fascia media, il cui prezzo si aggira intorno ai 150 euro. Si tratta di una friggitrice ad aria con 1.500 Watt di potenza, e capacità inferiore a 1 l, dotata solo di timer e rotella.

I modelli più avanzati, invece, hanno potenze superiori ai 1.800 Watt, alta capacità di cestello e dispongono di diversi programmi di cottura, molti accessori e timer digitali. Il prezzo medio è dai circa 250 euro in su.

friggitrice ad aria

Vantaggi

  • Possibilità di realizzare fritti con meno grassi, più leggeri e salutari
  • Possibilità di consumare fritti saltuariamente anche per chi ha problemi colesterolo
  • Non raggiungendo il punto di fumo, l’olio non rischia di diventare tossico.
  • Meno sporco e niente cattivi odori
  • Maggiore igiene
  • Pulizia della macchina semplice e rapida
  • Cottura senza rischi di incidenti domestici
  • Risparmio nelle quantità di olio utilizzate

Svantaggi

  • Prezzo iniziale da sostenere (da 200 euro in su) elevato
  • Spazio adatto in cucina
  • Consumo energetico considerevole

friggitrice ad aria

Utilizzi della friggitrice ad aria

A differenza di una friggitrice tradizionale, con la friggitrice ad aria si possono realizzare ottime fritture ma anche altre ricette e preparazioni. Si va dalle classiche patatine, crocchette, cotolette, verdure miste, crostacei e pesce fino ad arrivare a dolci e torte salate.

Il consiglio, a tal proposito, è di scegliere un modello provvisto di un buon ricettario, perché sarà fondamentale per avere spunti e guide alla cottura degli alimenti con questo elettrodomestico.

Infine, la friggitrice ad aria è perfetta anche per scaldare gli alimenti già cotti, ma a differenza di un normale forno elettrico o a microonde, non secca i cibi.

Altri modelli di friggitrice ad aria

Se volete acquistare la vostra friggitrice ad aria, ecco alcuni modelli che possono fare per voi:

Scopri tutte le metodologie di cottura dei cibi:


Ecco il cammello, l’animale con le gobbe dalle incredibili virtù

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Il cammello è un quadrupede dall’aspetto assai curioso e dalle abitudini ancora più bizzarre. La sua leggendaria presenza ha accompagnato l’uomo nel corso dei millenni, scandendone alcuni dei passaggi evolutivi più importanti.

Lo troviamo citato addirittura nei Vangeli, in particolare in un passo del Vangelo secondo Matteo, dove si legge: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli“.

In ebraico, il suo nome era “Gamal“, termine che valeva anche per il dromedario. Ancora oggi, il cammello viene confuso da molte persone con questo suo parente prossimo, dal qualche si distingue per il numero di gobbe sul dorso.

Ma vediamo insieme quali sono le caratteristiche di questo mammifero di origine asiatica, la cui specie selvatica oggi è gravemente minacciata dal rischio di estinzione.

Cammello: animale

Linneo fu il primo a descrivere e classificare il cammello nel 1758 con il nome scientifico di Camelus Bactrianus. Il nome che Linneo assegnò a questo animale è in realtà frutto di un errore. Egli infatti lo credeva originario della Battriana, una regione sul confine Afghano-Uzbeko.

In realtà, si tratta di un mammifero appartenente alla famiglia dei Camelidi, originario dell’Asia Centrale (Mongolia, Cina, Deserto del Gobi), ma ormai diffuso anche in Europa e in altre aree del mondo dove si alleva da secoli il cammello domestico e da trasporto.

La specie selvatica, invece, conta qualche centinaia di esemplari presenti solo nelle regioni desertiche e steppose dell’Anatolia e della Mongolia. Per questo motivo, il cammello selvatico è entrato nella lista delle specie protette a serio rischio di estinzione.

Caratteristiche

L’Ordine a cui appartiene il cammello è quello degli Artiodattili di cui rappresenta una delle specie più grandi. delle Questo ruminante può raggiungere i 3-4 metri di lunghezza, e i 2-3 metri di altezza per un peso medio che si aggira introno ai 400–500 chilogrammi.

Le varietà domestiche differiscono sostanzialmente da quelle selvatiche. Queste ultime, infatti, hanno una struttura ossea più leggera, dimensioni medie più ridotte e pelo più corto e chiaro. Anche le gobbe sono decisamente più piccole e meno “capienti”.

Il cammello di solito vive in branchi di una ventina di esemplari che si riconoscono intorno alla figura di un maschio dominante. La sua stazza unita all’incredibile forza e resistenza, gli è valsa nel corso dei millenni l’appellativo di “nave del deserto“: un cammello, infatti, è capace di trasportare senza grosse difficoltà carichi fino a 450 chilogrammi di peso. Le femmine, infine, partoriscono un solo piccolo dopo una gestazione di 13 mesi.

Cosa mangia

Bizzarro è bizzarro già ad una prima occhiata, ma ciò che colpisce ancora di più del cammello è la sua capacità di adattamento a qualsiasi condizione, anche alle più estreme. A cominciare dalla dieta, infatti, questo erbivoro rumina qualsiasi cosa gli capiti a tiro. Di certo preferisce nutrirsi di piante (spinose, secche, verdi e chi più ne ha più ne metta), ma non disdegna neanche peli, ossa e pelli di altri animali.

A mali estremi, estremi rimedi: in assenza d’altro, mangia cordame, scarpe, tessuti e pezzi di tappeti senza fare troppi complimenti. Dulcis in fundo, non mastica completamente il cibo, ma lo ingurgita parzialmente integro riportandolo nella bocca solo in un secondo momento per completare la masticazione.

cammello

Denti

I lunghi e robusti denti del cammello sono lo strumento che consente all’animale di masticare praticamente qualsiasi cosa, anche la più improbabile, compresi i cactus. Quando è nervoso o lotta per una femmina, l’animale digrigna i denti e serra le mascelle per manifestare la propria ostilità.

Pelo

Il corpo del cammello è interamente ricoperto da un mantello di pelo di colore beige più o meno scuro.  Durante l’inverno, questo pelo è folto e lanoso e protegge l’animale anche dalle escursioni termiche più estreme. Con l’avvicinarsi dell’estate, invece, inizia la muta durante la quale rimane quasi completamente nudo.

Lana di cammello

La lana di cammello è una delle più calde fibre naturaliOttenuta dalla spazzolatura degli esemplari più giovani di cammelli selvatici asiatici durante il periodo della muta, ha una resa molto modesta (circa 700 gr in un anno), ma il tessuto che se ne ottiene è particolarmente soffice e caldo. Per questo è una fibra costosa.

Non a caso è uno straordinario isolante termico, ideale anche per imbottire giacche e capi-spalla invernali.

Presenta anche una notevole igroscopicità, migliore addirittura della lana di pecora. Ancora oggi gli abiti confezionati con il pelo di cammello vengono indossati dai nomadi del deserto per riparasi sia dal caldo che dal freddo.

Quante gobbe ha il cammello?

Le leggendarie gobbe del cammello, così come quelle del dromedario, non sono altro che appendici formate e utilizzate come depositi di grasso. Queste sacche sono delle vere e proprie dispense che l’animale usa nei periodi di scarsità di cibo.

Grazie alle sue gobbe, questo animale può resistere senza cibo e acqua per circa 20 giorni, sfruttando il liquido metabolico prodotto dall’organismo mediante la scomposizione del grasso in esse contenuto.

Per questo motivo, il cammello dimostra un’incredibile capacità di resistenza anche alle condizioni ambientali più ostili. Può camminare ininterrottamente nel deserto per 24 ore consecutive ad una velocità media di 4 chilometri orari. A questa andatura, e forte della sua riserva idrica metabolica, arriva a percorre 50 km senza mai fermarsi.

Una volta a destinazione, però, questo prodigio della natura soddisfa la sua sete bevendo fino a 150 l di acqua in un solo colpo. Da qui, il famoso modo di dire “Bere come un cammello“.

lana di cammello

Differenza tra cammello e dromedario

La differenza principale rispetto al cugino dromedario (Camelus dromedarius), è la presenza sul suo dorso di due gobbe sviluppate in eguale misura. Il dromedario, invece, ha solo una gobba poiché la seconda (quella anteriore) ha subito durante l’evoluzione una riduzione estrema, tanto non essere più visibile.

A differenza di quelle del dromedario, inoltre, le gobbe del cammello tendono ad afflosciarsi quando sono vuote, inclinandosi letteralmente su un fianco.

Anche il mantello che avvolge l’animale è differenze. Il cammello ha un pelo folto, molto lungo sotto il collo e vicino le zampe.

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E’ proprio vero che bere acqua fa bene alla salute? Anche qui non bisogna esagerare!

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Ci è stato detto che bere acqua fa bene alla salute e ci vogliono almeno 2 litri al giorno per depurare l’organismo e far bella la pelle. Ma ora giunge un contrordine, fa male e crea dipendenza. Cosa sarà vero? Sfatiamo un po’ di miti su questo tema e vediamo perché… in medio stat virtus, come dicevano gli antichi romani.

Bere acqua fa bene, specie se ne beviamo tanta: e invece no. Per essere precisi, bere troppa acqua non farebbe affatto bene alla salute ma creerebbe una dipendenza in qualche modo paragonabile a quella indotta da alcune droghe.

Non è uno scherzo, ma il risultato di una ricerca condotta da un team di ricercatori della Wihiteley Clinic di Londra secondo i quali l’assunzione giornaliera di una quantità eccessiva di acqua provocherebbe innescherebbe nel cervello umano una sorta di assuefazione chiamata ‘aquaholism’ e scatenerebbe una serie di effetti indesiderati anche gravi per l’organismo.

Bere acqua fa bene o crea dipendenza?

Negli ultimi anni sono infatti numerosi i casi segnalati come ‘dipendenza’ dal bere acqua, persone che dapprima sono attirate dalla promessa di una pelle più luminosa, un corpo disintossicato e maggior energia, ma che solo dopo cadono in una spirale di litri litri d’acqua ingurgitati ogni giorno perché non riescono più a farne a meno.

Quando bere troppo è dannoso

Un caso famoso, Nigella Lawson, la guru inglese della cucina via tv, che è arrivata a bere fino a 6 litri d’acqua al giorno, e per sua stessa ammissione non riusciva a smettere.

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Gli scienziati – guidati dal fondatore della clinica e responsabile dello studio, Mark Wihiteley – hanno stabilito che bere più acqua del necessario per periodi prolungati di tempo indurrebbe a disturbi del sonno, eccessiva sudorazione e conseguente irritazione della pelle, pericolosi sovraccarichi dei reni (che lavorerebbero più del necessario) e, nei casi più gravi, malattie cardiovascolari. Come dire che il troppo stroppia sempre, insomma.

Il professor Whiteley indica che anche l’iperidrosi, la sudorazione eccessiva, un disturbo così fastidioso socialmente da portare taluni a rimuovere le ghiandole sudoripare chirurgicamente, potrebbe in alcuni casi essere ricondotta alla troppa acqua ingerita.

Bere tanto in breve tempo: l’altro errore

Così come nefasto per il nostro organismo è il bere tanto e in poco tempo, perché sovraccarica i reni, e se si beve la sera, li sottopone ad un lavoro eccessivo anche di notte, portando a svegliarsi diverse volte e diminuire così la qualità del sonno.

bere acqua fa bene alla salute

Bere acqua fa bene alla salute, ma non deve diventare un’ossessione: alcune semplici regole da seguire

Bere acqua fa bene, ma nel modo giusto

Ma allora, quali sono le quantità di acqua che dovremmo bere quotidianamente per assicurare al corpo la giusta reidratazione senza eccedere?

L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare afferma che le donne dovrebbero bere mediamente almeno 1,6 litri di liquidi al giorno, mentre gli uomini 2 litri, l’equivalente di 8 e 10 bicchieri d’acqua da 200 ml ciascuno.

Per stabilire con esattezza il giusto apporto di liquidi occorre comunque tenere presente delle variabili importanti, come il peso corporeo, la statura e il clima (d’estate e in generale nei luoghi caldi bisogna bere di più).

Non solo acqua!

Ovviamente non solo acqua, ma anche latte e succhi di frutta naturali concorrono al raggiungimento dell’apporto consigliato ad ogni individuo.

Bene anche e caffè, purché il consumo sia contenuto, mentre da evitare assolutamente i cosiddetti ‘junk drink’, come alcolici e bevande gassate o piene di zuccheri.

bere acqua fa bene

Bere acqua fa bene in linea di principio… e facciamo bene all’ambiente se beviamo dalla nostra borraccia invece di consumare un numero spropositato di bottigliette di plastica

Anche che mangiando si introducono altri liquidi arrivando fino a 0,5 l al giorno, soprattutto da frutta e verdura. Tenetene conto.

Il modo migliore per stabilire se si deve bere è il più semplice, se si ha sete, il corpo ci sta avvertendo di aver bisogno di fluidi, quindi si deve bere! Anche controllando il colore delle urine si capisce se si sta bevendo troppo o troppo poco.

Se sono scure più si deve aumentare i bicchieri d’acqua, se troppo chiare, al contrario, diminuirli. Il colore ideale è giallo paglierino.

Dunque ricordate: anche l’acqua va bevuta con moderazione. Né troppa, né troppo poca.

Guide tematiche su bevande

Fibra di cocco: dalla noce di cocco, una fibra vegetale per eco-tessuti e non solo

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La fibra di cocco è l’unica tra le fibre naturali ad essere interamente ricavata da un frutto, la noce di cocco, di cui si utilizza la parte fibrosa intermedia (mesocarpo).

Per le sue caratteristiche intrinseche, la robustezza, la capacità di fungere da isolante termico e l’alta resistenza all’usura, la fibra di cocco trova largo impiego in molti settori produttivi. I principali, sono il tessile, l’edilizia e il giardinaggio. Essendo un materiale di origine vegetale, è completamente riciclabile e riutilizzabile e la lavorazione richiede costi e risorse energetiche relativamente limitate.

La fibra di cocco è prodotta in quantità modeste e difficilmente quantificabili in molti paesi asiatici. I maggiori produttori ed esportatori sono India, Sri Lanka, Thailand, Malaysia, Indonesia. Secondo i dati più aggiornati, la produzione mondiale di fibra di cocco corrisponde a circa 450.000 tonnellate all’anno.

Fibra di cocco: cos’è

Abbiamo detto che la fibra di cocco si ricava dal mesocarpo della noce di cocco che è la parte che separa il frutto interno più carnoso dal mallo. Esso corrisponde di preciso alla parte esterna e intermedia fibrosa che avvolge il delizioso e profumato frutto.

Per poterne ricavare la fibra, questo strato fibroso viene separato dalla noce e avviato ad una lavorazione artigianale che comincia con un lungo processo di macerazione in acqua, sale e fango.

La tecnica tradizionale, infatti, prevede che la fibra grezza maceri in questa soluzione per 6-10 mesi. In questo modo tutte le parti organiche residue vengono eliminate e le rimanenti fibre vengono lavate, essiccate al sole, battute e raccolte in balle.

Da questa lunga e paziente lavorazione si ottiene una fibra estremamente resistente che viene impregnata con sali di boro, silicato di sodio o solfati di ammonio. Grazie a questo trattamento viene notevolmente miglioratala tenuta alle alte temperature e la compattezza della fibra stessa.

fibra di cocco

Caratteristiche

Come abbiamo visto, la fibra di cocco è straordinariamente resistenze allo sfregamento, all’umidità e all’usura. Un  po’ come la iuta, la rafia e la fibra che si ricava dall’abaca, anche quella di cocco è utilizzata fin da tempi antichissimi per realizzare stuoie, cordami, attrezzatura per la pesca, tappeti e suppellettili.

Essa, infatti, non teme neanche il logorio dell’acqua di mare, non marcisce e funge da ottimo isolante termico e acustico.

Si tratta di una fibra dotata anche di una buona resistenza al fuoco ed è inattaccabile perfino da muffe, parassiti delle piante e roditori.

Per queste sue straordinarie peculiarità, è considerata a buon diritto una delle fibre naturali più affidabili e quasi indistruttibili.

Uso e applicazioni

Dalla fibra di cocco si ricavano dei feltri che trovano impiego in edilizia come isolanti termo-acustici, in particolare per rifinire:

  • pavimenti galleggianti
  • pareti
  • coperture ventilate
  • sottotetti
  • pareti divisorie interne

La sua durata è garantita per 50 anni, al termine dei quali è completamente riciclabile e destinabile ad altri impieghi. In giardinaggio e agricoltura, viene utilizzata nella realizzazione di drenaggi per giardini pensili e terrazzi, o come rinforzo per terreni e declivi a rischio erosione.

Come materiale tessile, le fibre più lunghe sono perfette per realizzare tappeti, stuoie, zerbini, spazzole e corde. Quelle più corte, invece, fungono da materiale di riempimento per materassi, cuscini, selle o per la produzione di cellulosa carta.

Fibra di cocco: eco-tessuto

Per poter tessere la fibra estratta dalla noce di cocco, occorre che la parte fibrosa del mesocarpo venga sottoposta ad una cardatura a macchina. Successivamente, dovrà essere lavata, essiccata, pettinata e pressata in modo da ricavarne balle di feltro.

Servono circa 10.00 noci di cocco per produrre 45-65 kg di fibre lunghe e 8-13 kg di fibre corte. Una volta terminata la lavorazione, esse conservano un colore bruno-rossiccio piuttosto simile alla colorazione originale e una lunghezza media che va dai 25 a 35 cm.

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le aziende interessate a testare l’utilizzo della fibra di cocco per lavorazioni tessili più sofisticate e di pregio.

La Nanollose, ad esempio, è una start-up australiana che ha messo a punto il Nullarbor, il primo filato di rayon ottenuto dalla conversione microbica delle biomasse in cellulosa. In pratica, il perfetto sostituto della viscosa.

A questa importante innovazione, Nanollose ha abbinato un sistema produttivo tessile a basso impatto che chiude il cerchio intorno ad una tendenza ormai comune a molte aziende del settore dell’abbigliamento: il trend dell‘eco-fashion.

Fibra di cocco sfusa

La fibra di cocco sfusa si può acquistare nei negozi specializzati in sacchi da 20 e 50 litri. Mescolata all’argilla espansa o alla perlite, diventa un ottimo ammendante e un filtro naturale che assicura alle radici delle piante la giusta ossigenazione e nutrimento, utile sopratutto per le piante da fiore in vaso.

Prima di acquistare il cocco sfuso è bene assicurarsi che sulla confezione sia riportata la certificazione RHP che garantisce la qualità e la provenienza delle prodotto.

fibra di cocco

Substrato per piante

La fibra di cocco rappresenta il substrato perfetto per coltivare in modo semplice qualsiasi tipo di pianta in vaso, a cominciare dalla piante ornamentali. Facile da utilizzare anche per i meno esperti in giardinaggio, i motivi per cui è sempre più apprezzata in orticoltura sono molteplici:

  • ben areata e ossigenata
  • garantisce un ottimo drenaggio
  • pH stabile
  • trattiene l’umidità
  • ecologica e riciclabile

Occorre ricordare, però, che il substrato ottenuto con la fibra di cocco non è nutritivo. Deve essere sempre mixato ad altri nutrienti e fertilizzanti specifici per cocco e per coltivazione idroponica.

Altri derivati del cocco destinati al giardinaggio e all’orticoltura sono il cocco pressato (Coco Block) e le lastre di cocco. Entrambi sono derivati dalla macerazione della scorza della noce di cocco.

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Tutto sul ciclismo: uno sport adatto a tutti, per tonificare i muscoli e fare il fiato

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Il ciclismo è un sport sano e divertente che può essere praticato da tutti e a qualsiasi età. Andare in bicicletta è un’attività decisamente benefica, ma occorre attrezzarsi adeguatamente per non correre rischi e viaggiare in totale sicurezza in tutte le stagioni dell’anno.

È uno degli sport all’aria aperta più salutari ed emozionanti a cui ci si possa dedicare. Consente non solo di fare tanto movimento e mantenersi in forma, ma anche di esplorare la città e il territorio circostante. Andare in bicicletta, insomma, è un modo per cercare nuove avventure, conoscere luoghi diversi e cercare il contatto diretto con la natura.

Ecco tanti consigli pratici per avvicinarsi a questo sport.

Benefici del ciclismo

La particolarità del ciclismo consiste principalmente nell’essere uno sport di resistenza. La pratica regolare di questa attività permette di armonizzare lo sforzo fisico con i battiti cardiaci, ma anche di migliorare la respirazione e tonificare tutto l’apparato muscolo-scheletrico.

La sollecitazione continua e ripetuta a cui cuore, polmoni, muscoli e articolazioni sono sottoposti, consente di bruciare grassi, abbassare il colesterolo nel sangue ed eliminare le tossine.

Più specificatamente, il ciclismo aiuta a:

  • Rinforzare e tonificare i muscoli: in particolare polpacci e cosce. Sono inoltre sollecitati tutti i muscoli della gamba, gli addominali, i glutei e le braccia.
  • Migliorare il funzionamento del sistema cardiovascolare: stimolare il cuore con un’attività cardio come il ciclismo, vuol dire prevenire l’insorgenza di malattie come l’ictus, l’ipertensione, l’infarto. Si stimolano il cuore e i polmoni a tutto beneficio della circolazione sanguigna.
  • Controllare il diabete: pedalare con una certa frequenza e intensità aiuta a calmierare il tasso di glucosio nel sangue. Questo perché viene convertito in energia utile al movimento, riducendo così il rischio di diabete.
  • Ridurre lo stress: pedalare all’aria aperta è un’attività che contribuisce al benessere psico-fisico. Aiuta a dimenticare le ansie e le fatiche della giornata lavorativa e consente di riconciliarsi con se stessi e la natura.

Abbigliamento e sicurezza

L’esercizio fisico attivato attraverso i ciclismo consente di bruciare molte calorie. Un’ora di bicicletta per tre volte a settimana aiuta senz’altro a perdere peso e grasso corporeo in poco tempo.

Essendo uno sport su strada che implica grande dispendio energetico e sudore, occorre prestare molta attenzione a due fattori spesso legati tra loro: abbigliamento idoneo e sicurezza.

Comfort e performance sono fondamentali sia per il ciclista professionista che per quello occasionale. Ma cosa serve avere nell’armadio per praticare questo sport in modo ottimale?

Di certo occorre un abbigliamento tecnico da scegliere non solo in base alla stagione (estivo/invernale) ma anche a seconda delle proprie esigenze e del budget a disposizione.

Deve essere quanto più aderente al corpo, ma senza stringere eccessivamente. Non deve, insomma, limitare i movimenti o addirittura rendere difficoltosa la respirazione. I tessuti devono essere realizzati con materiali traspiranti, in grado di far uscire il vapore acqueo prodotto durante la sudorazione, ma anche bloccare il freddo e il vento. Dalla qualità dipende la durata degli indumenti e la loro resa durante l’attività sportiva.

Chi si avvicina a questo sport dovrà attrezzarsi di questi capi fondamentali:

  • Casco omologato dotato di fori di areazione e di un’allacciatura sotto il mento
  • Guanti antiscivolo con il palmo rinforzato, senza dita o con dita secondo la stagione
  • Scarpini, preferibilmente mezzo numero in più di quello abituale
  • Gilet traspirante secondo la stagione
  • Maglietta a maniche corte/lunghe a seconda della stagione oppure maniche lunghe staccabili
  • Pantaloncini o salopette lunga felpata secondo la stagione oppure gambali staccabili
  • Giacca antivento scelta in base al clima della zona in cui ci si allena
  • copri casco impermeabile e giacca a vento sottile in caso di pioggia
  • Occhiali trasparenti o da sole, anche se ci si vede bene, per proteggere gli occhi da vento, insetti, pulviscolo…

In inverno, in particolare, testa, collo, mani e piedi devono essere più riparati. Alcuni accessori diventano quindi fondamentali per proteggere le parti del corpo più esposte agli agenti atmosferici. Ecco alcuni esempi:

  • berretti pesanti o cuffie da inserire sotto il casco
  • sciarpe corte o girocolli
  • guanti pesanti
  • sovrascarpe in materiale idrorepellente
  • casacche di colori accesi in caso di nebbia

ciclismo

Ricordate che quando si va in bicicletta, è fondamentale avere con sé dell’acqua. In città, privilegiate le piste ciclabili o le vie secondarie. Potete prevedere anche due porta borraccia da applicare sulla canna in caso di forte caldo.

Il casco  deve essere sempre indossato e di notte sono indispensabili le luci e un giacchetto catarifrangente. Assicuratevi, infine, che la bicicletta sia sempre perfettamente efficiente.

Controllate dunque i freni e le gomme con regolarità, e portate con voi una pompetta e una camera d’aria di scorta con gli appositi strumenti per montarla in caso di foratura, che potrete inserire in un trousse sotto-sellino.

Scelta della bici

Al di là di marca e modelli, esistono principalmente tre tipi di bicicletta:

  • Da uomo col telaio a diamante
  • Da donna col telaio a U
  • Pieghevole
  • Da bambino

A seconda dell’uso, poi, esistono delle sottocategorie:

  • Bici da passeggio
  • Bici da turismo o trekking (per lunghi viaggi)
  • City bike
  • Bici polivalente (più sportiva di una city bike)
  • Biciclette sportive
  • Bici da corsa (superleggera)
  • Bmx (acrobatiche)
  • Mountain bike (per sterrati)
  • Bici da downhill
  • Bicicletta a pedalata assistita (con batteria ricaricabile)

Per scegliere la bici da corsa più adatta alle proprie caratteristiche fisiche è essenziale valutare attentamente la misura del telaio e l’altezza del manubrio.

Il telaio, infatti, è la struttura portante della bici ed è di fondamentale importanza che sia della misura adatta per poter mantenere la giusta posizione in sella.

Per valutare bene questo parametro la misurazione da effettuare è sull’altezza dell’inforcatura, cioè la distanza tra la pianta del piede e il cavallo. Una misura sbagliata significherà dolori muscolari e articolari, in particolare per collo e schiena. Le unità di misura dei telai utilizzate in commercio per i vari modelli e marchi sono centimetri e pollici. Tuttavia, molti produttori indicano le taglie con le classiche indicazioni Small, Medium, Large, Extra Large.

Se siete alle prime armi il consiglio è quello di rivolgersi a un rivenditore esperto che vi aiuti a scegliere il modello di bici da corsa più adatto a voi. Potete chiedere consigli anche ad un amico cicloamatore.

ciclismo

Allenamento

A differenza di altri sport, il ciclismo non deve essere praticato tenendo presente una soglia minima di ore di allenamento. Ognuno di noi può decidere autonomamente quanto tempo allenarsi in base alle proprie motivazioni, età, fisico, resistenza.

Praticare ciclismo in percorsi misti di pianura e salita per 10-12 ore a settimana per tutto l’anno, riducendo leggermente le uscite in inverno, può far raggiungere una preparazione da professionista.

Di certo, la possibilità di utilizzare la bici come mezzo usuale di spostamento nella quotidianità accumula diverse ore extra di allenamento a settimana! Un altro buon motivo per fare del ciclismo il proprio sport green preferito…

Quello che devi sapere sul ribes rosso, una pianta apprezzata da sempre per le sue proprietà benefiche

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Il ribes rosso è una varietà arbustiva dalle note proprietà depurative e antinfiammatorie. Andiamo a scoprire le sue mille applicazioni terapeutiche, cosmetiche e alimentari con questa guida pratica.

Quando parliamo di ribes rosso facciamo riferimento ad una delle piante più conosciute e apprezzate sin dall’antichità per le sue spiccate proprietà benefiche.

Ricco di antiossidanti naturali e fitonutrienti, il ribes rosso trova applicazione nella medicina tradizionale e in fitoterapia per i suoi principi attivi.

Il suo potere antiossidante, antinfiammatorio e diuretico lo rende uno dei migliori alleati per la cura della pelle, la depurazione dell’organismo e la prevenzione dell’invecchiamento cellulare.

Molti studiosi, inoltre, sostengono che il ribes rosso può essere utile anche nella prevenzione dei tumori e di alcune malattie cardiovascolari, sempre nell’ambito di una dieta sana ed equilibrata.

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Ribes rosso pianta

Il Ribes rosso appartiene alla famiglia delle grossulariacee e in natura si presenta sotto-forma di arbusto perenne di altezza compresa tra 1-2 metri.  I fiori, generalmente di colore verdognolo o brunastro, punteggiati di rosso, lasciano posto a grappoli di bacche traslucide. Le bacche sono di colore rosso brillante e dalla caratteristica polpa dolce-acidula acquosa ricca di semi estremamente piccoli.

Il periodo di raccolta del ribes rosso va da giugno a settembre.

ribes rosso

Ribes rosso proprietà

Come tutte le bacche presenti in natura, anche il ribes rosso è composto principalmente da acqua, con una concentrazione che può arrivare all’80% del peso totale del frutto. Di notevole proporzione è anche il contenuto di vitamine del gruppo A, vitamine B e di tipo C e K.

E’ ricco anche di sali minerali, in particolare calcio, ferro, sodio, zinco, fosforo e potassio.

Un po’ come il ribes nero, anche il ribes rosso è un ottimo diuretico naturale oltre che un potente antinfiammatorio. La sua azione agisce anche sulla produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, da parte delle cellule surreali. Per questa ragione, è molto utile all’organismo per combattere infezioni e contrastare l’attacco di agenti patogeni esterni.

Ribes rosso utilizzi terapeutici e cosmetici

Visto il notevole complesso vitaminico che questo frutto può vantare, gli utilizzi terapeutici e cosmetici sono altrettanto importanti. Ecco una sintesi per punti delle principali applicazioni che il ribes rosso trova in medicina, fitoterapia e cosmesi:

  • Antinfiammatorio. Sopratutto per la cura delle affezioni dell’apparato urinario. Gli oli essenziale e i flavonoidi contenuti nei frutti e in alcune parti della pianta come le foglie più giovani, sono paragonabili a quelle del cortisone.
  • Efficace contro l’artrite e la ritenzione idrica. Anche se meno potente della varietà nigrum, anche il ribes rosso è consigliato per il trattamento delle artriti e per migliorare la diuresi. Sotto forma di infuso, bevuto 2-3 volte al giorno, combatte la ritenzione idrica e riduce i dolori articolari causati dalle infiammazioni. Stesso effetto anche sui dolori e le infiammazioni tipiche della gotta.
  • Depuratore naturale per tutto l’organismo. Utilizzato sopratutto in decotti, infusi e tisane aiuta a liberarsi dalle scorie e dai liquidi in eccesso. Assunto come succo, ha proprietà astringenti utili per curare e lenire gli stati diarroici.
  • Protettivo per la vista. Il consumo regolare di ribes rosso è collegato ad effetti positivi anche per gli occhi e la vista. I flavonoidi contenuti nei suoi frutti svolgono un’azione protettiva e antiossidante anche sulla retina, proteggendola dall’insorgenza di miopie e altre forme degenerative dei tessuti che si manifestano con l’avanzare dell’età.
  • Stimolante del sistema immunitario. Il ribes rosso, in effetti, è ricco di vitamina C, elemento essenziale per proteggere l’organismo dalle malattie influenzali. In tal senso, agisce come stimolante delle naturali difese del corpo.

Ribes rosso e bellezza: ecco perché è utile

  • Potente antiossidante. La virtù più apprezzata di questo frutto. L’alto contenuto vitaminico A, B, C, i flavonoidi, beta-carotene, zeaxantina, e criptoxantina, contrasta efficacemente l’azione dei radicali liberi ritardando l’invecchiamento cellulare.
  • Protezione naturale per la pelle. Grazie alla vitamina A, che protegge le mucose e la pelle dagli agenti atmosferici e dagli inquinanti presenti nell’atmosfera.
  • Vellutante naturale per corpo e capelli. Usato in cosmesi e fitoterapia come ingrediente base di oli e lozioni, è un idratante naturale che rende pelle e capelli setosi, vellutati e morbidi. In alcune formulazioni è addizionato ad altri principi attivi contenuti nella frutta ricca di vitamina E per un’azione ancora più intensa.

ribes rosso

Ribes rosso controindicazioni

Vista la sua elevata digeribilità non sono apprezzate particolari controindicazioni nel consumo alimentare, a parte possibili manifestazioni di natura allergica riscontrabili nei soggetti predisposti. In generale, il ribes rosso non presenta particolari controindicazioni neanche rispetto all’assunzione concomitante con altri farmaci.

Come per i ribes nero, però, occorre prestare attenzione ai derivati della pianta che stimolano la produzione di cortisolo. In quantità eccessive, infatti, il cortisolo può provocare l’aumento della pressione sanguigna e l’accelerazioni del metabolismo.

ribes rosso

SPECIALE: Cortisone naturale

Ribes rosso ricette

Come detto, via libera a tisane, infusi e decotti realizzati facilmente con gli estratti secchi della pianta oppure in combinazioni erboristiche con altri ingredienti perfette per aumentare l’efficacia dei suoi principi attivi e migliorarne gusto e profumo.

ribes rosso

Una ricetta assolutamente da provare è la famosa marmellata di mirtilli e ribes rossi, ideale anche per farcire torte, crepes, crostate e croissant. Ecco la ricetta con le istruzioni per realizzarla. Ingredienti:

  • 600 g di mirtilli
  • 600 g di ribes rossi
  • 500 g di zucchero
  • il succo di 1 limone

Preparazione: 

  • Lavate i mirtilli e frullateli. Ripetete la stessa operazione anche con i ribes e versate le puree di frutta così ottenute direttamente in una pentola capiente.
  • Aggiungete tutto lo zucchero e il succo del limone e fate bollire a fiamma alta per almeno 3 minuti avendo cura di mescolare.
  • Fate bollire 5 minuti e comunque raggiunta la densità desiderata, trasferite nei barattoli di vetro precedentemente sanificati e chiudete con tappo a vite ermetico.
  • Capovolgete ogni vasetto e lasciate riposare a testa in giù per almeno 10 minuti.

Conservate in un luogo asciutto e al riparo dalla luce del sole.

Approfondimenti utili

Sempre in tema frutta, abbiamo diverse schede che ne parlano e ricette a base di frutta. Ti segnaliamo in particolare:

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